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Covid-19, il disastro del sommerso dimenticato dal Governo

di Fulvio Vassallo Paleologo

L’aggravamento dell’epidemia di COVID 19 sta mettendo in evidenza, giorno dopo giorno, oltre al gran numero di vittime nelle aree più ricche del paese, anche le conseguenze devastanti del veto apposto dai partiti di centro-destra sulle proposte di regolarizzazione dei lavoratori immigrati senza permesso di soggiorno, avanzate già alla fine dello scorso anno. Come se non fossero già drammatiche le conseguenze dell’abolizione della protezione umanitaria e delle applicazioni restrittive dei “decreti sicurezza”, bandiera elettorale del precedente ministro dell’Interno Matteo Salvini. Che adesso non perde neppure occasione per scagliarsi contro le necessarie misure di indulto che stanno diventando l’ennesimo terreno di speculazione politica.

Le misure sempre più restrittive adottate in materia di libertà di circolazione stanno paralizzando interi settori dell’economia informale nei quali, soprattutto in agricoltura, erano impegnate decine di migliaia di lavoratori migranti e sta mettendo in crisi anche il lavoro di cura e di assistenza domestica, spesso a danno di quelle persone anziane che sono più vulnerabili al virus COVID 19 ed hanno maggiore bisogno di aiuto.

L’art. 1 del Decreto del Presidente del consiglio (DPCM) del 9 marzo 2020  prevede infatti limitazioni per la libertà di circolazione anche all’interno dello stesso comune, come tra comuni limitrofi, salvo che per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, motivi di salute. Una misura drastica, ulteriormente specificata dalla Circolare del 12 marzo del ministero dell’Interno, che finora non sembra avere arrestato la devastante diffusione del COVID 19, una misura che adesso rischia di essere ulteriormente inasprita, con l’impiego dell’esercito nelle strade ed il divieto di allontanamento da un area più ristretta attorno alle proprie abitazioni. Si è consegnato in questo modo un enorme potere discrezionale alle forze di polizia ed ai militari dell’esercito equiparati agli agenti di pubblica sicurezza con conseguenze devastanti ed irreversibili sul piano economico e sociale. Un potere che esercitato nei confronti di persone poco informate e spesso prive di capacità di comprensione linguistica, ha già prodotto diversi casi di fermo e di denuncia.

Gli effetti boomerang delle misure restrittive sul sommerso

Risulta evidente che chi non ha un valido permesso di soggiorno non può spostarsi neppure “per comprovate esigenze lavorative” e questo sta determinando il blocco della filiera agroalimentare, dal momento che gran parte dei lavoratori agricoli , stranieri, ma di recente anche italiani, presta la sua attività in condizioni di irregolarità e spesso al di fuori del comune di residenza. Da ultimo nelle campagne di Rosarno erano arrivati anche dipendenti di cooperative di lavoro provenienti dalla Sicilia, che prestavano la propria attività “in nero”.

Neppure le badanti che lavorano senza un regolare contratto in migliaia di famiglie possono dimostrare “comprovate esigenze lavorative” e la loro libertà di circolazione è stata totalmente soppressa. Nessuno lavoratore straniero privo di permesso di soggiorno ha fatto rientro nel proprio paese, e solo una minima parte si è trasferita in altri paesi europei, anche perché gli altri stati hanno chiuso le frontiere con l’Italia, prima che la Lega ottenesse di sbarrare i confini italiani. Sono tutte persone costrette ad una esistenza sempre più misera, senza reddito, in situazioni alloggiative precarie, di fatto condannati alla clandestinità. Le conseguenze della mancata regolarizzazione di queste persone, in termini di diffusione del COVID 19 in questo contesto saranno incalcolabili, mentre la mancanza di lavoratori stranieri, magari in regola con il permesso di soggiorno ma privi di un contratto di lavoro, avrà conseguenze economiche assai pesanti anche sul piano della fornitura di beni essenziali.

Occorre dunque che il governo proceda con urgenza all’adozione di un decreto legge che comporti l’emersione dei lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno, non solo per rimpinguare le casse dell’INPS e porre termine ad una imponente evasione contributiva, ma anche per garantire davvero quella sanità pubblica che non sarà certo assicurata dai blindati agli angoli delle strade. Questa regolarizzazione dovrà comprendere anche quei richiedenti asilo “denegati” che in questo momento, e per un periodo prevedibilmente assai lungo, non potranno fare rientro nel paese di origine, neppure se fossero oggetto di misure di accompagnamento forzato. Per la stessa ragione devono essere bloccati gli ingressi nei Centri per i rimpatri (CPR) con l’adozione delle misure alternative alla detenzione amministrativa previste dalla normativa interna e dalle Direttive europee.

Per tutti coloro che continuano a ricevere provvedimenti di respingimento differito o di espulsione bisogna procedere alla “registrazione”, ed alla stabilizzazione con un permesso di soggiorno temporaneo, purché si impegnino a risiedere in un luogo determinato, senza vagare in fuga da un territorio ad un’altro. Lo stesso tipo di titolo di soggiorno dovrebbe essere accordato ai detenuti stranieri che per effetto dell’indulto fossero rimessi in libertà e per i quali non si prospetta per lungo tempo alcuna possibilità di rimpatrio con accompagnamento forzato. Qualsiasi forma di clandestinità indotta dalle nuove misure adottate dal governo in materia di libertà di circolazione, se si pensa alla loro applicazione agli immigrati irregolari, non potrà che produrre l’effetto opposto di aggravare il rischio di circolazione del virus COVID 19 nel nostro paese.

Occorre procedere dunque alla moratoria di tutte le procedure di espulsione ed alla fine dell’internamento nei centri di permanenza temporanea CPR), al quale vanno sostituite misure alternative, oltre che per evidenti ragioni di carattere sanitario, perché l’espulsione o il respingimento con accompagnamento forzato in frontiera non è più eseguibile per la chiusura delle frontiere da parte dei paesi di origine che non accettano più voli di rimpatrio. Per tutti coloro che hanno un permesso di soggiorno in scadenza va prevista una proroga automatica di almeno un anno, a fronte dell’evoluzione della situazione sanitaria in Italia ed in tutte le altre parti del mondo.

Decreti avvitati tra sospensioni ed espulsioni impossibili

Il Decreto legge 2 marzo 2020, n.9, contenente misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 (G.U. Serie Generale n.53 del 2 marzo 2020), sospende per trenta giorni ” a) i termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi relativi al rilascio delle autorizzazioni, comunque denominate, di competenza del Ministero dell’Interno e delle Autorità provinciali e locali di pubblica sicurezza in materia di armi, munizioni ed esplosivi, esercizi di giochi e scommesse, agenzie di affari, fabbricazione e commercio di oggetti preziosi, istituti di vigilanza e investigazione privata, soggiorno degli stranieri, nonché dei procedimenti amministrativi concernenti le iscrizioni nei registri o negli elenchi previsti per l’esercizio di servizi di controllo nei luoghi di pubblico spettacolo e trattenimento o negli impianti sportivi; b) i termini per la presentazione della richiesta di primo rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno previsti, rispettivamente, in otto giorni lavorativi dall’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato e in almeno sessanta giorni prima della scadenza o nei sessanta giorni successivi alla scadenza, ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 4, e dell’articolo 13, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

La Circolare del Ministero dell’interno n. 0020359 del 9 marzo 2020 ha disposto poi la chiusura degli sportelli degli uffici immigrazione delle Questure in tutta Italia, tenute ad assicurare soltanto le procedure di espulsione e la ricezione delle richieste di protezione internazionale.

L’art. 10 comma 2 lettera a del decreto legge n.9 del 2 marzo 2020 ha stabilito la sospensione delle notifiche dei provvedimenti amministrativi. stabilendo che “ a decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 marzo 2020, nei procedimenti di cui al comma 1 e con le eccezioni  ivi previste sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto processuale, comunicazione  e  notificazione  che chiunque debba svolgere nelle regioni cui appartengono i comuni di cui  all’allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020.

Secondo l’art. 83 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18(Nuove misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare) , inoltre:

1. Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari sono rinviate d’ufficio a data successiva al 15 aprile 2020. 2. Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo. Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto. …(omissis)… . 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non operano nei seguenti casi: a) cause di competenza del tribunale per i minorenni relative alle dichiarazioni di adottabilità, ai minori stranieri non accompagnati,…(omissis)… procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona; …(omissis)…; procedimenti di convalida dell’espulsione, allontanamento e trattenimento di cittadini di paesi terzi e dell’Unione europea; procedimenti di cui agli articoli 283, 351 e 373 del codice di procedura civile e, in genere, tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti. In quest’ultimo caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal capo dell’ufficio giudiziario o dal suo delegato in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile e, per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del presidente del collegio, egualmente non impugnabile;

Come osserva il Consiglio Nazionale Forense, con riferimento al secondo comma dell’art. 83, “la disposizione, che chiarisce i dubbi che aveva ingenerato il d.l. n. 11/2020 , prevede la sospensione dei termini anche per i processi e le azioni di nuova introduzione, atteso l’espresso riferimento «alla proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi» nonché a «le impugnazioni».”Sospensione che, come si è visto, non vale però per i procedimenti in materia di espulsione e trattenimento nei CPR dello straniero. E sono frequenti i casi in cui alla notifica del diniego dello status di protezione segue un provvedimento di espulsione.

Secondo l’art. 104 dello stesso decreto legge n.18 del 17 marzo 2020, “(Proroga della validità dei documenti di riconoscimento) 1. La validità ad ogni effetto dei documenti di riconoscimento e di identità di cui all’articolo 1, comma 1, lettere c), d) ed e), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, rilasciati da amministrazioni pubbliche, scaduti o in scadenza successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto è prorogata al 31 agosto 2020. La validità ai fini dell’espatrio resta limitata alla data di scadenza indicata nel documento.” Una corretta interpretazione di questa norma non può escludere i permessi di soggiorno rilasciati a qualsiasi titolo dalle questure.

Se attenersi alle leggi viene vietato per decreto

La chiusura degli uffici immigrazione delle questure da nord a sud, con il blocco sostanziale delle richieste di appuntamento ancora consentite solo in casi speciali, ha determinato la impossibilità di accesso fisico per ottenere documenti di soggiorno, con difficoltà anche nel caso delle richieste di protezione internazionale. Tutti gli appuntamenti già fissati sono stati annullati e verranno riprogrammati, presumibilmente tra 30 giorni e comunque secondo le direttive che arriveranno in relazione al protrarsi o meno dell’emergenza. Con l’aggravamento dell’epidemia da COVID 19 questi termini saranno sicuramente protratti.

Le ultime ordinanze dei presidenti di Regione, o di qualche sindaco, come quella del presidente della regione Sicilia ( n. 6 del 19 marzo) precludono la libertà di circolazione a livelli ( si potrà uscire di casa per necessità non più di una sola volta al giorno e un solo membro della famiglia) che appare in contrasto con l’esercizio dei minimi diritti di difesa garantiti dall’art. 24 della Costituzione. Come potrà essere applicata questa ordinanza nei confronti di persone rinchiuse in un centro di accoglienza ?

La giurisprudenza dei Tribunali amministrativi in materia di ordinanze prefettizie che stabiliscono zone rosse, non lascia spazio a reali possibilità di rispettare effettivamente l’art.24 della Costituzione. E nella regione Campania il TAR ha respinto un ricorso contro l’ordinanza del presidente della regione che limitava quasi del tutto la libertà di circolazione delle persone.

Intanto sono proseguite le attività di notificazione da parte di alcune questure dei provvedimenti di diniego di protezione adottati dalle Commissioni territoriali, di diniego o revoca di permesso di soggiorno, o di proroga, disposte dai questori e di revoca delle misure di accoglienza, disposte dai prefetti. Senza che i destinatari, per le modalità ed i tempi della notifica presso uno studio legale, fossero messi in condizione di venirne tempestivamente a conoscenza e di proporre ricorso. E’ infatti sempre più evidente la difficoltà di reperire un avvocato e di raggiungere il suo ufficio, in un momento in cui la libertà di circolazione è fortemente limitata, ed addirittura esclusa per le persone che non hanno un valido titolo di soggiorno ed un contratto di lavoro o altre motivazioni urgenti ( ad esempio i motivi di salute), per giustificare i loro spostamenti. Quando le notifiche dei dinieghi, sempre più numerosi, sono avvenute presso gestori dei centri di accoglienza, a parte il livello di tensione che hanno prodotto, gli interessati non hanno potuto raggiungere gli studi di assistenza legale, né hanno potuto ricevere adeguata informativa al riguardo, anche perché nei centri sono state fortemente ridotte le persone capaci di fornire informazioni legali. Coloro che hanno ricevuto un diniego sono stati di fatto privati della possibilità di presentare un ricorso giurisdizionale.

Secondo quanto risulta dalle notizie pervenute dalla Liguria, dal Lazio e dalla Sicilia, alcune questure utilizzano lo strumento della posta elettronica certificata (PEC) per notificare ancora in questi giorni questi provvedimenti di diniego o di revoca agli avvocati degli interessati, che sarebbero poi tenuti a rispettare brevi termini perentori per la proposizione dei ricorsi, perché le circolari ed i decreti fin qui emanati non fanno chiarezza sulla sospensione dei termini in questa materia. Risulta pure che nel corso di alcuni procedimenti penali i termini concessi alla difesa non siano stai sospesi come quelli consentiti alle attività del pubblico ministero, con evidente violazione del principio costituzionale del giusto processo e con una violazione ancora più evidente dei diritti di difesa.

Per tutte queste ragioni occorre che il ministro dell’Interno impartisca direttive precise e vincolanti agli uffici di questura in modo da sospendere qualsiasi notificazione a mezzo PEC dei provvedimenti negativi che sono stati o saranno adottati nei confronti dei migranti e che il ministro della Giustizia richieda ai presidenti degli uffici giudiziari di garantire nei procedimenti penali l’equilibrio tra accusa e difesa in tutte le ipotesi di impugnazione.

In un momento in cui l’accesso alla giustizia è reso tanto difficile dalle limitazioni alla libertà di circolazione e in cui l’attività delle assemblee parlamentari è ridotta alla ratifica dei decreti d’urgenza adottati dal Governo, mentre si stratifica la decretazione d’urgenza (DPCM) riservata al Presidente del Consiglio, incombe sui ministri che hanno giurato fedeltà alla Costituzione garantire che i loro uffici operino, anche in tempi da “stato di emergenza”, nel più assoluto rispetto dei principi costituzionali.

APPELLO DELLA CAMPAGNA LASCIATECIENTRARE PER LA SANATORIA DEI MIGRANTI IRREGOLARI

Aderiamo e rilanciamo

Appello per la sanatoria dei migranti irregolari ai tempi del covid-19

Gli effetti positivi sarebbero molteplici

Per informazioni e adesionisanatoriasubito@gmail.com

Ai tempi del Coronavirus, lo sguardo e l’attenzione della politica e dei media sulla situazione in Italia si focalizzano sugli effetti sanitari, sociali ed economici della diffusione del virus, lasciando in stand by tutto ciò che costituisce mera ordinaria amministrazione.
In qualche modo è inevitabile: lo stato di emergenza porta con sé una serie di ricadute, sulle quali si stanno esprimendo con diversi approcci e punti di vista tanto opinionisti mainstream, quanto settori di movimento, interrogandosi su temi che vanno dalle conseguenze dei cambiamenti climatici e delle sperimentazioni bio-tecnologiche sulla diffusione dei virus, agli effetti dei processi di dismissione della sanità pubblica in favore dell’imprenditoria privata, alle tutele necessarie per assicurare reddito ai lavoratori, in specie precari, colpiti dalla sospensione o comunque dalla contrazione dell’attività e ancora al modello di società autoritaria che si sperimenta con l’adozione di misure che non solo limitano la socialità, ma comprimono diritti fondamentali quali quelli di riunione, di circolazione, di sciopero.

In questo scenario è scomparsa dal dibattito pubblico, semmai ci fosse entrata, la discussione, pur ancora allo stato embrionale, sulla possibilità per il governo di emanare un provvedimento di sanatoria dei migranti che soggiornano irregolarmente nel nostro Paese, tema oggetto dell’ordine del giorno votato il 23 dicembre 2019 dalla Camera dei Deputati in sede di approvazione della legge di bilancio [1] e ribadito dalla ministra dell’interno Lamorgese il successivo 15 gennaio 2020 [2]. Il tema, però, non può essere accantonato e rimandato a tempi migliori; anzi, diventa ancor più rilevante e urgente nella contingenza che ci troviamo ad attraversare.

Il punto di partenza non può che essere quello del numero degli immigrati sans papier presenti in Italia; nell’evidente impossibilità di censirli, ci si deve riferire alle ricerche effettuate dagli istituti specializzati [3], che quantificano in oltre mezzo milione a fine 2018 le presenze irregolari, un numero che è andato aumentando nel corso degli ultimi anni e che è destinato a crescere ancora in conseguenza delle politiche bipartisan adottate dai governi, che si sono succeduti nell’ultimo decennio.

Sono molteplici le cause della crescita del numero di presenze irregolari, a iniziare dalla natura strutturale dei fenomeni migratori, di fronte alla quale sono votate al fallimento le politiche di chiusura delle frontiere adottate dall’Unione Europea, e dagli scenari di crisi internazionale coi fronti bellici apertisi negli ultimi anni, in particolare in Libia, Siria e al confine russo-ucraino. A un contesto globale che spinge moltitudini a migrare, risponde l’assoluta inadeguatezza della gestione del fenomeno da parte dell’Europa e nello specifico dell’Italia.

Nel nostro Paese, alla endemica mancanza di canali regolari e continuativi di ingresso (il sostanziale azzeramento delle pur insufficienti opportunità offerte dai flussi annuali e l’abolizione della figura dello sponsor hanno di fatto blindato le frontiere) e di qualsiasi forma di regolarizzazione a regime per chi già si trovi nel territorio italiano, si devono aggiungere la riclandestinizzazione operata dalla legge Bossi-Fini (in conseguenza del rapporto inscindibile tra disponibilità di un lavoro e permesso di soggiorno) e gli effetti della controriforma salviniana, che ha abrogato le norme che consentivano il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ai richiedenti asilo.

Proprio il tema dei richiedenti asilo impone qualche, seppur breve, considerazione ulteriore: le domande presentate in Italia tra 2017 e 2018 sono state 175.000 circa [4]; al termine della procedura amministrativa per il vaglio delle richieste e dei gradi di giudizio per i ricorsi contro i provvedimenti di diniego (che si sono assestati tra il 60 e il 70%), è lecito attendersi che almeno altre 100.000 persone andranno ad aggiungersi al numero delle presenze irregolari. In assenza di un intervento legislativo, il numero dei migranti sans papier è quindi destinato a lievitare ulteriormente, ricomprendendo decine di migliaia di persone che, in virtù del permesso di soggiorno temporaneo come richiedenti asilo, per anni (tanto ci vuole a portare a esaurimento la procedura davanti alle Commissioni territoriali prima e i processi giurisdizionali poi) hanno costruito relazioni sociali, svolto attività di lavoro subordinato, o comunque lavori di pubblica utilità, frequentato corsi di lingua italiana, in vista di un inserimento sociale che viene bruscamente reciso all’esito del rigetto definitivo della domanda.

Delineata per sommi capi la situazione attuale e i suoi possibili sviluppi nel breve periodo, dovrebbe apparire evidente a chiunque che non è sostenibile la presenza in Italia di 700-800 mila stranieri sprovvisti del permesso di soggiorno, e quindi deprivati dei diritti elementari della persona e destinati allo sfruttamento intensivo del lavoro nero, a sistemazioni abitative precarie, in alcuni casi alla contiguità con la microcriminalità.

La soluzione al problema non può certo essere individuata nello strumento dell’espulsione, fosse anche solo, e così ovviamente non è, per l’impossibilità concreta di eseguirne un numero così ingente. La soluzione non può che essere una e una sola: un provvedimento di sanatoria generalizzata (senza altro requisito ulteriore rispetto al mero dato fattuale della presenza in Italia), che si accompagni alla previsione per il futuro di una regolarizzazione individuale a regime, che consenta di ottenere il permesso di soggiorno allo straniero, che ne sia sprovvisto e che presenti determinati requisiti (solo a titolo esemplificativo: un’offerta di lavoro, condizioni personali di vulnerabilità, uno sponsor che si faccia carico dell’ospitalità e del mantenimento, ecc.).

Si potrebbe concludere così: un provvedimento di regolarizzazione dei sans papier è necessario e urgente, anche ai tempi del coronavirus: anche se adesso l’emergenza è (o sembra essere) un’altra, anche se l’attenzione generale in questa fase si rivolge altrove, anche se qualcuno ne approfitterebbe per imbastire una becera propaganda politica, additando al “popolo” gli untori che attraversano il mare a bordo dei barconi.

Invece, i tempi del coronavirus rendono ancor più necessario e urgente l’intervento del Governo, perché adesso alle buone ragioni della sanatoria si aggiungono anche le esigenze di tutela della salute collettiva, compresa quella delle centinaia di migliaia di migranti privi del permesso di soggiorno, che non hanno accesso alla sanità pubblica.

Il migrante irregolare non è ovviamente iscritto al Sistema Sanitario Nazionale e di conseguenza non ha un medico di base e ha diritto soltanto alle prestazioni sanitarie urgenti. Il migrante sprovvisto del permesso di soggiorno, nei casi di malattia lieve (qualche linea di febbre, un po’ di tosse) non si rivolge alle strutture sanitarie, mentre nei casi più gravi non ha alternativa al presentarsi al pronto soccorso, il che contrasterebbe con tutti i protocolli adottati per contenere la diffusione del virus. Il sans papier ha timore di presentarsi in un ospedale, perché potrebbe incappare in un controllo che lo condurrebbe all’espulsione o alla reclusione in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio. Il “clandestino” è costretto a soluzioni abitative di fortuna, in ambienti spesso degradati e insalubri, condivisi con altre persone.
Insomma, gli “invisibili” sono per molti aspetti soggetti deboli, che se non sono più esposti al contagio del virus, più di altri rischiano di subirne le conseguenze: sanitarie, per la plausibile mancanza di un intervento tempestivo, ma anche sociali, per lo stigma cui rischiano di essere sottoposti a causa di responsabilità e inefficienze non loro ascrivibili.

Dovrebbe quindi essere evidente la necessità di “agganciare” anche queste centinaia di migliaia di persone: per contenere il loro rischio di contrarre il virus, perché possano con tranquillità usufruire dei servizi della sanità pubblica nel caso di sintomatologia sospetta, perché non diventino loro malgrado veicolo di trasmissione del virus. Affinché ciò sia possibile, però, devono essere sottratte oggi, ed è già tardi, alla condizione costretta di “invisibilità”, attribuendo loro pienezza di diritti, quanto meno di quelli che il sistema riconosce come diritti universali, in primis quelli alla salute e a un’esistenza degna.

Se stiamo davvero attraversando un’emergenza sanitaria, se davvero hanno un senso tutte le misure straordinarie fino a oggi adottate e che incidono così in profondità sulle vite di tutte e tutti, allora deve essere sanatoria per tutte le persone migranti che non hanno un permesso di soggiorno, subito!

Per aderiresanatoriasubito@gmail.com

Promotori:
Legal Team Italia, Campagna LasciateCIEntrare, Progetto Melting Pot Europa, Medicina Democratica

Prime adesioni (in aggiornamento):
Associazione Diritti per tutti – Brescia, Associazione Giuristi Democratici Ambasciata dei Diritti – Ancona; Associazione La Kashab – Cosenza; Antenne Migranti – Bolzano, Associazione Portamico – Ferrara, Borderline Sicilia onlus, Bozen solidale, Osservatorio Migranti Verona, Rete antirazzista catanese, Associazione Open Your Borders – Padova; Mai più Lager – No ai CPR; Associazione Bianca Guidetti Serra; Osservatorio Repressione; Associazione Senza Confine – Roma; Associazione Yaiariha onlus; Cooperativa Caracol, Marghera Venezia; Associazione Caminantes, la casa è un diritto – Treviso; Scioglilingua – Bolzano; Confederazione Cobas Brescia; Cobas Scuola Catania; Europa Verde, Rifondazione Comunista Sinistra Europea; Potere al Popolo; Europa Verde…

Note

[1] La Camera, premesso che:
in attesa di una riforma strutturale che consenta la regolarizzazione su base individuale degli stranieri già radicati nel territorio, come prevede la proposta di legge d’iniziativa popolare C. 13 recante «Nuove norme per la promozione del regolare soggiorno e dell’inclusione sociale e lavorativa di cittadini stranieri non comunitari», un provvedimento straordinario di emersione dall’irregolarità rivolto a quei cittadini stranieri – già presenti nel nostro Paese ma senza un regolare permesso di soggiorno – che hanno un lavoro ma non hanno i documenti per essere assunti, costituirebbe una vera e propria «operazione legalità»;
con l’emersione di 400.000 persone – quindi una parte dei 500.000-600.000 irregolari presenti sul nostro territorio – si stima circa 1 miliardo di euro di gettito fiscale e oltre 3 miliardi di maggiori contributi previdenziali;
le modalità di emersione possibili potrebbero essere diverse; sul modello delle sanatorie del passato, si potrebbe prevedere la possibilità di legalizzazione ed emersione del lavoro nero rivolto ai datori di lavoro a fronte dell’autodenuncia di un già esistente rapporto di lavoro, con il contestuale rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro al lavoro. In alternativa, aprendo una finestra per la regolarizzazione dei cittadini stranieri irregolari già presenti in Italia, si potrebbe prevedere a fronte dell’immediata disponibilità di un contratto da parte di un datore di lavoro, il rilascio di un permesso di soggiorno col pagamento di un contributo forfettario di 200 euro all’atto della stipula del contratto da parte del datore di lavoro per ogni lavoratore assunto;
uno studio commissionato dall’Inps nel 2017 ha valutato gli effetti di lungo periodo del provvedimento del 2002; un anno dopo, su 227 mila lavoratori di 107.000 imprese private emersi in quell’occasione, nove su dieci immigrati lavoravano ancora in Italia; dopo cinque anni erano ancora l’85 per cento;
gli effetti positivi di questa operazione «legalità» per la collettività sarebbero molteplici. Si offrirebbe l’opportunità di vivere e lavorare legalmente nel nostro Paese a chi già si trova sul territorio ma che, senza titolo di soggiorno, è spesso costretto per sopravvivere a rivolgersi ai circuiti illeciti; si andrebbe incontro ai tanti datori di lavoro che, bisognosi di personale, non possono assumere persone senza documenti, anche se già formati, e ricorrono al lavoro in nero (come nel caso del lavoro domestico); infine, con l’emersione si avrebbero maggiore controllo e contezza delle presenze sui nostri territori di centinaia di migliaia di persone di cui oggi non sappiamo nulla, e quindi maggiore sicurezza per tutti, impegna il Governo a valutare l’opportunità di varare un provvedimento che, a fronte dell’immediata disponibilità di un contratto di lavoro, consenta la regolarizzazione dei cittadini stranieri irregolari già presenti in Italia, prevedendo all’atto della stipula del contratto il pagamento di un contributo forfettario da parte del datore di lavoro e il rilascio di un permesso di soggiorno per il lavoratore.

[2] Risposta a interrogazione orale, pag. 22 del resoconto stenografico della seduta della Camera dei Deputati del 15 gennaio 2020: “L’intenzione del Governo e del Ministero dell’Interno è quella di valutare le questioni poste all’ordine del giorno che richiamavo in premessa, nel quadro più generale di una complessiva rivisitazione delle diverse disposizioni che incidono sulle politiche migratorie e sulla condizione dello straniero in Italia

[3] La Fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) nel suo XXV Rapporto stima in 562.000 unità la componente irregolare al 1° gennaio 2019, su una popolazione straniera complessiva di 6.220.000 persone.

[4] Dati forniti da Eurostat, ufficio statistiche dell’Unione Europea nella scheda annuale di statistiche in materia di asilo.

Associazione Diritti e Frontiere:
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