di Mauro Seminara
Il coronavirus, già definito in un editoriale come “il virus dei nazionalisti”, sta facendo discutere anche grazie al martellante intervento mediatico di alcune fazioni politiche che lo accostano appunto all’arrivo di migranti nei porti italiani proponendo così possibili catastrofiche conseguenze. In prima linea, come sempre in questi casi, viene posta Lampedusa. L’isola, circa seimila abitanti, è un soggetto vulnerabile. Facile da attaccare e difficile da smentire proprio perché isola pelagica con una piccola popolazione. L’immagine proiettata è quindi ideale ad una certa propaganda: un’isola italiana che rischia la quarantena a causa dell’arrivo di un migrante affetto da coronavirus. A dare il via a questa ipotesi è il primo caso accertato, e riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in Egitto.
Il coronavirus risulta avere un periodo massimo di incubazione di 14 giorni. Questo è il tempo per cui i casi sospetti vengono tenuti in isolamento. La caratteristica rende quindi già incompatibile con i tempi di migrazione terrestre, attesa ed imbarco per la traversata di un migrante che salpa dalla Libia alla volta del continente europeo. Ma è anche vero che il vero nemico della salute pubblica, in caso di diffusione in Africa del 2019-nCoV è la carenza – o assenza – di un sistema sanitario idoneo in molti Paesi del continente. Quali sono i rischi per Lampedusa lo abbiamo chiesto al dottor Francesco Cascio, responsabile del presidio poliambulatoriale di Lampedusa e Linosa.
“Al momento il rischio di diffusione a Lampedusa è pari a zero“, risponde il dottor Cascio che tiene però a precisare come questo non escluda l’attuazione di tutte le misure preventive necessarie. “Tutti i medici ed il personale che interviene al momento di uno sbarco è stato dotato degli strumenti necessari per la propria tutela sanitaria – spiega Cascio – e dell’apposito termometro ad infrarossi per l’immediata misurazione della temperatura corporea”. Fino ad oggi non si è registrato alcun caso sospetto, ma, come lo stesso responsabile sanitario ha precisato, non si può esclude scientificamente che si possa un giorno verificare. Per questa ragione, su iniziativa dello stesso Francesco Cascio era stata approntata una misura emergenziale che prevedeva l’arrivo a Lampedusa, in un ora o poco più, l’arrivo di un elicottero con camera di biocontenimento (le speciali barelle chiuse trasparenti già viste per il trasporto di persone altamente contagiose) ed il conseguente immediato trasferimento del caso sospetto.
Questo piano emergenziale orchestrato da Cascio era però una misura temporanea che seguiva in contemporanea le linee guida che il Ministero della Salute stava mettendo a punto anche sul fronte dei porti in cui approdano migranti e naufraghi. “Domani pomeriggio parteciperò ad un tavolo presso la Prefettura di Agrigento – spiega il dottore Cascio – dove verrà discussa la procedura da istruire anche a Lampedusa”. Cascio spiega che è sua intenzione chiedere “che venga approntato sull’isola un locale idoneo all’isolamento dei casi sospetti, fino a riscontro clinico”. Poi, nel caso di accertato coronavirus, il paziente affetto verrà trasferito con un volo speciale predisposto dalla Protezione Civile. L’idea che verrà esposta in Prefettura, spiega il responsabile del presidio di Lampedusa, è quella di individuare un’area ed un locale isolato all’interno dell’hotspot di Contrada Imbriacola. Lo stesso in cui vengono trasferiti i migranti appena sbarcati e nel quale vengono prestate loro le prime cure sotto la responsabilità dell’ASP 6 di Palermo cui fa capo il poliambulatorio dell’isola.
L’istituzione di un apposita area di isolamento sarebbe un primato per la struttura di Contrada Imbriacola che oggi verte in condizioni di degrado mai viste. Il nuovo ente gestore, la trevigiana Nova Facility, sta intervenendo in modo radicale per il ripristino della struttura. Almeno nelle parti in cui può intervenire, secondo quanto concordato in affidamento appalto dalla Prefettura di Agrigento. Non compete all’ente gestore, né è autorizzato, la ristrutturazione dei padiglioni danneggiati ed inagibili. Il centro di prima accoglienza, che di fatto non svolge più funzione di “hotspot” essendo fallito alla nascita il piano di redistribuzione europea dei migranti richiedenti asilo, attende ancora il radicale intervento di ristrutturazione di cui aveva parlato anche il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese poco dopo il suo insediamento, ma del quale ancora non si vede traccia.
Ridotto ormai ad una capienza di 96 persone in assetto ordinario, dai 780 posti iniziali, il centro era stato oggetto di una accesa diatriba tra il ministro dell’Interno pro-tempore e l’ente gestore che aveva l’appalto nel 2013, quando il cosiddetto “scandalo delle docce anti-scabbia” figurò sulle prime pagine di tutti i giornali italiani e non solo. In quel caso, poi chiuso con il ritiro del ministro che aveva annunciato “epurazione” ed aveva invece atteso circa un anno prima di salutare l’ente gestore, era emerso come la consortile che gestica il centro aveva ripetutamente chiesto alla Prefettura di Agrigento un’area in cui poter medicare ed isolare temporaneamente i migranti ospiti affetti da scabbia. Lo stesso ente gestore aveva proposto di realizzare un ambiente idoneo a proprie spese, ma dalla Prefettura non ebbe mai risposta.
Questo retroscena impedì al furibondo ministro di “cacciare”, come annunciato, la consortile che di fatto non aveva alcuna colpa, ma da allora non venne poi realizzato alcun ambiente idoneo per la scabbia. Adesso, su spinta propositiva del dottor Francesco Cascio, il centro di prima accoglienza potrebbe avere al suo interno un “reparto” di isolamento per le malattie infettive come il nuovo coronavirus 2019-nCoV e, chissà, un giorno forse anche per altre necessità meno pericolose e più comuni come la scabbia. Nel frattempo, sull’isola, seguendo il protocollo diffuso dal Ministero della Salute per tutti i varchi internazionali, oltre all’equipe medica anche le forze dell’ordine e gli operatori del centro di accoglienza si sono dotati di guanti ed apposite mascherine in modo da mantenere il 2rischio zero” di contagio invariato.