di Mauro Seminara
Dopo una sera di fermento internazionale, di giri di telefonate e di pressioni tra organizzazioni e governi, Malta ha annunciato che il gruppo di naufraghi migranti che si trova su una barca in SAR maltese verrà salvato dalla propria Marina come ultima azione di soccorso prima della chiusura dei propri porti ai migranti per l’adottato decreto governativo sulla sicurezza pandemica dell’isola-Stato. Nessun commento, come riporta anche il New York Times, cui Alarm Phone ha fornito la registrazione della telefonata in cui un migrante denunciava un intervento di sabotaggio del motore che spingeva la loro barca da parte di militari maltesi. Nessun cenno di smentita della meschina azione che avrebbero compiuto i militari della Marina maltese e neanche alla seconda imbarcazione che secondo Alarm Phone navigava a breve distanza dalla prima, quindi in prossimità anch’essa delle acque territoriali maltesi in area SAR di competenza di La Valletta.
Sarebbe così scampato un naufragio, dopo una gravissima denuncia, ma non è possibile escludere prossimi naufragi nel Mediterraneo centrale in assoluto silenzio. Il Governo di Malta, accettando di malavoglia il soccorso e l’accoglienza della barca in pericolo, ieri sera, ha sottolineato che questo sarà l’ultimo intervento e che i suoi porti saranno da considerare “non sicuri” a causa dell’epidemia di Covid-19. Una decisione assunta con decreto davanti alla obbligatoria necessità di trarre in salvo delle persone che si trovavano nelle vicinanze dei propri confini, come quella firmata da quattro ministeri italiani di fronte alla richiesta di assegnazione di un porto sicuro della nave Ong Alan Kurdi con i suoi 150 naufraghi soccorsi in SAR di competenza libica. Libia che dal canto suo ha anch’essa dichiarato “non sicuri” i propri porti. In questo caso però il virus pandemico fa solo da contorno ed il motivo principale sono i bombardamenti che già ieri colpivano Tripoli. In rada, davanti la capitale libica, un pattugliatore con 280 persone a bordo, soccorse in diverse operazioni nel corso della giornata, riceveva il divieto di sbarco dei naufraghi perché il porto era appunto “non sicuro”.
La decisione italiana di dichiarare i propri porti non sicuri alle navi Ong che soccorrono migranti in aree SAR di altri Paesi – sostanzialmente ad esse si rivolge il decreto interministeriale – ha innescato una sequenza di chiusure dei “place of safety” (luoghi sicuri di sbarco) in virtù dei quali il porto europeo e “sicuro” più vicino, per esclusione, dovrebbe essere adesso la Grecia. Ma la Grecia, che non è esente degli effetti della pandemia ed ha già un grave sovraffollamento da campi profughi a cielo aperto causati da altra rotta migratoria e dalla recente sortita del vicino governo della Turchia, ha anche già aderito ad un accordo che prevede la concessione dei propri porti agli eventuali soccorsi della missione europea “Irini” in cambio di flessibilità sui conti concessa dall’Unione europea. Il risultato complessivo delle politiche contrarie ai Trattati internazionali che i Paesi del Mediterraneo centrale stanno assumendo vede quindi la nave della Ong tedesca Sea Eye, la Alan Kurdi, ferma ad est dell’isola italiana di Linosa con 150 persone a bordo per le quali non esiste un luogo sicuro di sbarco. Ma anche un effetto boomerang rispetto agli obiettivi che le avventate scelte volevano raggiungere con la Grecia, che è e rimane uno Stato membro dell’Unione europea, quale unico porto sicuro per i migranti del Mediterraneo centrale adesso oltre che per i flussi migratori del Mar Egeo e per quelli di terra della rotta balcanica, e Lampedusa – isola italiana – esposta in solitaria agli arrivi autonomi che si prevede cresceranno obbligatoriamente ed in maniera esponenziale con l’abbandono dei soccorsi in mare anche da parte dei libici.