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Perché No!

di Domenico Gallo

Nella giornata di giovedì 23 gennaio l’Ufficio Centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione ha deliberato la legittimità della richiesta presentata da 71 senatori di sottoporre a referendum popolare la riforma costituzionale che ha operato un drastico taglio del numero dei parlamentari, riducendo a 400 il numero dei deputati e a 200 quello dei senatori. In questo modo è iniziato formalmente l’iter che porterà (entro 60 giorni) il Presidente della Repubblica ad indire il referendum che si dovrà svolgere in una domenica compresa fra il 50° ed il 70° giorno dalla emanazione del decreto di indizione (verosimilmente nel corso del mese di maggio).

Nella stessa giornata si è svolta la conferenza stampa di presentazione del neocostituito comitato per il No al referendum costituzionale presieduto dal prof. Massimo Villone, professore emerito di diritto costituzionale all’Università Federico II e personaggio di punta nella lotta allo sciagurato progetto di Regionalismo differenziato.

Poiché il referendum comunque si farà, malgrado la Camera in quarta lettura abbia approvato la riforma quasi all’unanimità, ciascuno di noi sarà interpellato nella sua coscienza di cittadino e dovrà maturare un orientamento di voto. Non abbiamo dimenticato lo show dell’ex capo politico dei 5 stelle che, subito dopo l’approvazione della riforma della quale il suo partito si era fatto alfiere, ha schierato i “suoi” parlamentari dietro uno striscione di poltrone di carta che poi ha provveduto a tagliare platealmente a beneficio delle tv e dei social? Allora la domanda è: ha un senso fare una battaglia elettorale per il no, malgrado la forte popolarità nell’opinione pubblica del taglio dei parlamentari, avvertito come giusta punizione della casta?

La nostra risposta è che questa battaglia sia utile e necessaria proprio perché, attivando un dibattito pubblico sul ruolo e le funzioni del Parlamento può consentire di contrastare l’inquinamento dell’opinione pubblica, qualunque possa essere la risposta delle urne. Tutti i soggetti politici hanno paura di sfidare gli umori popolari ed il senso comune sedimentato da una lunga predicazione antipolitica che ha raggiunto toni paradossali. Negli ultimi anni la competizione politica si è svolta sul filo delle illusioni, si è costruito il consenso sublimando sentimenti di rancore legati al crescente disagio sociale. Si è creata l’illusione che il disagio sociale è frutto dei privilegi della casta, che dimezzare le pensioni dei parlamentari sia stato un grande successo popolare, che la nostra vita si può migliorare discriminando gli immigrati o altre categorie di soggetti deboli, che il disagio politico che nasce dal vuoto della rappresentanza è colpa delle istituzioni politiche rappresentative, che devono essere ridimensionate.

La riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari è il precipitato di questa politica fondata sulle illusioni e la falsità. Le illusioni prima o poi sono destinate ad implodere non senza aver provocato gravi danni. La battaglia per il No alla riforma costituzionale, fiore all’occhiello dell’antipolitica, è lo strumento che ci consente di demistificare il discorso populista e svelarne la falsità. In effetti c’è un male oscuro che corrode la nostra vita istituzionale, c’è una crisi profonda testimoniata, a tacer d’altro, dalla totale perdita di fiducia degli italiani nei partiti politici (3%) e nel Parlamento (8%), al punto che, secondo l’ultimo rapporto CENSIS,  il 48% degli italiani dichiara che ci vorrebbe un «uomo forte al potere» che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni.

Ma il nodo centrale resta la crisi della rappresentanza: lo scioglimento dei partiti di massa e le leggi elettorali hanno prosciugato i canali di collegamento fra il Parlamento e la società, fra la società civile e la società politica, che si è resa autonoma dal popolo sovrano ed è diventata autoreferenziale attraverso la manomissione dei meccanismi della rappresentanza politica. Per questo nel linguaggio corrente la rappresentanza politica viene percepita come una casta. Solo che per curare la malattia ci viene proposto di uccidere il malato. La cura suggerita con questa riforma è peggiore del male perché la ricetta proposta è rivolta a risolvere delle patologie immaginarie. La crisi della rappresentanza politica non si può curare riducendo il numero dei rappresentanti ma facendo sì che gli elettori possano tornare a scegliere i propri rappresentanti di modo che il Parlamento ritorni ad essere il motore della democrazia.

(Editoriale di Domenico Gallo pubblicato in condivisione con Il Corriere dell’Irpinia)
Domenico Gallo: Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 è in servizio presso la Corte di Cassazione, attualmente ricopre le funzioni di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019)
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