di Marco Agostini – Agenzia Dire
“L’istruttoria dibattimentale ha consentito di raggiungere delle indubitabili certezze: a seguito dell’arresto di Stefano Cucchi e in particolare in sede di permanenza nella sala adibita a fotosegnalamento presso la compagnia Casilina si è verificato un evento traumatico ai suoi danni; a seguito e in ragione di detto evento egli ha subito varie lesioni tali da necessitare con urgenza il ricovero in ambiente ospedaliero“. È quanto scrivono i giudici della Corte d’Assise di Roma nelle motivazioni della sentenza con cui hanno condannato i due carabinieri, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, a 12 anni per omicidio preterintenzionale e il maresciallo Roberto Mandolini e il carabiniere Francesco Tedesco per falso, in merito alla morte del geometra romano avvenuto nel 2009.
“Stefano Cucchi, vivendo sino alla sera del 15 ottobre del 2009, in una condizione di sostanziale benessere – si legge nelle motivazioni – se non avesse subito un evento traumatico”, nella sala adibita a fotosegnalamento della caserma Casilina, “cioè un’azione lesiva inferta da taluno, non avrebbe sofferto di molteplici e gravi lesioni, con l’instaurarsi di accertate patologie che hanno portato al suo ricovero e da lì a quel progressivo aggravarsi delle sue condizioni che lo hanno condotto alla morte”.
“È indiscutibile che la reazione tenuta da Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo sia stata illecita e assolutamente ingiustificabile. Un’azione violenta – continuano i giudici – perpetrata nel corso dello svolgimento del servizio d’istituto, quindi, per un verso facendo un uso distorto dei poteri di coercizione inerenti il loro servizio, per altro aspetto violando il dovere di tutelare l’incolumità fisica della persona sottoposta al loro controllo”.
“Il fatto si è svolto in un locale della caserma ove nessuno estraneo poteva avvedersi di quanto stava accadendo, in piena notte ai danni di una persona decisamente minuta e di compressioni fisica molto meno prestante rispetto a quella dei due militari”, aggiungono i giudici.
di Marco Agostini – Agenzia Dire