di Mauro Seminara
Il fatto che molti giudici, nelle rispettive funzioni, riconoscano gravi violazioni di legge commesse nell’esercizio delle proprie funzioni di ministro dell’Interno pro-tempore a Matteo Salvini pare non preoccupare nessuno. Dietro le ipotesi di reato che per tre volte si sono concretizzate con richieste di autorizzazioni a procedere, nei confronti di chi doveva essere il responsabile e garante politico per l’ordine e la sicurezza, ci sono infatti procuratori della Repubblica, sostituti, giudici per le indagini preliminari e di vari Tribunali e Procure. Ma che il ministro dell’Interno, che se condannato potrebbe anche andare in carcere per quindici anni ad episodio, privasse della libertà personale delle persone attuando misure da regime, invece che far rispettare la legge di uno Stato democratico, esalta i suoi seguaci. Tra questi, sicuramente, non ci sono i produttori di latte in Sardegna. Persone che protestavano ed ai quali il ministro, non per sua competenza, era andato a stringere le mani promettendo personale interessamento nel corso della campagna elettorale per la Regione Sardegna e poi hanno ricevuto gli effetti del primo decreto sicurezza. Perché il signor ex ministro si era subito preoccupato di iniziare a vietare le proteste dei cittadini. Pena il carcere.
Anche questo pare non scalfire l’adorazione degli ipnotizzati elettori di Matteo Salvini. Un elettorato che non vede l’ora di conferirgli pieni poteri come da egli richiesto. Un bacino elettorale peraltro solido, che si mantiene stabilmente intorno al 30%, secondo sondaggi, cedendo solo qualcosa in favore di altri stoici difensori della democrazia come Fratelli d’Italia. Matteo Salvini non ha mai permesso che si comprendesse come il partito di cui è segretario si sia perso 49 milioni di euro dei cittadini italiani. Per lui, che è stato ministro dell’Interno, la vicenda è una cosuccia da liquidare con un banale “è successo prima” quasi vigesse una sua personale logica della prescrizione nel caso di distrazione di fondi pubblici. Non ha mai spiegato perché, da ministro dell’Interno, leader di partito e pretendente alla Presidenza del Consiglio, non si è mai impegnato nel perseguire l’uomo che lo ha cresciuto in seno alla Lega ed al quotidiano La Padania e che, su invito ufficiale, presenziava ad incontri istituzionali in Russia per poi contrattare tangenti con uomini d’affari russi con cui finanziare il suo partito a suo nome. Non si è mai scusato per aver diffamato varie persone; per cui è adesso in corso una indagine qua ed una chiusura di indagine la. Infine ha anche smesso di tentare una vera difesa per le accuse di sequestro di persona aggravato.
Nel caso della nave Diciotti le tentò tutte ed ottenne lo scudo indegno del suo alleato di maggioranza ufficiale: quel Movimento 5 Stelle che perse così la veste bianca senza arrossire di vergogna mentre lo proteggeva in Giunta per le immunità e poi in aula del Senato come già aveva fatto per il cosiddetto “Russiagate”. Nel caso della seconda richiesta di autorizzazione a procedere, quella per la nave Gregoretti, ebbe la fortuna di un colpo di teatro sbagliato da parte della nuova maggioranza – nel frattempo non era più ministro ed il M5S aveva formato il governo con il PD – e fece la parte del leone in Giunta e poi anche in Senato offrendo il petto al nemico (sapendo già che la maggioranza dell’aula non avrebbe potuto che autorizzare il Tribunale dei ministri a procedere). Infine, nel terzo caso di richiesta di autorizzazione a procedere da parte del Tribunale dei ministri, quella per il caso Open Arms, Matteo Salvini ha deciso di non tentare una difesa vera ma una difesa populista basata sugli stessi slogan per cui finirà in Tribunale. Motivazioni che non stanno in cielo né in terra e con le quali non potrà certo pensare di ottenere un’assoluzione dal processo e neanche una riduzione di pena per riconosciute attenuanti.
La premessa era dovuta per tracciare un minimo profilo del protagonista ma anche, o soprattutto, del suo elettore medio. Perché, con tutta probabilità, sarebbe un gravissimo errore ridere della linea difensiva di Matteo Salvini. Ce ne sarebbe da ridere, ma in Tribunale, quando sarà lavoro per giudici ed avvocati. Il problema è quell’elettorato che il leader della Lega e del centrodestra vanta con orgoglio, ed i tempi per istruire un processo di simile portata e con la chilometrica fila di testimoni che ci si potrà attendere. Le prossime elezioni politiche, sempre che questo posticcio governo “centrodestraspinto-centrosinistradidestra” riesca a reggere fino a fine mandato, sono previste per la primavera del 2023. Processi come quelli dei casi Gregoretti ed Open Arms, per quella data non saranno giunti neanche al primo grado di giudizio. Ed in assenza di condanna ci sarà un Matteo Salvini in corsa per la Presidenza del Consiglio dei ministri con una coalizione di centrodestra che attualmente pare garantirgli oltre il 50% del consenso alle urne. In altre parole, quando i giudici si ritireranno in Camera di consiglio avranno da decidere se mandare in galera per una quindicina d’anni il capo del Governo italiano.
Matteo Salvini parrebbe del tutto indifendibile in Tribunale. Ma chi dice che è li che intende difendersi? Tornando un po’ indietro con la memoria, all’apice del consenso, quando pensò di staccare la spina al Governo – salvo poi scoprire che se l’era staccata da solo e soltanto per se – quel fatidico 8 agosto del 2019, Salvini aveva già commesso tutti i reati ipotizzati dai giudici dei Tribunali per i ministri e nel frattempo invocava “pieni poteri” per fare di più. E ci vuole una enorme fantasia nel pensare che mentre era ministro non c’era nessuno al Viminale che lo consigliasse o che fosse in grado di spiegargli che avrebbe violato molte leggi con il suo ministero della propaganda. Ma il raccoglitore di consenso nutellato sapeva bene due cose (forse solo quelle): che il suo pubblico lo avrebbe acclamato e che godeva dell’immunità parlamentare oltre che della soggezione delle toghe nei confronti di un ministro della Repubblica. Adesso, Matteo Salvini, sa per certo altre due cose: che non può difendersi in Tribunale con stupidaggini come quella dello Stato di bandiera della Open Arms – o della “minaccia per la nazione” rappresentata dalla nave della stessa nazione (la Gregoretti) già in porto nazionale – e che al tempo in cui il processo non sarà ancora terminato lui potrà essere a capo di un Governo che, come nel caso del suo alleato Silvio Berlusconi, con una aggiustatina qua ed una riformetta la, potrebbe uscirne indenne governando il Paese a suon di decreti legge ad personam. Allora, se così fosse, guai a ridere della memoria difensiva del senatore Matteo Salvini per il caso Open Arms, perché i suoi elettori non stanno ridendo ma plaudendo con grande convinzione.