di Fulvio Vassallo Paleologo
Da una breve nota di cronaca locale si apprende che “un ragazzo di 20 anni, di nazionalità ghanese, è morto in circostanze ancora da chiarire in un centro di accoglienza di Aragona, in provincia di Agrigento. Secondo le prime testimonianze, si sarebbe deciso di effettuare il tampone post mortem, per comprendere se si tratta di un caso di Coronavirus (sarebbe il secondo nel paese)”. Si riferisce anche che il ragazzo, un richiedente asilo politico, nelle settimane precedenti aveva avuto febbre e diarrea. Secondo le stesse fonti, sarebbe stato disposto il “protocollo COVID-19” con l’isolamento della struttura, la “immediata quarantena per i 24 extracomunitari ospiti e per tutti gli operatori della struttura”, senza però alcun accenno alla doverosa tempestiva effettuazione di un tampone per tutti coloro che sono stati sottoposti alle misure di isolamento. Le circostanze del decesso non appaiono affatto chiare. Sembrerebbe che il giovane sarebbe rimasto a lungo, dopo la morte, all’interno della struttura. Circostanze che andrebbero chiarite dalla magistratura, quale che sia l’esito del tampone per il COVID-19.
La notizia viene riferita nella chiave di rassicurare sull’immediato isolamento di un potenziale focolaio di infezione, ma non si aggiunge nulla sulla situazione del ragazzo nei giorni precedenti al suo decesso, né tantomeno sulle cure che avrebbe dovuto ricevere nei giorni nei quali accusava diversi segni di malessere. E su altri canali di informazione non mancano attacchi a giovani stranieri che escono dai centri di accoglienza, magari soltanto per continuare a lavorare o per acquistare beni essenziali. Attendiamo quindi l’esito del tampone, che deve essere immediatamente effettuato anche per gli altri ospiti della struttura di Aragona e per gli operatori, ma dobbiamo chiedere anche un esame autoptico completo che faccia chiarezza sulle reali cause della morte. Speriamo soltanto che si possa procedere poi senza altri intoppi al rimpatrio della salma. Intanto, in attesa di aggiornamenti su questo caso, possiamo svolgere alcune brevi considerazioni.
Chi era il giovane migrante
Il ragazzo era giunto in Italia tre anni fa, quando era ancora minorenne, e come tale era stato ospitato in un centro SPRAR per minori accompagnati fino al compimento della maggiore età. Successivamente era stato trasferito in un centro di accoglienza straordinaria (CAS), anche per effetto del decreto legge Salvini n.113/2028 (legge n.132 del 2018) che destrutturava il sistema dei centri SPRAR e imponeva il trasferimento dei neomaggiorenni, già avviati in percorsi di inclusione sociale, verso centri di accoglienza straordinaria (CAS) con livelli di assistenza e di integrazione ridotti al minimo. Anche per effetto dei capitolati di appalto imposti dalle prefetture su indicazione del Viminale.
Gli effetti del “decreto Salvini”
Sempre per effetto dello stesso decreto, poi convertito nella legge n.132 del 2018, veniva abolita la cosiddetta protezione umanitaria, e si allungavano all’infinito le procedure amministrative e giudiziarie per il riconoscimento di uno status di soggiorno legale. Circostanza ancora più grave nel caso dei neo-maggiorenni che, se avessero avuto immediatamente dopo lo sbarco, quando erano ancora minorenni, un permesso di soggiorno per minore età, avrebbero raggiunto più rapidamente uno status di soggiorno legale, senza subire gli effetti di procedure interminabili o di un diniego da parte delle Commissioni territoriali, e quindi di un defatigante ricorso giurisdizionale. Ancora oggi sono pendenti ricorsi contro decisioni di diniego adottate dalle Commissioni territoriali, a seguito dell’abolizione della “protezione umanitaria” relativamente a richiedenti asilo arrivati nel 2017, se non negli anni successivi, che hanno perso molti mesi di tempo per riuscire a formalizzare la loro istanza di protezione internazionale, senza avere alcuna possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per minore età.
Si deve aggiungere che molte decisioni di diniego sono state adottate sulla scorta dell’indirizzo imposto dal Ministero dell’interno, attribuendo al decreto Salvini ( legge n.132 del 2018) quegli effetti retroattivi che poi la Corte di cassazione ha giustamente escluso. Il blocco delle attività nei tribunali, ed i ritardi che ne deriveranno nel lungo periodo, riguardo ai ricorsi in materia di protezione internazionale, rischiano di avere effetti devastanti sulla vita di persone giovani, in una fase difficile della loro vita, contrassegnata oltre che dalla precarietà relativa allo status di soggiorno, anche da una condizione esistenziale aggravata dalla impossibilità di fare ritorno, seppure volontario, nel loro paese e dalle misure di isolamento sociale adottate dal governo.
Per effetto dei decreti Salvini alcune migliaia di ragazzi, che pure avevano avviato un percorso di integrazione sociale sono rimasti esclusi dal sistema SPRAR, privi di una effettiva assistenza socio-sanitaria, ed esclusi da una qualsiasi possibilità di lavoro regolare, in molti casi costretti a lavorare “in nero” come risulta sia accaduto anche attorno al centro di accoglienza straordinaria (CAS) di Aragona.
Migranti e Covid-19, è abbandono sociale
Oggi che è scoppiata anche in Italia la pandemia da COVID-19 e che le prospettive di ritorno nei paesi di origine sono comunque azzerate, a fronte della situazione di emergenza sanitaria che si vive nei CAS, più che nei centri SPRAR-SIPROIMI, e della chiusura di tutte le frontiere, anche per le operazioni di rimpatrio forzato, chiediamo con forza provvedimenti amministrativi di riesame in autotutela delle decisioni di diniego. Occorre accelerare al massimo le procedure istruttorie ancora aperte, senza procedere ad ulteriori audizioni, per riconoscere a tutti coloro che sono arrivati in Italia in condizioni di minore età un permesso di soggiorno e per eliminare gli effetti perversi dell’applicazione retroattiva della legge n.132 del 2018. Occorre anche una modifica legislativa che reintroduca l’istituto della protezione umanitaria, in attuazione di una previsione costituzionale (art. 10 Cost.), con la conseguente abrogazione, per la parte che la riguarda, della legge n.132 del 2018.
Non basta la tardiva circolare del Viminale che autorizza i migranti rimasti privi di un titolo di soggiorno a restare in isolamento nei centri di accoglienza, una circolare su cui le destre hanno imbastito una ennesima speculazione, anche se non garantiva alcuno sbocco alle persone rimaste intrappolate nei centri.
Le politiche di abbandono sociale, e le prassi di isolamento che si sono rivolte ai migranti ed ai richiedenti asilo a partire dal 2018, hanno dimostrato le loro tragiche conseguenze in diverse parti del paese. Per questo, oltre a chiedere chiarezza e giustizia su quanto avvenuto all’interno del Centro di accoglienza straordinaria (CAS) di Aragona, occorre una vasta mobilitazione per riconoscere finalmente uno status di soggiorno legale a tutti i richiedenti asilo che sono ancora incastrati in centri di accoglienza che non garantiscono gli standard minimi necessari per una effettiva tutela dei loro diritti fondamentali, tra cui il diritto alla salute. Che oggi più che mai appare come un diritto indivisibile, da riconoscere a tutti i soggetti se lo si vuole garantire all’intera collettività. Per questa ragione si dovrà procedere al più presto alla sanatoria delle persone che sono comunque rimaste nel territorio dello stato senza un regolare titolo di soggiorno, per effetto del default del sistema di accoglienza e delle modifiche normative che hanno ristretto le possibilità di ingresso legale o di regolarizzazione successiva.
Aggiornamento di La Repubblica:
Si aspetta l’esito del tampone sul cadavere, ancora nel letto della comunità di richiedenti asilo di Aragona. I timori degli altri migranti, operatori in quarantena