di Mauro Seminara
Il Centro per i Rimpatri (CPR) di Caltanissetta, sito in località Pian del Lago, in Sicilia, doveva essere già chiuso per una ristrutturazione che si attende ormai da troppo tempo. Al suo interno le lamentele sono sempre più gravi ed all’ordine del giorno, e si susseguono anche fatti di cronaca che risultano sul filo dello sconfinamento di semplice coincidenza. Continue proteste che costringono frequenti interventi delle forze dell’ordine che a loro volta le reprimono come fosse un carcere. Già a gennaio ce ne eravamo occupati per un episodio di decesso di un migrante detenuto nel CPR a seguito del quale era esplosa la protesta. Una nuova protesta è stata messa in atto dai cittadini stranieri detenuti nel CPR nisseno lunedì, quando per dieci di loro era pronto il mezzo che li avrebbe condotti in aeroporto e da li in patria.
I migranti erano saliti sul tetto di un alloggio per manifestare contro il rimpatrio. Per reprimere la protesta pare fossero saliti anche gli agenti delle forze dell’ordine che si occupano della sicurezza intorno alla struttura. Ne sarebbe scaturito un intervento drastico ed uno dei manifestanti pare sia caduto giù dal tetto ferendosi gravemente alle gambe. Forse con una frattura alla caviglia, raccontano i migranti detenuti con lui. L’episodio, verificatosi lunedì mattina, è stato scoperto dalla rete LasciateCIEntrare che ha subito denunciato violenze nel CPR. “La polizia si è scagliata con violenza sui manifestanti, in particolare contro S., buttandolo a terra e determinando gravi ferite alle gambe ed alla caviglia”, denuncia la rete LasciateCIEntrare che poi aggiunge: “Nonostante il dolore e la richiesta di soccorso, soltanto dopo le proteste degli altri reclusi, stamattina (ieri, nda) è stato condotto in ospedale e quindi ‘ributtato’ nel CPR”.
Per verificare quanto accaduto ci siamo messi in contatto con due dei migranti rinchiusi nel CPR di Pian del Lago in attesa di rimpatrio. Quanto testimoniato da M. e da S. – preferiamo mantenere discrezione sui nomi – conferma la dinamica degli eventi. Il migrante caduto giù ha una caviglia fortemente dolorante ed era stato per questa ragione escluso dall’elenco di dieci che sarebbero dovuti partire per il rimpatrio in Tunisia. “Ci trattano come bestie”, racconta uno dei due testimoni che esprime anche la propria paura per i rischi da nuovo coronavirus che in Italia sta causando psicosi ma di cui loro non vengono informati. “Non ci dicono niente di questo virus, ma noi vediamo quelli che lavorano qui tutti con le mascherine”, racconta M. che poi chiede: “Cosa siamo noi, animali che si possono ammalare e morire tanto non interessa a nessuno?”.
“Nei CPR si muore e scoppiano le proteste, ma si nega l’ingresso alla società civile” è il titolo di un articolo che abbiamo pubblicato il 13 gennaio, l’indomani dell’articolo sul decesso del ragazzo detenuto nel CPR di Pian del Lago. Quando questa mattina abbiamo parlato con S. ci è stato detto proprio che “se i giornalisti potessero entrare in questo posto lo chiuderebbero l’indomani mattina”. Le condizioni denunciate da quest’altro migrante detenuto ricalcano quelle già descritte, ma anche quelle già conosciute. Il centro è inoltre in via di “svuotamento” e non riceve più migranti da rimpatriare in modo da raggiungere zero presenze e dare il via ai lavori. Ma fino ad oggi ci sono ancora circa venti persone dentro, e tra esse pare anche qualcuno che viveva in Italia da un paio di decenni. Adesso anche un persona che ha bisogno di cure mediche e che nelle condizioni in cui si trova non è stato riconsegnato alla sua patria.
Non è difficile riuscire a parlare italiano con i migranti detenuti. Ed in italiano ci è stato detto che le persone rimaste nel CPR vogliono sporgere denuncia contro il diritto a manifestare che gli è stato negato e contro la violenza di cui sono state vittime e per le quali si dichiarano pronte a testimoniare. Il caso avrebbe prodotto la facoltà di conferire con un avvocato, ma le persone con cui abbiamo parlato ci dicono che “non ci ispira nessuna fiducia”. L’episodio dell’aggressione delle forze dell’ordine potrebbe anche essere stato ingigantito dai migranti detenuti nel CPR per rallentare o impedire il rimpatrio avviando una denuncia con le conseguenze previste dalla legge, ma per appurare le reali condizioni nei CPR e negli hotspot/Cpsa italiani dovrebbe comunque essere consentito quell’accesso alla società civile che viene perentoriamente negato. Quello dei centri per migranti si candida pertanto a rimanere una zona grigia del diritto nazionale.