di Mauro Seminara
I tempi del Ministero dell’Interno di Salvini sono passati ormai da qualche mese ed il rapido susseguirsi di eventi con l’epidemia di Covid-19 ad inaugurare il nuovo anno fanno sembrare l’epoca del “capitano” al Viminale ancora più lontana. Qualcosa però sembra essere cambiata di un nulla nel rapporto tra l’Italia e le navi Ong, o forse tra l’Italia e le convenzioni internazionali che la stessa Repubblica ha firmato nel corso della storia. Conquiste che avevano reso, almeno per qualche decennio, la civiltà migliore di quanto forse volesse realmente essere. La Costituzione italiana, con i suoi valori primari invidiabili sul diritto alla cultura, alla salute ed alla pace in territorio italiano, e le convenzioni di Ginevra e di Amburgo e tutti gli altri trattati internazionali si stanno rapidamente esaurendo in efficacia grazie a continui decreti e prese di posizione a volte introdotte come “prassi” e poi applicate quasi fossero leggi. L’ultimo atto, in ordine di tempo, è un decreto interministeriale approntato di gran premura, e firmato ieri sera da quattro ministri, in cui sembra mancare soltanto il codice MMSI 211215130, cioè quello della nave Alan Kurdi.
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero degli affari esteri, il Ministero dell’interno ed infine anche il Ministero della Salute, ha decretato ieri che i porti italiani non possono più essere classificati come Place of Safety (porti sicuri di sbarco) “perché non assicurano i necessari requisiti” nei casi in cui i soccorsi in mare vengono “effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area SAR italiana“. Togliendo quindi i casi in cui fuori dall’area SAR italiana sia una nave italiana a prestare soccorso marittimo, ed i rari casi in cui all’interno della suddetta area SAR siano navi straniere a prestare soccorso, rimangono chiare in descrizione le navi come la Alan Kurdi – bandiera tedesca – che soccorrono migranti in acque internazionali di competenza libica o al massimo maltese. Una discriminazione quindi, tale da definire luogo non sicuro l’Italia a causa dell’epidemia di Covid-19, ma solo a specifiche fattispecie di navi e persone. Il decreto interministeriale è una lunga sfilza di citazioni rituali, che partono dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 ed arrivano al decreto del Ministero della infrastrutture e dei trasporti con il Ministero della Salute del 3 aprile 2020 sulla disciplina di ingresso delle persone fisiche in Italia. Lunga premessa che tiene conto di tutto, ma che conclude con due articoli immediatamente esecutivi e validi fino alla data dello stato d’emergenza dichiarato dal Governo il 31 gennaio 2020.
La nave Alan Kurdi è l”unica nave Ong che ha avviato una missione in questo periodo ed è al momento della firma del decreto interministeriale l’unica nave che corrisponde alla descrizione della fattispecie in cui i porti italiani diventano “non sicuri” a causa dell’epidemia. Nessuna variazione invece per quel che riguarda casi come quello della notte appena trascorsa, con i 67 migranti che autonomamente hanno raggiunto Lampedusa
Nei punti di premessa del decreto interministeriale si leggono tre “ritenuto” quantomeno arbitrari. Il documento tiene conto della necessità di impiegare le forze di polizia per il controllo del territorio, affinché gli italiani non escano di casa; nulla potendo fare nei confronti dei senza fissa dimora e dei sans papier. Viene anche “ritenuto necessario, al fine di contrastare il diffondersi dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, anche in relazione al predetto stato di pandemia, disporre misure straordinarie di prevenzione del rischio di contagio con riferimento ai casi di soccorso effettuati da parte di unità battenti bandiera straniera che abbiano condotto le operazioni al di fuori dell’area SAR italiana, in assenza del coordinamento del IMRCC Roma“. Si deduce che solo questo specifico caso di soccorso potrebbe gravare sull’emergenza Covid-19 mentre cambiando la bandiera, il coordinamento oppure la posizione geografica di un miglio più a nord o più a sud il rischio epidemiologico non viene minimamente intaccato. Infine, i quattro ministeri ritengono che “le attività assistenziali e di soccorso da attuarsi nel ‘porto sicuro’ possano essere assicurate dal paese di cui le unità navali battono bandiera laddove abbiano condotto le operazioni al di fuori dell’area SAR italiana, in assenza del coordinamento del IMRCC Roma“.
In altre parole, se si sta per annegare a sud di Lampedusa e si viene salvati da un mercantile giapponese di passaggio, il porto sicuro di sbarco potrà tranquillamente essere quello di Tokyo malgrado le convenzioni internazionali considerino il Place of safety quale luogo sicuro di sbarco più vicino al punto geografico in cui è stato effettuato il salvataggio. Queste indicazioni, che si concludono con i due articoli ad navem, sono state decretate ieri e ieri sera trasmesse alla Prefettura di Agrigento in cui si è appena insediata – proprio ieri – il nuovo prefetto Maria Rita Cocciufa. La Procura di Agrigento quindi dovrebbe essere già oggi informata di quanto previsto dai quattro ministeri riguardo alla nave ferma in acque di competenza SAR italiana, al confine con le acque territoriali italiane a nordest di Linosa, sotto la competenza giurisdizionale della Procura della Repubblica del procuratore capo Luigi Patronaggio. Lo stesso che applicò la legge dello Stato su ogni nave Ong interdetta dal ministro dell’Interno Matteo Salvini al largo di Lampedusa e che adesso potrebbe intervenire per il caso della nave Ong tedesca Alan Kurdi qualora ravvisasse violazioni di legge o limitazioni della libertà a bordo.
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