di Mauro Seminara
Le richieste di soccorso erano state inoltrate alle autorità marittime competenti dalla centrale di allarme telefonico civile Alarm Phone ieri. Due barche, una con 34 persone a bordo, come comunicato dagli stessi migranti, ed una con circa 70 persone. Entrambe le barche erano in acque internazionali di competenza SAR (Ricerca e Soccorso) di Malta. L’allarme risale a ieri pomeriggio, ma nel corso delle quasi 24 ore non era partito alcun soccorso di iniziativa europea. Nel frattempo erano state fermate altre barche, con profughi che tentavano di lasciarsi la Libia alle spalle, e ricondotti nel territorio da cui si allontanavano. A fermare la loro fuga sono state le barche che l’Italia, rinnovato il Memorandum Libia-Italia, si ostina a chiamare “guardia costiera”. Un insieme di reparti territoriali muniti di pattugliatori, molti dei quali omaggiati dall’Italia, che opera nel più dei casi sotto il coordinamento italiano di stanza nel porto di Tripoli e grazie alle segnalazioni dei velivoli europei che effettuano ricognizioni “anti-migranti” nel Mediterraneo centrale.
Le due barche segnalate da Alarm Phone, ed avvistate anche dal velivolo Ong Moonbird, erano ormai fuori dalla portata dei pattugliatori libici (la cui area SAR si estende fino a 70 miglia dalla costa nordafricana) ed oggi sono intervenuti due assetti navali europei sotto l’assunzione di coordinamento della Centrale MRCC di Malta. Una barca, con dichiarati 34 migranti, è stata soccorsa dall’AFM (Malta Armed Force) ed i naufraghi condotti a Malta. L’altra, con rivelatisi poi 78 migranti di nazionalità prevalente del Bangladesh, sono stati soccorsi dall’Italia con una motovedetta della Guardia Costiera ed una della Guardia di Finanza. L’intervento è avvenuto sempre in prossimità o all’interno delle acque territoriali, con intervento della Guardia di Finanza in qualità di Polizia Giudiziaria per il reato di immigrazione clandestina e della Guardia Costiera per l’evento SAR che obbligava a prendere i naufraghi a bordo del guardacoste per motivi di sicurezza. Il riserbo, degno delle più delicate operazioni militari “Top Secret” con cui vengono gestiti i soccorsi ai migranti rende a volte impossibile riuscire a sapere dove sono stati raggiunte, a che distanza o per quale accordo di cooperazione le barche su cui interviene la Guardia Costiera italiana.
Al molo Favarolo di Lampedusa la motovedetta ha ormeggiato alle 14:30 e sulla banchina sono sbarcati migranti del Bangladesh, alcuni dell’Algeria ed una sola donna. Sulla banchina i medici in tenuta da screening con protocollo anti-coronavirus hanno misurato la temperatura corporea dei migranti appena sbarcati. Poi il trasferimento al centro di primo soccorso dell’isola, in Contrada Imbriacola. Mentre i pulmini dell’ente gestore trasferivano le persone soccorse al centro di prima accoglienza, le motovedette si apprestavano a chiudere le rispettive missioni. Il pattugliatore della Guardia di Finanza aveva già preso posto al proprio punto di ormeggio e la velocissima motovedetta d’altura classe 300 della Guardia Costiera si spostava al suo punto di ormeggio. Guardacoste che, malgrado siano in assetto da intervento SAR (Ricerca e Soccorso) e non in operazioni militari, navigano ormai da anni senza AIS per il monitoraggio. L’Automatic Identification System (AIS) è un sistema obbligatorio per qualunque nave ed anche per i pescherecci e serve principalmente per evitare incidenti in mare. Permette di vedere in tempo reale la posizione di una imbarcazione e di tracciarne la rotta. La Guardia Costiera, che prima lo aveva in uso, ha smesso di attivarlo ed anche da questo punto di vista, unitamente al rigoroso silenzio dell’ufficio relazioni esterne del comando generale del Corpo, le operazioni SAR sembrano un affare di Stato coperto da segreto militare.