di Mauro Seminara
Ci siamo lasciati con questo punto di domanda e da questo, come promesso, ripartiamo per il secondo appuntamento della nuova rubrica “Mainstream”. Già a partire da questa lettura, e nel corso delle prossime, leggerete e – spero – comprenderete meglio il concetto di deontologia giornalistica. Quella carta dei diritti e dei doveri del giornalista che pone ad esso dei limiti ma che al tempo stesso gli impone il dovere di tenere fede alla propria missione, più che alla propria professione. Il giornalista ha infatti un compito ed uno soltanto: informare le persone perché esse abbiano gli strumenti per decidere. E per tenere fede al patto, il giornalista può e deve usare ogni strumento. Perché se si limitasse a divulgare le informazioni di “fonte ufficiale”, come comunicati stampa e versioni di comodo dei protagonisti, non starebbe certo dando informazioni ai lettori: starebbe soltanto facendo da amplificatore alla fazione opposta, che spesso coincide tristemente con il ruolo di oppressore. Ma non cadiamo nell’errore, piuttosto comune, che il giornalista sia un eroe che si deve immolare sacrificando la propria vita per difendere gli oppressi. Esso ha il solo compito di informare affinché tutti possano formulare una propria libera opinione. Poi ognuno si difenderà da se o in gruppi oppure ancora in categorie.
Questo secondo appuntamento arriva in un momento in cui alcuni eventi appaiono l’esempio ideale per comprendere insieme di cosa stiamo parlando. Ieri abbiamo dato per primi, in assoluto, la notizia della tragedia che si è consumata a causa dell’isolamento di persone migranti a bordo della nave Moby Zazà e questa mattina vi abbiamo messi a parte dell’ennesima sparizione di migranti in difficoltà nel Mediterraneo centrale. In uno Stato democratico e trasparente in cui il popolo ha facoltà di esercizio del potere entro i limiti dettati dalla Costituzione – come recita la Carta su cui si fonda la Repubblica italiana – sarebbe normale che, ad una richiesta da parte della stampa di maggiori informazioni circa la sorte di decine di vite umane in balìa delle onde, le istituzioni competenti ed informate dei fatti fornissero tutte le informazioni del caso. L’esempio che calza a pennello è quello del cargo “Maren”, dirottato da Malta su un evento SAR (ricerca e soccorso) in area di propria competenza, di cui dopo circa venti ore non si è saputo più nulla. Da buon cronista di vecchia leva, Sergio Scandura, di Radio Radicale, mediante l’uso di tecnologia ed obbligata specifica formazione, è ormai uno dei migliori detective giornalisti per le operazioni europee coperte da un silenzio che tanto ricorda il cosiddetto “segreto di Stato”. Grazie al tracciamento di rotte aeree di specifici velivoli, Scandura ha individuato delle orbite – che ha ormai imparato a leggere con esperienza – intorno ad un punto del Mediterraneo in cui il mercantile Maren ha iniziato a girare su se stesso convalidando una informazione (di cui Mediterraneo Cronaca era in possesso) circa l’intervento SAR del cargo sotto coordinamento maltese. Informazione però inizialmente insufficiente per metterne a parte i lettori.
Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione, non dispone di una “guardia costiera europea”, quindi di un proprio assetto navale. Frontex avvista le barche di migranti e ne comunica la posizione agli Stati le cui aree SAR sono più vicine. L’informativa che parte dalle ricognizioni aeree dell’agenzia arrivano quindi alle sale operative delle “centrali internazionali per il coordinamento del soccorso marittimo”, cioè, in questo caso, a Roma, a La Valletta ed a Tripoli. La Guardia Costiera italiana era pertanto informata della presenza di una imbarcazione in distress, cioè in pericolo perché sovraccarica e priva della dotazione di sicurezza necessaria in caso di naufragio, e questo natante si trovava a 35 miglia nautiche in direzione ovest-sudovest di Lampedusa. Poco più di 60 Km dal porto in cui ormeggiano motovedette che la distanza di 35 miglia riescono a coprirla in un’ora. Il Maren invece ha girato intorno per venti ore prima di andare via, riprendendo la sua originale rotta, poco prima delle 16 odierne. Per sapere cosa possa essere accaduto alla barca in pericolo di questa notte, o per sapere che fine abbiano fatto le persone soccorse da una barca fantasma e lasciate a sud di Lampedusa fino a che tutte le testate del Mediterraneo non li hanno dimenticati, è necessario rompere il muro del silenzio istituzionale ed adoperarsi con ogni strumento per carpire quelle informazioni utili a denunciare eventuali violazioni dei diritti.
Approfondiremo in seguito il concetto di “fonti” di un giornalista. Quando queste debbano essere di pubblico dominio e quando invece vanno tutelate ad ogni costo. Così come la differenza tra i due tipi di fonte e perché una va resa pubblica e l’altra tutelata. Tema delicato che, pare, non sia stato ben compreso da molti giornalisti; figuriamoci dai lettori, le cui idee vengono ogni giorno confuse da confusi giornalisti. Concentriamoci piuttosto, almeno in questo momento, su due concetti: diritti e “ultimi”. Se le fonti ufficiali non rispondono di azioni che stanno compiendo o delle quali vengono comunque messe a parte, il rischio concreto è che un abuso in danno agli ultimi si sta compiendo sotto il sole della democrazia e della civiltà. Gli ultimi sono in questo caso persone di altre nazionalità che migrano per diverse ragioni. Alcuni per fame, altri perché nella terra in cui tutti i loro cari sono stati uccisi non hanno più alcun motivo per viverci ed hanno diritto a ricominciare una nuova vita, altri ancora perché rischiano la vita ed hanno bisogno di protezione. Oggi loro sono gli ultimi, come un tempo non molto lontano furono i disabili fisici e psichici. Nessuno si preoccupò più di tanto della fine fatta dai “non produttivi” e nessuno denunciò a gran voce quanto si stava consumando. Così quegli ultimi vennero eliminati, e gli ultimi divennero quelli che stavano un gradino più su, che per questo si sentivano prima al sicuro. Questo appartiene al dovere di un giornalista ancor più se crimini contro l’umanità si compiono sotto l’egida di uno Stato invece che sotto la protezione di qualche elemento deviato dello Stato.
Si ritorna così all’uso degli scanner per intercettare le comunicazioni radio, al tracciamento delle navi e degli aerei per capire se c’è una operazione di soccorso oppure un respingimento illegale in atto, all’uso delle orecchie tese e delle fonti da tutelare per denunciare le fonti ufficiali che non forniscono informazioni come da loro ministero. Perché vantare fonti non ufficiali, e da proteggere, a poco serve se mediante le informazioni ottenute non si pungolano quotidianamente ed in coro gli uffici preposti e “di panza” dello Stato.
Abbiamo parlato di navi e di migranti, ma per meglio entrare nel vero cuore di questa rubrica, nel prossimo appuntamento parleremo di giornalisti, “fonti interne” e politica. Un viaggio all’interno del palazzo in cui nascono le notizie che poi condizionano oppure semplicemente orientano le vostre idee politiche, ignari dei filtri con cui le informazioni vi sono state proposte.
La domanda per il prossimo appuntamento quindi è la seguente: quando sentite di “fonti interne” riferito a politica e partiti, chi credete possano essere?