di Mauro Seminara
Erano giorni di delirio quelli in cui in Italia, orfana di calcio ed altri “sport” buoni per facinorosi ed ultras vari, bandiere verdi svettavano nei porti in cui navi Ong dovevano ormeggiare per far sbarcare i naufraghi soccorsi in vece delle preposte autorità marittime. Quando Carola Rackete annunciò che avrebbe fatto ingresso in porto, a Lampedusa, al termine di una calvario inflitto dal Ministero dell’Interno a naufraghi ed equipaggio della Sea Watch 3, sulla banchina si erano radunati un po’ di fanatici sostenitori di quel ministro dell’Interno che spacciava per buona la propaganda dei “porti chiusi”. Una strana droga che causava allucinazioni di massa tra i suoi fans. Carola Rackete, capitana della nave Ong, venne accolta con un arresto e costretta ad attraversare una piccola folla di gentaglia che la aggredì con offese di ogni sorta, anche o soprattutto sul piano personale. La capitana venne ripetutamente calunniata, oltre a ricevere offese di natura volgare e sessista, ma in quel porto sembrava fosse lei l’unica criminale. Tanto che nessuno degli agenti delle forze dell’ordine presenti sulla banchina si preoccupò di prendere le generalità dei calunniatori che pur ripetutamente erano stati allontanati dagli stessi funzionari in divisa e non.
Erano giorni in cui una modesta, e meschina, parte degli italiani era convinta – e voleva convincere – che quanto asserito dal suo guru fosse giusto e legittimo, che la maggioranza degli italiani la pensava allo stesso modo, e che la “scafista” e “trafficante di clandestini” – ed altre gliene dissero – stava violando le leggi italiane. Perfino la Guardia di Finanza si perse in questo assurdo meccanismo distruttore. Una piccola motovedetta delle Fiamme Gialle infatti fece di tutto per impedire il legittimo ormeggio della Sea Watch 3, al punto di compiere una manovra assurda, a marcia indietro, per ingombrare la parte di banchina ormai quasi raggiunta dal fianco della nave Ong, provocando un incidente che per il guru dei porti chiusi divenne subito – ed impropriamente – uno “speronamento”. Anche in tal senso poco è stata chiarita la dinamica e sfugge quindi alla pubblica opinione se quella manovra assurda della motovedetta fosse stata dettata da un eccesso di zelo del maresciallo che la comandava oppure una esecuzione di precisi ordini superiori. Fatto è che alla capitana Rackete diedero anche dell’assassina con un salto incomprensibile dall’accusa errata di speronamento al tentato omicidio fino alla semplificazione massima di omicida.
Da queste pagine, già prima dell’episodio nel porto di Lampedusa, abbiamo sempre tentato di spiegare perché il “decreto sicurezza bis” fosse incostituzionale, il perché delle ragioni giuridiche della Sea Watch 3 ed anche che non ci fu alcuno speronamento nel porto pelagico. Abbiamo raccontato tutto il possibile su cosa prevede la legge nazionale e quella sovranazionale, su cosa prescrive la Costituzione italiana e sul perché quel giorno si sarebbe infranto il famoso decreto di Matteo Salvini. Ma erano giorni in cui anche una certa parte di italiani si era forse ubriacata al Papeete ed in virtù di tale stato di ebbrezza credeva che “i giudici comunisti” volevano sovvertire le leggi imposte da chi era stato legittimamente eletto. Col senno di poi, anche tale “legittima” elezione andrebbe forse rivista se chi governava e legiferava a suon di decreti legge incostituzionali era incapace di intendere e di studiare. Ma tanto buono ed abbondante fu quel mojito che tanti italiani si convinsero davvero dell’idea che una pazza fuorilegge trasgredì ad una serie di leggi italiane e tentò perfino di uccidere dei militari di questo onorevole Stato sovrano. Era praticamente impossibile, ipnotizzati come erano dai trenta e più tweet quotidiani contenenti solo singole frasi-slogan, far comprendere loro che Carola Rackete non era una pazza criminale ma una persona preparata che aveva agito in perfetta ottemperanza alle leggi nazionali ed internazionali e che il “decreto Salvini” non le poteva impedire di agire come di fatto fece.
Oggi si torna a parlare di Carola Rackete perché la Suprema Corte della Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza con cui era stata posta la pietra tombale sulle accuse mosse contro la capitana della Sea Watch 3 ma anche sopra il “decreto sicurezza bis”, che vale adesso quanto uno strappo di carta igienica del bagno di un autogrill italiano. La Suprema Corte distrugge il decreto di Salvini spiegando in primis che “l’obbligo di prestare soccorso non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro“. Ed è difficile resistere alla tentazione di ricordare che proviamo a spiegarlo su Mediterraneo Cronaca già da prima del caso in oggetto. Ma in quei giorni la stampa nazionale si era persa tra i tweet, divenuti oracolo anche per le decisioni prese nel corso delle riunioni di redazione, e le poco rilevanti notizie da gossip intorno al caso. Sulle prime pagine di alcuni giornali schierati campeggiavano infatti il curriculum e lo stato economico di Carola Rackete, ma poco o nulla sul diritto internazionale. Soprattutto sul diritto che veniva infranto da un ministro della Repubblica oggi in attesa di probabili due rinvii a giudizio per sequestro di persona aggravato e sul quale si è conclusa una indagine per diffamazione partita dalla denuncia della stessa Carola Rackete, vittima quotidianamente diffamata dal responsabile italiano dell’ordine e la sicurezza.
I giudici della Suprema Corte, come oggi è possibile leggere pressoché ovunque, hanno stabilito che Carola Rackete aveva agito correttamente – cioè in scrupolosa ottemperanza delle vigenti leggi – e che pertanto non poteva essere arrestata. Hanno stabilito che il decreto sicurezza di Salvini non può derogare l’obbligo di soccorso in mare e non può neanche chiudere i porti impedendo il compimento dello stesso soccorso. Hanno inoltre stabilito che quell’invenzione della “nave da guerra” a cui Carola Rackete avrebbe disobbedito era un terribile fake – come già avevamo ampiamente spiegato su queste pagine – perché al comando della motovedetta in questione “non c’era un ufficiale della Marina Militare, come prescrivono le norme, ma un maresciallo delle Fiamme Gialle. Dunque Rackete ha agito in maniera ‘giustificata’ dal rischio di pericolo per le vite dei migranti a bordo della sua nave“. Avevamo provato a spiegare infatti che una motovedetta della Guardia di Finanza può essere “nave da guerra”, ma solo se delegata dalla Marina Militare italiana per la difesa militare dei confini o con un ufficiale della Marina Militare al comando, con issata la bandiera della Marina Militare italiana e con incarichi ben precisi che certo non sono quelli di impedire ad una nave civile carica di naufraghi esausti, soccorsi in mare giorni prima, di approdare in un porto sicuro. Era una manovra esagerata quella della motovedetta delle Fiamme Gialle, che non aveva motivo di mettere in pericolo nessuno, essendo l’eventuale violazione della Sea Watch 3 di natura amministrativa e quindi sanzionabile una volta sbarcato equipaggio e comandante della nave Ong.
Ai cosiddetti “ermellini”, i giudici della Suprema Corte, probabilmente non è neanche passata l’idea di precisare cosa per la lingua italiana è letteralmente uno speronamento. Di fatto è questione di cultura generale l’uso proprio della lingua italiana ed al massimo potranno decidere come comportarsi al riguardo i giudici che dovranno decidere sulla diffamazione che Carola Rackete ha subito da Matteo Salvini. Giudici che dovranno decidere anche sull’incitamento all’odio, forse anche perché a seguire il guru fu poi qualche milione di italiani (profili social veri o falsi che fossero) che ha twittato e postato stupidaggini in cui veniva definito “speronamento” o “tentato omicidio” l’incidente causato proprio dai militari della Guardia di Finanza. Il caso Rackete quindi si chiude con le motivazioni della Suprema Corte che ha stabilito cosa è stato giusto in passato ma anche e soprattutto cosa sarà giusto in futuro, quando qualcun altro dovesse pensare di raccogliere voti grazie all’ignoranza di chi è disposto a credere a farse come quelle dei porti chiusi e della “sovranità nazionale” fondata su decreti legge scritti da chi dovrebbe forse ripetere la scuola primaria. Carola Rackete è stata assolta, in ogni sede e per ogni ordine e grado, con sentenza definitiva ed inappellabile della Suprema Corte di Cassazione. Matteo Salvini invece deve ancora iniziare a subire tutti i processi che lo attendono. I fanatici che urlavano ingiurie all’indirizzo di Carola Rackete quel giorno a Lampedusa oggi farebbero bene a riflettere seriamente sul valore del silenzio e della cultura. Per tutti gli altri lasciamo un semplice quesito su cui interrogarsi: cosa vi aspettavate?
Sperando che tra le aspettative non ci fosse la mancata applicazione della legge dello Stato per favorire il successo di chi ritiene che essere eletto per consenso popolare conferisce in automatico il potere di violare le leggi a proprio piacimento e poi ingannare il popolo circa il proprio operato e la validità di esso.