di Fulvio Vassallo Paleologo
Nei primi giorni di aprile entrerà in attività l’operazione EUNAVFOR MED IRINI lanciata dall’Unione Europea per contrastare il traffico di armi verso la Libia, dove malgrado le conferenze internazionali ( da ultimo a Berlino) e il diffondersi della pandemia da COVID-19, continuano i combattimenti tra l’esercito (LNA) del generale Haftar e le milizie del governo di Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale come unico governo legittimo del paese. Un governo che in realtà non riesce a controllare che una minima parte del territorio nazionale, ma che detiene il controllo delle unità navali delle milizie che controllano le città costiere, che si qualificano come “Guardia costiera libica”. Malgrado gli appelli delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea per una sospensione di tutte le attività belliche, il conflitto libico si è incrudelito ancora in questi giorni. Dopo avere bombardato centri abitati il generale Haftar è arrivato adesso ad impedire la diffusione dei presidi contro la pandemia del COVID-19, nel silenzio dell’Unione Europea. Ma a livello internazionale si continua a parlare di una zona SAR (ricerca e soccorso) “libica”, come se il paese avesse ancora un governo unitario con una unica organizzazione militare e con un’unica guardia costiera, capace di coordinarsi negli interventi di ricerca e salvataggio. Un esposto. sottoscritto da diverse associazioni, contro il riconoscimento di una zona SAR “libica”, è stato presentato all’IMO (Organizzazione internazionale del mare facente capo alle Nazioni Unite) perchè questa finzione venga cancellata. Una finzione che è costata negli anni migliaia di vite umane.
Secondo quanto affermato dai vertici europei a Bruxelles, l’operazione IRINI, che sostituisce la fallimentare missione EUNAVFOR MED denominata Sophia, dovrebbe rivolgersi all’attuazione dell’embargo sulle armi imposto dall’ONU con mezzi aerei, satellitari e marittimi. Obiettivo prevalente sarà dunque il contrasto del traffico di armi, che alimenta il conflitto civile libico, e solo occasionalmente i mezzi appartenenti alla operazione IRINI dovrebbero restare coinvolti in attività di ricerca e salvataggio (Search and Rescue – SAR). Che comunque restano un preciso obbligo stabilito dalle Convenzioni internazionali per tutte le unità civili o militari che si imbattono in persone in pericolo in mare, o vengono a conoscenza dell’esistenza di una imbarcazione in situazione di distress, quindi a rischio di fare naufragio. Anche per le persone che saranno soccorse dalle navi dell’operazione IRINI si dovrà comunque rispettare il divieto di respingimento affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra e già operante per tutte le attività della precedente missione europea EUNAVFOR MED-Sophia. Quindi, nessun naufrago soccorso in acque internazionali (oltre 12 miglia dalla costa), anche se nella cosiddetta zona SAR, impropriamente riconosciuta a livello IMO (Organizzazione delle Nazioni Unite per il mare) alle autorità di Tripoli, potrà essere riconsegnato ai guardiacoste libici o riportato a terra.
Decisioni europee e responsabilità a Roma
Il comando operativo di EUNAVFOR MED IRINI, a guida italiana, avrà sede a Roma. Il controllo politico e la direzione strategica saranno invece demandate alle autorità europee, in particolare al cosiddetto comitato politico e di sicurezza (CPS), sotto la responsabilità del Consiglio e dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (AR). Il teatro dell’operazione, la zona di interesse e le disposizioni dettagliate per la raccolta di informazioni in tali zone al fine di adempiere a tutti i compiti dell’operazione sono definiti nei pertinenti documenti di pianificazione approvati dal Consiglio.
Quale compito “secondario”, nonché nei limiti dei suoi mezzi e delle sue capacità, EUNAVFOR MED IRINI svolge attività di controllo e sorveglianza e raccoglie informazioni sulle esportazioni illecite di petrolio dalla Libia, compresi il petrolio greggio e i prodotti del petrolio raffinati.
Secondo quanto deciso dal Consiglio, “come altro compito secondario e in conformità dell’UNSCR 2240 (2015), EUNAVFOR MED IRINI sostiene l’individuazione e il controllo delle reti di traffico e tratta di esseri umani attraverso la raccolta di informazioni e il pattugliamento in alto mare effettuato con mezzi aerei, nel teatro dell’operazione convenuto“. Appare molto equivoca l’espressione “pattugliamento in alto mare effettuato con mezzi aerei” anche se rimane nel solco della attività residua degli assetti militari dell’agenzia FRONTEX, ancora impegnata nel Mediterraneo centrale, anche dopo il ritiro della maggior parte degli assetti navali. Si può presumere che le informazioni raccolte dagli aerei dell’operazione IRINI, inclusi gli eventuali avvistamenti di imbarcazioni da soccorrere, arriveranno prima alle autorità libiche che alle competenti autorità marittime italiane e maltesi.
Come è espressamente richiamato nella Decisione del Consiglio, “L’autorizzazione dell’operazione dovrebbe essere riconfermata ogni quattro mesi e il CPS, nell’esercizio del controllo politico e della direzione strategica dell’operazione, dovrebbe essere autorizzato ad adottare una decisione che proroghi l’operazione a meno che lo schieramento dei mezzi marittimi dell’operazione non produca sulla migrazione un effetto di attrazione sulla base di prove fondate raccolte conformemente ai criteri stabiliti nel piano operativo” . Ed a proposito del contrasto della tratta e del traffico di esseri umani, riguardo alla collaborazione con le autorità libiche, si precisa soltanto che ”l’operazione contribuisce anche a smantellare il modello di attività delle reti di traffico e tratta di esseri umani, a norma del diritto internazionale applicabile, ivi compresi la Convenzione dell’ONU sul diritto del mare (UNCLOS), le pertinenti risoluzioni dell’UNSCR e le leggi internazionali sui diritti umani applicabili“. Sorprende il mancato richiamo delle Convenzioni di Amburgo (SAR) del 1979 e SOLAS, come manca qualsiasi riferimento ai Regolamenti europei Frontex n.656 del 2014, e n.1624 del 2016, che impongono a tutte le unità coinvolte in attività SAR precisi obblighi di soccorso immediato e di sbarco in un luogo sicuro. (place of safety).
Si ripropone così, in un atto ufficiale dell’Unione Europea che definisce i termini di una missione militare in mare, di fronte alle coste libiche, la tesi del cosiddetto “pull factor” derivante dalle operazioni di ricerca e soccorso in mare, e dunque dai salvataggi di naufraghi come un fattore di attrazione delle partenze di barconi. Una tesi che è stata già causa di migliaia di morti e della “guerra” praticata da diversi stati e da Frontex, a partire dal 2017, nei confronti delle navi umanitarie inviate dalle ONG nel Mediterraneo centrale.
Nelle prime linee operative rese note sulla nuova missione IRINI, coperta in parte dal segreto militare, si è appreso che gli eventuali naufraghi soccorsi dalle unità navali europee verranno sbarcati in Grecia (che ha preteso per questo un congruo compenso economico) e non più in Italia, come avveniva negli anni passati con le persone soccorse dalle navi europee dell’operazione Sophia. Ma già il precedente governo italiano aveva decretato la fine prematura dell’operazione notificando a Bruxelles la chiusura dei porti italiani anche per le navi militari della missione, che si chiude con un fallimento annunciato, al 31 marzo di quest’anno.
Il rapporto con i libici prosegue
Purtroppo dai documenti pubblicati dal Consiglio dell’Unione Europea si apprende anche della prosecuzione delle attività di formazione della sedicente “Guardia costiera libica” da parte delle unità della missione IRINI, una attività di formazione, che spesso si traduce in cooperazione operativa e che lo scorso anno è stata all’attenzione dei media perchè, nell’ambito dei progetti di formazione congiunta, uno dei più noti trafficanti libici, nei panni di componente della stessa Guardia costiera libica, il comandante Bija (in foto) di Zawia, è arrivato in Italia. Questo ambiguo personaggio, dopo un primo incontro nel CARA di Mineo, ha potuto visitare il Ministero dell’interno e la Centrale operativa della Guardia costiera italiana a Roma, e su queste vicende non si conosce ad oggi a che punto siano le attività di indagine da parte dell’autorità giudiziaria italiana. Ma sulla sedicente guardia costiera libica, e sui suoi rapporti con le autorità italiane sta indagando anche il Tribunale Penale Internazionale. Malgrado questo precedente, la decisione del Consiglio dell’Unione Europea che vara la missione IRINI prevede che “In considerazione dei requisiti operativi eccezionali”, parte dell’attività di formazione “può essere svolta in uno Stato membro, su invito di quest’ultimo, anche in centri di formazione pertinenti”.
In base alla rinnovata collaborazione con i libici, “EUNAVFOR MED IRINI istituisce e gestisce un meccanismo di controllo in stretto coordinamento con altre pertinenti parti interessate, anche, se necessario, in Libia”. E ancora “In caso di esigenze operative specifiche, l’AR (Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza) è autorizzato, previa approvazione del PSC (Comitato politico e di sicurezza), a comunicare alle legittime autorità libiche le informazioni classificate UE fino al livello ‘RESTREINT UE/EU RESTRICTED’ prodotte ai fini di EUNAVFOR MED IRINI, conformemente alla decisione 2013/488/UE”. E’ evidente che quando si parla di “legittime autorità libiche” si fa riferimento soltanto al governo Serraj a Tripoli, e implicitamente alla Marina ed alla Guardia costiera che da questo governo dipendono. A meno che qualcuno a Bruxelles non cominci ad intendere come “legittima autorità libica” anche il generale Haftar ed il Parlamento di Tobruk. Appare comunque sintomatica la previsione espressa, contenuta nella decisione del Consiglio europeo, secondo cui “l’operazione EUNAVFOR MED IRINI istituisce e gestisce un meccanismo di controllo in stretto coordinamento con altre pertinenti parti interessate, anche, se necessario, in Libia”. Non è affatto scontato che “le pertinenti parti interessate” si riducano “alla legittima autorità libica”.
Secondo quanto comunicato da Bruxelles, le navi della missione IRINI saranno dislocate più ad est di quanto non fossero schierate le navi della precedente missione Sophia, quindi davanti alle coste della Cirenaica e non davanti alle coste della Tripolitania, dalla quale partono ancora, seppure in misura ridotta rispetto al passato, i barconi che puntano verso le acque internazionali. Questo schieramento navale inciderà poco sui rifornimenti di armi che comunque continueranno ad arrivare alle milizie che si combattono in Libia, nel senso che resterà sicuramente aperta ( oltre alle vie terrestri da sud) anche la rotta che punta su Misurata e Tripoli da Malta o dai corridoi del traffico commerciale internazionale che corrono paralleli in acque internazionali al largo delle coste libiche. Non è prevedibile ad oggi quanto questo schieramento, che sembra motivato dall’esigenza di evitare il “rischio” di dovere soccorrere troppi naufraghi in partenza dai porti della Tripolitania, come Zawia, Garabouli o Sabratha, se non Zuwara), possa incidere sul conflitto libico. Di certo il conflitto si inasprisce sempre di più, anche in questi giorni, con attacchi che colpiscono il porto ma anche la popolazione civile, persino al centro di Tripoli, malgrado da più parti si sia richiesta una tregua a fronte del rischio di diffusione del COVID-19 sul territorio libico. Si dovrà comunque verificare l’atteggiamento del generale Haftar dopo l’avvio della nuova operazione EUNAVFOR MED.
Una operazione europea senza Unione europea
Con il lancio dell’operazione denominata IRINI l’Unione Europea cerca di diffondere l’immagine di un soggetto politico coeso che gioca un ruolo in uno scenario che ormai è definito da ben altri attori, la Russia e l’Egitto, dalla parte del generale Haftar, la Turchia dalla parte del governo Serraj a Tripoli. Una crudele partita militare che si incrocia con enormi interessi economici, come è emerso dagli accordi stipulati tra il governo di Tripoli e la Turchia per lo sfruttamento delle immense risorse energetiche che si trovano nel Mediterraneo orientale, dove già l’Italia aveva uno stabile rapporto di collaborazione con l’Egitto per lo sfruttamento del giacimento petrolifero Zohr. In questo scenario l’Unione Europea è andata già in frantumi per l’ambiguità delle posizioni della Francia e per la concorrenza che le grandi compagnie petrolifere di altri paesi fanno all’ENI, da tempo protagonista delle attività estrattive di petrolio in quelle regioni.
Si potrà verificare presto come l’avvio dell’operazione IRINI corrisponda al suicidio politico dell’Unione Europea, divisa persino sulla battaglia per contrastare la diffusione del COVID-19, e capace soltanto di trovare una posizione unitaria quando si tratta di finanziare operazioni di rimpatrio forzato, attraverso l’agenzia Frontex. Ma si tratta di operazioni ormai impraticabili, come appare priva di prospettive la collaborazione con regimi autoritari come la Turchia di Erdogan, per chiudere tutte le vie di fuga ai potenziali richiedenti asilo provenienti dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan, dal Pakistan. Qualunque scelta dell’Unione Europea sembra ormai orientata a chiudere qualsiasi via di accesso di potenziali richiedenti asilo in Europa, in palese violazione del principio di accesso ad un territorio, almeno per presentare una istanza di protezione internazionale, sancito dalla Convenzione di Ginevra. La diffusione della pandemia di Covid-19 non potrà che produrre una serie di ulteriori sbarramenti delle frontiere.
Irini e Frontex
Questa ultima operazione di law enforcementi, denominata IRINI, non potrà certo incidere su quelli che si continuano a definire come “flussi migratori illegali”, ma potrebbe anche allontanare le possibilità di composizione del conflitto libico. Certamente non riuscirà ad intercettare il traffico di armi e di petrolio nel Mediterraneo che, dopo la riduzione quasi totale delle partenze dalla Libia, rimane al centro degli interessi economici e militari che stanno lacerando quello che rimane di uno stato che ormai non si può più definire “unitario”. Saranno altri gli attori politici e le componenti militari che intercetteranno i traffici di armi e decideranno la guerra civile libica.
Si prevede che gli assetti dell’operazione IRINI coopereranno con le pertinenti autorità degli Stati membri e si stabilisce un meccanismo di coordinamento nonché, se del caso, conclude accordi con altri organismi e agenzie dell’Unione, in particolare FRONTEX, EUROPOL, EUROJUST, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, il centro satellitare dell’Unione europea (SATCEN) e le pertinenti missioni PSDC ( Art. Par.3. Non si chiarisce pubblicamente tuttavia quale sarà il rapporto tra la missione IRINI e gli assetti navali ed aerei operanti nel Mediterraneo nel quadro delle operazione dell’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX), che sembra dunque destinata ad operare secondo autonome linee di comando.
Si specifica soltanto che “ EUNAVFOR MED IRINI ospita una cellula sulle informazioni sui reati (“CIC”) composta da personale delle pertinenti autorità incaricate dell’applicazione della legge degli Stati membri e delle agenzie dell’Unione di cui al paragrafo 3, al fine di facilitare la ricezione, la raccolta e la trasmissione di informazioni, compresi i dati personali, sull’embargo sulle armi nei confronti della Libia di cui all’articolo 2, sulle esportazioni illecite dalla Libia di petrolio di cui all’articolo 3, e sul traffico e sulla tratta di esseri umani di cui all’articolo 5, nonché sui reati pertinenti per la sicurezza dell’operazione”.
Si prevede poi che “Fatta salva l’autonomia decisionale dell’Unione o del quadro istituzionale unico e in base agli orientamenti pertinenti del Consiglio europeo, gli Stati terzi possono essere invitati a partecipare all’operazione. 2. Il Consiglio autorizza il CPS a invitare gli Stati terzi a offrire un contributo e ad adottare, su raccomandazione del comandante dell’operazione dell’UE e dell’EUMC, le pertinenti decisioni in merito all’accettazione dei contributi proposti. 3. Le disposizioni particolareggiate per la partecipazione di Stati terzi sono oggetto di accordi conclusi a norma dell’articolo 37 TUE e secondo la procedura di cui all’articolo 218 TFUE. Quando l’Unione e uno Stato terzo hanno concluso un accordo che istituisce un quadro per la partecipazione di quest’ultimo alle missioni dell’Unione di gestione delle crisi, le disposizioni di tale accordo si applicano nell’ambito di EUNAVFOR MED IRINI. Si prevede inoltre che “Gli Stati terzi che forniscono contributi militari significativi a EUNAVFOR MED IRINI hanno gli stessi diritti e gli stessi obblighi, in termini di gestione quotidiana dell’operazione, degli Stati membri che vi partecipano”. Come saranno applicate queste previsioni rispetto a paesi che non garantiscono il diritto di asilo ed il rispetto dei diritti umani, come la Libia e l’Egitto, rimane un mistero.
L’Unione europea rinnega se stessa
Un suicidio politico dell’Unione Europea, dunque, negli stessi giorni in cui Orban imprime una svolta autoritaria all’Ungheria e Bruxelles non va oltre qualche balbettio. Un suicidio politico certificato, al di là del generico richiamo a qualche Convenzione internazionale di diritto del mare (UNCLOS), anche dal tentativo di abbandonare quelle regole di soccorso in mare che avevano caratterizzato i Regolamenti europei FRONTEX n.656 del 2014 e n.1624 del 2016, atti vincolanti per tutti i paesi europei, ma che ultimamente sono stati ridimensionati, nella loro concreta operatività nel soccorso, dalle decisioni della Commissione e del Consiglio. E le pattuglie di Frontex collaborano con le autorità greche e turche nelle attività di respingimento dei profughi che tentano di attraversare l’Egeo o di entrare in Europa superando il fiume Evros. Ovunque i mezzi di Frontex si sono distinti per la loro collaborazione nelle operazioni di push-back, magari soltanto attraverso il tracciamento aereo, piuttosto che nelle attività di soccorso dei naufraghi ai quali avrebbero dovuto garantire un porto di sbarco sicuro. E intanto i costi sono saliti a livelli intollerabili per il bilancio europeo, ormai avaro verso le misure di accoglienza e soccorso. Difficile pensare che il mandato conferito all’operazione IRINI, che accenna solo come obiettivo secondario al contrasto del traffico e della tratta di esseri umani, senza fare alcun riferimento ad obblighi di salvataggio, possa comportare un maggior rispetto per la vita delle persone e per il divieto di respingimento affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra e dal diritto internazionale.
Di fronte a questa cinica politica dell’abbandono in mare, nella quale anche gli stati più esposti, come la Spagna, l’Italia, Malta e la Grecia hanno un enorme carico di responsabilità, rimane soltanto l’estremo tentativo della società civile e delle Organizzazioni non governative di continuare le attività di monitoraggio e di soccorso nelle acque del Mediterraneo. La nave Alan Kurdi è finalmente riuscita a partire da un porto spagnolo, dopo una serie di ostacoli burocratici ed è adesso in rotta per raggiungere le acque della cosiddetta zona SAR “libica“, il tratto di mare più mortale di tutto il Mediterraneo.
Ancora una volta, contro le attività di ricerca e salvataggio di questa piccola nave, si dispiegherà tutto l’imponente apparato politico, militare e mediatico che negli anni ha costretto tutte le altre navi delle ONG al ritiro. La diffusione della pandemia da COVID-19 sarà utilizzata per rallentare le operazioni di soccorso con ogni pretesto, come già avvenuto con le ultime missioni della Ocean Viking di Sos Mediterraneé. Ma la società civile, le organizzazioni non governative e gli operatori umanitari continueranno comunque a testimoniare le gravissime violazioni degli obblighi di soccorso in mare da parte degli stati, ed a cercare in qualunque modo, anche con la più ampia circolazione di informazioni, a dare il loro contributo per salvare il maggior numero di persone in fuga dalla Libia.