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Nuovi campi di concentramento ai confini dell’Europa

di Fulvio Vassallo Paleologo

Le immagini che arrivano dalle frontiere tra Turchia, Grecia e Bulgaria, ma anche quelle che conosciamo da tempo, provenienti da Bihac (Serbia), come le più note riprese video da Lesvos e dai centri di detenzione in Libia, sembrano confermare come la politica di esternalizzazione delle frontiere e di chiusura della cosiddetta fortezza Europa, con la sostanziale cancellazione del diritto di asilo, si sia trasformata in una preordinata pratica di annientamento della persona, per impedire anche ai richiedenti asilo l’ingresso in Europa e per ammonire tutti a non cercare vie di fuga verso quel continente che in passato era visto come uno spazio sicuro nel quale potevano essere riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana. Dopo avere fatto morire migliaia di persone in mare, nelle acque del Mediterraneo, per omissioni di soccorso o per deliberata attività di respingimento, adesso la pratica dell’annientamento si diffonde alle frontiere terrestri. Come si verificherà anche sulle sponde della Turchia dopo che Erdogan ha ordinato di bloccare le partenze dei barconi che fino a ieri venivano lasciati partire verso le isole greche.

Le situazioni più critiche, che in questo momento coinvolgono il maggior numero di persone si ritrovano tutte attorno alla Turchia, a sud verso la Siria ed a nord verso le isole dell’Egeo e la cd. rotta balcanica, attraverso la Grecia e la Bulgaria. L’inferno non è solo a Lesvos. Ovunque ai confini tra Grecia e Turchia, e nei Balcani, si moltiplicano gli spazi di contenimento che dovrebbero servire ad impedire l’attraversamento delle frontiere. Si tratta di spazi molto ristretti nei quali non si pratica neppure una detenzione amministrativa, ma nei quali le persone, spesso famiglie con bambini molto piccoli vengono lasciate al freddo, senza cibo e senza medicine, in modo da essere costretti a tornare indietro. Ma anche questa possibilità viene preclusa perchè la polizia di frontiera del paese di transito chiude qualsiasi via di ritorno, in modo che le persone, in molti casi donne e bambini, si trovano schiacciate tra due fuochi, senza alcuna possibilità di fuga. Il freddo e le malattie uccidono i più deboli. Per gli altri, per i sopravvissuti, è l’annichilimento e la perdita della dignità umana, da una parte e dall’altra della frontiera.

Da quando la Grecia ha “sospeso” unilateralmente l’applicazione della nrmativa europea in materia di protezione internazionale e la possibilità di accedere al territorio per chiedere asilo, alla frontiera del fiume Evros, che la separa dalla Turchia si è verificata non solo una catastrofe umanitaria, ma una situazione di guerra attorno ai profughi ristretti tra lo sbarramento di frontiera sorvegliato dai greci con le squadracce paramilitari di Alba Dorata e le forze armate turche che colpivano i posti di frontiera greci e spingevano verso le reti persone indifese ormai allo sbando. Una pratica di guerra, nella quale le persone sono state usate come proiettili, che ha fatto diverse vittime, da tre a cinque secondo quanto dichiarato dal presidente turco. Tutto quel tratto di confine è diventato un immenso campo di concentramento. Ma già due anni fa in quella zona i migranti venivano lasciati morire assiderati dal freddo, e nessuno ha mosso un dito per impedire alla Grecia respingimenti collettivi illegali, denunciati già lo scorso anno anche da Human Rights Watch.

Come osserva l’UNHCR, né la Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati né il diritto dell’Unione Europea in materia di asilo contemplano alcuna base legale che permetta di poter sospendere la presa in carico delle domande di asilo. A tale riguardo, il Governo greco ha evocato l’art. 78(3) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Tuttavia, le disposizioni in esso contenute permettono al Consiglio Europeo di adottare misure provvisorie, su proposta della Commissione Europea e in consultazione col Parlamento Europeo, nell’eventualità in cui uno o più Stati membri si trovino a dover far fronte a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso sul proprio territorio di stranieri cittadini di Paesi terzi, senza però prevedere la possibilità di sospendere il diritto di chiedere asilo e il principio di non-refoulement, entrambi riconosciuti dalle norme internazionali e ribaditi dal diritto dell’UE. Le persone che fanno ingresso irregolarmente sul territorio di uno Stato non devono essere sanzionate se si recano, senza indugiare, presso le autorità per presentare domanda di asilo”.

Anche la Bulgaria sta praticando una politica di sbarramento, diffondendo notizie rassicuranti sulla efficacia dei controlli di frontiera. Ma nessuno racconta quello che succede ai profughi bloccati in territorio turco di fronte al muro impenetrabile costituito dalle guardie di frontiera bulgare.

Secondo il Primo Ministro bulgaro Borissov “L’accordo con la Turchia è stato pienamente attuato. L’importante è che i bulgari dormano pacificamente perché ricordano la situazione ad Harmanli, nella zona di Ovcha Kupel e nel centro di Sofia (riferendosi a un afflusso passato di migranti) e quanto sia calma la situazione oggi”. Come osserva l’Osservatorio Balcani-Caucaso la situazione potrebbe presto aggravarsi anche al confine tra la Turchia e la Bulgaria.. Secondo l’Osservatorio la “tranquillità” di cui parla il primo ministro sarebbe garantita da gruppi paramilitari che operano lungo il confine, come l’unione militare “Vasil Levski” o le “squadre civili per la difesa delle donne e della fede”, già autori di abusi e violenza contro coloro che avevano attraversato il confine – attività che i media internazionali hanno ampiamente sottolineato, creando così un clima di paura. Sembra perciò che per adesso la maggior parte dei profughi sospinti da Erdogan verso le frontiere europee si sia diretta verso la Grecia, le cui frontiere appaiono più penetrabili.

Come riferisce l’ANSA ” È salito a 142.175 il numero dei migranti che secondo la Turchia si sono diretti dalle zone interne del Paese verso la frontiera con la Grecia per cercare di entrare nell’Ue, dopo che il governo di Ankara ha annunciato una settimana fa che non li avrebbe più fermati. Lo riferisce il ministro dell’Interno turco Suleyman Soylu. Ieri Soylu aveva parlato di 138 mila persone. Atene ha confermato finora circa 35 mila tentativi illegali di attraversamento impediti.” Una tragedia epocale affrontata a colpi di fucile, con diverse vittime, mentre l’opinione pubblica internazionale è inondata dagli allarmi sanitari. Secodo la stessa agenzia, ” Fonti governative greche accusano la Turchia di aver compiuto “attacchi coordinati” per “aiutare i migranti ad attraversare la recinzione sulla linea di confine”. Atene denuncia inoltre che Ankara avrebbe fornito ai profughi utensili per tagliare o danneggiare le recinzioni “.

In alcune aree più conflittuali si aggiungono anche le ronde private di gruppi neonazisti, come in Grecia Alba Dorata, che fanno vere e proprie battute di “caccia” ai profughi che comunque riescono a varcare la frontiera, soprattutto nella zona del fiume Evros che separa la Grecia dalla Turchia. Chi viene intercettato da questi gruppi paramilitari, formati da ex poliziotti o simpatizzanti dei movimenti neofascisti, anche di provenienza europea, rischia ancora di più, e può finire sbranato dai cani o subire le torture più atroci. I governi di destra che ormai controllano i paesi attraversati dalle rotte di ingresso in Europa, soprattutto il governo greco, danno ampia copertura a questi gruppi, come risulta da documenti che nessuno può mettere in dubbio.

Il governo di Ankara risulta sempre di più il grande regista di queste atroci violazioni dei diritti umani, che si diffondono come un contagio in tutti i paesi in cui cercano di arrivare i profughi, non solo siriani, ma anche afghani e di altre nazionalità, che cercano di passare dalla Turchia verso l’Europa. Anche il governo greco sta scaricando sui profughi tutte le contraddizioni della sua politica interna, nella quale hanno preso il sopravvento i partiti di destra. Ma è anche enorme la responsabilità delle autorità europee che continuano a ritenere Erdogan un partner essenziale per arrestare le persone in fuga dalle guerre e dalle persecuzioni verso i paesi dell’area Schengen. Una responsabilità che si concretizza nel rinnovo in vista degli accordi, il prossimo 9 marzo Erdogan sarà a Bruxelles, con la Turchia, e nel ruolo attivo assegnato all’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne FRONTEX, oggi ridefinita come “Guardia di frontiera e costiera europea”, un vero e proprio corpo di polizia dotato di motovedette ed autoveicoli militari, con dotazioni tecniche di prim’ordine, come i visori notturni, che interviene in sinergia con le guardie di frontiera dei paesi membri, operando respingimenti indiscriminati e procedendo ad espulsioni con accompagnamento fozato. Senza guardare alla violenza dei mezzi adottati.

Le condizioni delle persone che sono schiacciate da questi dispositivi militari, nazionali ed europei, si avvicinano sempre di più a quella di chi nel secolo scorso finiva rinchiuso in un lager, come già le immagini provenienti dai centri in detenzione in Libia ci hanno mostrato, senza che la comunità internazionale avverta l’urgenza di una vera evacuazione dalla Grecia ( o dalla Libia) e dia un sostegno concreto alle operazione di ridislocazione (resettlement) portate avanti a fatica dall’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. Che adesso, ha difficoltà ad operare al confine greco-turco e che a causa dei combattimenti in corso tra le milizie, ha dovuto chiudere i suoi uffici a Tripoli. I canali umanitari aperti fino ad ora hanno avuto il risultato di dimostrare che sono possibili canali legali di evacuazione dalle aree di crisi, ma hanno riguardato solo qualche migliaio di persone, nulla rispetto alla moltitudine che continua ad essere massacrata nelle aree di transito e nelle zone di frontiera, trasformate in enormi campi di concentramento a cielo aperto. Per chi fugge, c’è anche la pena di morte. Per chi sopravvive, la tortura praticata dalle bande paramilitari naziste.

Occorre interrompere al più presto le sofferenze delle persone intrappolate in spazi di contenimento alle fontiere terrestri trasformate in grandi campi di concentramento. Il filo spinato ai confini non separa più i paesi ma circonda le persone che cercano salvezza per loro e per le proprie famiglie. Quel filo spinato, quei soldati armati, sono i segni dell’annientamento che i governi europei ed i paesi terzi confinanti mettono in conto per dimostrare ai loro elettorati una effettiva capacità di controllo della mobilità dei migranti e di difesa dei confini nazionali. E purtroppo il consenso non gli manca, sotto la spinta dei partiti sovranisti e nazionalisti che si sono affermati in molti stati membri e condizionano le politiche della Commissione Europea guidata da Ursula von der Layen.

L’Unione europea dovrebbe essere in grado di dotarsi di una politica estera comune capace di incidere sulla soluzione dei conflitti che sono alla base della fuga della maggior parte delle persone che oggi sono schiacciate alle frontiere europee. La stessa Unione Europea dovrebbe poi adottare consistenti piani di evacuazione dalle zone in cui sono ristretti i profughi di guerra, perchè di questi si tratta nella maggior parte dei casi, e non di comuni migranti, sollecitando l’intera comunità internazionale a sostenere i programmi di resettlement delle Nazioni Unite. Se le istituzioni europee non andranno in questa direzione e se prevarranno ancora i partiti sovranisti e nazionalisti , l’esito finale, in un tempo che non possiamo ancora prevedere, ma che appare sempre più ineluttabile, sarà la guerra. Una guerra che si avvicina sempre di più. Come già stiamo verificando in Libia, al centro delle politiche di esternalizzazione delle frontiere in Africa, dove l’Unione europea ha sovvenzionato per anni le milizie più disparate per bloccare i migranti, e come stiamo vedendo adesso anche attorno alla Turchia, altro stato sul quale si è puntato per esternalizzare i controlli di frontiera ed arrestare la fuga dei profughi di guerra. Di altre guerre, con la guerra in Siria e le guerre mai risolte in Afghanistan e Iraq, che ancora adesso continuano a costringere alla fuga verso l’Europa centinaia di migliaia di persone.

Come nel secolo scorso l’orrore fascista e nazista culminarono nel secondo conflitto mondiale, e solo dopo questo, e dopo lo sterminio degli ebrei, chiusero il loro tragico ciclo storico, così adesso, se non ci sarà una svolta nelle politiche europee e nazionali in materia di immigrazione ed asilo, alla moltiplicazione degli spazi di frontiera come campi di concentramento corrisponderà un livello sempre più elevato di conflittualità internazionale ed interna. Che potrebbe portare lo stato di guerra a diretto contatto delle popolazioni che oggi in nome dell’emergenza, adesso anche sanitaria, credono di salvaguardare la loro sicurezza alzando muri e permettendo con la loro indifferenza il massacro di centinaia di migliaia di persone inermi.

Gli attuali organi decisionali europei, preoccupati della pressione politica esercitata dalle destre guidate da Orban, a partire dalla Commissione guidata dalla Presidente Von der Layen hanno dimostrato, anche nel loro recente viaggio al confine greco-turco, tutta la loro incapacità a difendere la pace, i diritti umani, i corpi dei migranti, gli stessi fondamenti costitutivi dell’Unione Europea, i diritti umani, consacrati nei Trattati, e garantiti nelle Direttive e nei Regolamenti. Per qualche burocrate europeo, si può anche sparare sui profughi, ma ” dipende dalle circostanze”.

Tocca ai cittadini europei, insieme alle vittime dei controlli sulle frontiere, i migranti, rompere l’isolamento nel quale i governi vorrebbero ricacciare le persone in fuga da guerre e persecuzioni di ogni genere, che poi è lo stesso isolamento nel quale vorrebbero fare precipitare gli stessi cittadini europei quando rivendicano i diritti fondamentali che vanno riconosciuti a qualunque essere umano. Un isolamento che parte da uno stretto controllo dei canali di informazione, e che si verifica nel dibattito politico, nel quale sembra avere voce soltanto chi grida contro i diversi, contro gli stranieri, contro i più poveri.

Per rompere questo isolamento, per scardinare le sbarre dei nuovi campi di concentramento ai confini dell’Unione Europea non possiamo attendere i tempi dei partiti o le convulsioni dei governi, occorre riconquistare protagonismo con la partecipazione diretta, con la prossimità ai luoghi di conflitto, le frontiere, e con la diffusione più ampia di ogni informazione che riguardi gli abusi subiti dalle persone intrappolate tra il filo spinato che segna il confine e i candelotti lacrimogeni di chi li respinge.

Vanno riaperti consistenti canali umanitari verso tutti i paesi dell’Unione europea, e verso altri paesi che offrano la loro disponibilità, nell’ambito di un coordinamento che dovrebbe essere garantito dalle Nazioni Unite. Innanzitutto occorre garantire l’evacuazione di chi viene ristretto nelle zone di frontiera trasformate in campi di concentramento.

Occorre infine alzare il livello della solidarietà offerta a chi è riuscito a scavalcare il filo spinato del confine, in un momento storico nel quale sta ritornando la criminalizzazione di tutti coloro che hanno fatto un ingresso irregolare, unico canale di accesso in Europa per chi chiede protezione.

Associazione Diritti e Frontiere:
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