di Mauro Seminara
La Libia è ormai il buco nero del diritto internazionale. Una terra di nessuno alle porte dell’Italia e dell’Unione europea in cui i giochi di guerra mascherati da politica hanno rotto gli argini dei trattati costati guerre e sangue nei trascorsi decenni. Non eravamo stati clementi con il “Summit di Berlino per la Libia”, che vi invitiamo a rileggere, e non credevamo che gli accordi tra Stati che sorridono al termine di un accordo non accettato dalle parti in guerra potessero risolvere il conflitto libico. Paventavamo perfino l’ipotesi che il vertice tedesco altro non fosse che un accordo di spartizione, tra i partecipanti, di una nazione che non può e non deve tornare unita ed in pace. Altro dettaglio sul quale ci si era soffermati riguardava la foto di fine lavori e la posizione in cui era stato relegato il presidente del Consiglio italiano, alle spalle del presidente egiziano Al-Sisi ed ai margini del gruppo. Giuseppe Conte ha dichiarato recentemente che il cerimoniale di Palazzo Chigi ha scritto al cerimoniale tedesco per il grave errore commesso, e che di un errore di forma si è trattato. Ma quella foto era il ritratto in allegre giacche e cravatte delle foto che stanno adesso circolando sull’attività militare della Turchia in Libia, dove la missione italiana è stata messa in soffitta per l’incursione di Erdogan con le sue navi ed i suoi soldati.
La missione italiana, quella che da qualche anno vede una nave della Marina Militare tricolore parcheggiata nel porto di Tripoli e, sulla carta, i militari inviati da Roma a seguito del Memorandum Libia-Italia impegnati nell’addestramento – o affiancamento – dei cosiddetti guardacoste libici, è stata scalzata dalla Turchia che ieri ha iniziato a lavorare con la Libia a nord di Tripoli anche per il blocco delle barche cariche di profughi. Gli stessi libici non credevano ai loro occhi quando hanno visto e fotografato una fregata turca al largo di Tripoli. Il Ministero della Difesa della Turchia sfoggia adesso il proprio intervento “in soccorso” ad un gommone carico di migranti. “Il 28 gennaio 2020, un gommone con 30 migranti irregolari è stato identificato dalla Task Force navale turca, che era responsabile dell’operazione navale della NATO nel Mediterraneo centrale. I migranti irregolari che si trovavano sul gommone sono stati consegnati dalla fregata TCG GAZİANTEP alla Guardia Costiera libica, arrivata sul posto dopo la richiesta al Comando navale libico“. Questo il comunicato della Difesa turca che vorrebbe rendere trasparente la consegna di profughi di una zona di guerra alla cosiddetta guardia costiera libica a cui li ha affidati per ricondurli in Libia.
Ma cosa ci fanno le fregate turche al largo di Tripoli lo spiega la stessa Difesa della Turchia che mette subito le mani avanti dichiarando di non essere in area con le due fregate per dare concretezza al Memorandum Libia-Turchia firmato dal presidente del Governo di Accordo Nazionale (GNA) Fayez Al-Sarraj. Secondo la nota ufficiale, la Turchia si trova nel Mediterraneo centrale, a poche miglia da Tripoli, in assetto NATO e non in operazione da accordi bilaterali. Ne sarebbe la prova il supporto della nave da rifornimento della Marina degli Stati Uniti, la William McLean. Quindi la NATO, con assetto navale turco e americano, si troverebbe al largo della Libia, con le fregate della Marina turca Göksu e Gökova (più la Gaziantep del “soccorso” al gommone) e la nave da rifornimento americana William McLean, per una operazione dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO) definita “Sea Guardian”. Del gruppo però non sembra fare parte l’Italia, uno dei primari membri della Nato nel Mediterraneo ed il più importante del Mediterraneo centrale, e che partecipava già con una propria missione militare a supporto della cosiddetta guardia costiera libica. Dell’operazione Sea Guardian si sa però che è una missione NATO e che in assetto è stato “soccorso” un gommone carico di migranti cui non è stato chiesto se intendevano chiedere asilo in uno Stato delle Nazioni Unite che ha aderito alla Convenzione di Ginevra prima di riaffidarli ai libici perché li riconducessero in zona di guerra.
L’allarme lo lancia anche Alarm Phone, la centrale civile per la richiesta di soccorso in mare, che questa mattina ha scritto: “Turchia , NATO, membro e parte in guerra in Libia, impegnato in un respingimento illegale di migranti! I soccorsi sono stati consegnati alle forze libiche che li hanno riportati in una zona di guerra attiva. Devono essere portati in Europa!“. L’intervento turco-libico sotto la bandiera della Nato pone adesso gravi criticità nel Mediterraneo centrale. Una di queste è quella che riguarda una nuova imbarcazione carica di migranti che ha chiesto aiuto ad Alarm Phone. Sarebbero circa 50 a bordo, con donne e bambini. Della presenza del natante in pericolo, Alarm Phone ha informato le autorità SAR competenti ed anche la nave ONG Open Arms, che intanto attende molto più a nord un porto sicuro per i 237 naufraghi che ha a bordo. Il rimorchiatore della ONG spagnola è troppo carico per affrontare la missione di ricerca e soccorso e nel Mediterraneo centrale c’è grande traffico militare che potrebbe intervenire senza che la gremita nave umanitaria navighi ancora una volta per oltre 50 miglia. Ma il problema in questo momento rimane quello delle consegne che le navi impegnate nella missione NATO hanno circa le operazioni di soccorso migranti. In altre simili circostanze, quando ad intervenire sono state navi della Marina Militare italiana, dal ponte di comando in plancia non si è neanche posto il quesito ed i migranti salvati sono stati condotti in Italia e non in Libia. Perché se la Marina Militare italiana li avesse affidati ai libici avrebbe compiuto un respingimento.
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