Le navi della morte passano da Genova, in porto si appellano alla Costituzione

Lo scorso anno il porto di Genova si era mobilitato contro il cargo saudita Bahri Tabuk che poi si recò a Cagliari per un carico blindato. Lunedì mattina arriva a Genova la sorella saudita Bahri Yanbuk per un ulteriore trasporto di armi. Ferma in porto la nave cargo Bana per una indagine su traffico di armi della Procura di Genova. Associazioni, sindacati e portuali chiedono al prefetto di Genova di farsi tramite perché il Governo comunichi trasparenza sul rispetto dell'articolo 11 della Costituzione italiana

di Mauro Seminara

Alla fine di maggio dello scorso anno, una nave aveva in programma uno scalo nel porto di Genova per un carico di armi ma la protesta dei portuali le aveva impedito il completamento dell’operazione. La nave in questione si chiama “Bahri Tabuk“, un cargo battente bandiera dell’Arabia Saudita oggi diretta ufficialmente a Gedda (Arabia Saudita) dopo aver lasciato il porto di Mumbai, India. Dopo il caso scoppiato lo scorso anno grazie ai portuali di Genova, la Bahri Tabuk aveva lasciato il porto ligure per uno scalo a Marsiglia. Una rotta che subito apparve poco limpida, visto che dal porto francese la nave aveva tolto gli ormeggi il 29 maggio senza indicare altra destinazione italiana.

I sospetti risultarono fondati e all’alba del 31 maggio entrò nel porto di Cagliari per un carico programmato con tempistica da operazione militare. Alle 07:30, appena 50 minuti dopo l’ormeggio, la Bahri Tabuk aveva caricato 4 container arancioni. Anche il carico rese motivi di sospetti, in prima linea alla Rete Italiana per il Disarmo. I container erano infatti giunti in area portuale da ingresso alternativo e sotto scorta privata. L’operazione era stata documentata dal fotografo Kevin McElvaney (foto di fianco e sotto) e le immagini furono diffuse dalla Rete Italiana per il Disarmo.

La Bahri Tabuk lasciò poi il porto del capoluogo della Sardegna con il suo carico speciale, anche se a Genova erano riusciti a sabotare il carico di container con misteriosa attrezzatura bellica speciale. Nulla invece sul fronte dei quattro container caricati in Sardegna, dove ha sede la RWM. L’azienda, di proprietà tedesca, produce bombe che vengono utilizzate in Yemen dall’Arabia Saudita. La Bahri Tabuk, dopo lo scalo velocissimo e protetto di Cagliari, tolse di fatti gli ormeggi e salpò verso il Paese di Bandiera: quell’Arabia Saudita che usa le bombe prodotte in Sardegna dalla RWM contro lo Yemen.

Trascorso meno di un anno, la vicenda delle navi delle armi e del porto di Genova si ripete. Nel porto del capoluogo ligure è ferma da 13 giorni la Bana, un cargo libanese giunto a Genova da Beirut per un trasporto di armi. Il cargo è fermo e sottoposto ad indagine da parte della Procura di Genova. Ad occuparsi del Bana è nello specifico la Procura antimafia ed antiterrorismo del capoluogo. Dietro però c’è la reazione degli stessi portuali genovesi che non intendono accettare che il porto del capoluogo venga impiegato quale crocevia per il traffico di armi, quindi quale base di partenza per condanne a morte in altri Paesi.

Il Bana (foto in basso) è un cargo che si era mosso anche in modo sospetto in mare, con periodi di navigazione oscurati al Automatic Identification System (AIS), il sistema di identificazione automatica obbligatorio su scala mondiale per tutte le navi civili. Tra i porti in cui risulta aver fatto scalo c’è anche quello di Misurata, in Libia, dove attualmente è in corso una guerra e dove vige un teorico embargo sulle armi. Su questo sta indagando la Procura di Genova che, oltre ad aver richiesto le scatole nere della nave ha anche convocato il suo comandante. Ma l’azione inquirente non sta quietando i portuali di Genova cui si sono unite altre sigle ed associazioni. Amnesty International e Libera si erano infatti unite ad un presidio che Cgil, Anpi, Arci, Acli, Agesci, Udi, Auser e Music for Peace avevano tenuto insieme ai portuali per manifestare contro il traffico-transito di armi da Genova.

Lo stato di agitazione nel porto ligure non riguarda però soltanto il già fermo cargo libanese Bana. Per le 09:00 di lunedì è previsto l’arrivo nel porto di Genova di un’altra nave che pare abbia le stesse identiche consegne di carico. Si tratta del Bahri Yanbu, stessa bandiera e stessa flotta del saudita Bahri Tabuk che lo scorso anno venne cacciato da Genova e poi riapparve in porto a Cagliari per un rapidissimo e blindato carico diretto in Arabia Saudita. La sorella cargo Bahri Yanbu ha già varcato lo Stretto di Gibilterra e si dirige a passo spedito verso il porto ligure dopo uno scalo in Belgio (recentemente porto comune ad altri carichi sospetti di trasporto armi) ed uno in Spagna. In vista dell’arrivo del Bahri Yanbu è già pronta una nuova e più massiccia mobilitazione a Genova, dove le sigle sopraelencate si sono schierate in modo deciso contro il traffico di armi dall’Italia e quindi a sostegno dei portuali di Genova che non intendono prestare la loro manodopera – indispensabile – per il carico degli strumenti di morte.

Alla protesta delle sigle, davanti la Prefettura di Genova, è seguita una precisa richiesta formulata dagli aderenti all’indirizzo del prefetto Carmen Perrotta. La richiesta è di verifica del rispetto dell’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” Una richiesta che quindi le sigle in stato di agitazione, compresa quella sindacale della Cgil che ha sottoscritto il documento consegnato al prefetto di Genova, richiedono l’intervento del Governo centrale per il chiarimento dovuto sul carico di armi, sulla sua destinazione, quindi sull’ottemperanza a quanto dettato dalla Costituzione italiana.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*