di Mauro Seminara
Quello che si preannuncia alla luce delle nuove rotte che si sono aperte nel Mediterraneo centrale per le barche cariche di migranti sarà un massacro di vite umane. Con la differenza, rispetto a più civili anni in cui si costringevano le persone alla migrazione irregolare ma poi si tentava di salvarle in mare, che adesso sapremo solo una minima parte della strage che si verificherà tra il nord dell’Africa ed il sud dell’Europa. Naufragi dopo naufragi, e respingimenti dopo respingimenti, tutto si consumerà nel più assordante silenzio che la civiltà moderna abbia mai registrato. Il periodo italiano con il leader della Lega al Ministero dell’Interno è stato l’ultimo in cui anche l’opinione pubblica, nel bene e nel male, ha avuto modo di sapere di migranti soccorsi e di naufragi come anche di trattamenti degradanti ad essi inflitti. Effetto collaterale di una propaganda che oggi non si verifica più. Silenzio da una parte e dall’altra. A destra e a “sinistra”. Giornali muti di fronte ad un peschereccio che, se pur “barca fantasma” maltese, è rimasto cinque giorni al largo di Lampedusa nel corso di una burrasca attendendo che il porto più vicino gli lasciasse far sbarcare i naufraghi che aveva a bordo. Ma il porto italiano gli ha concesso solo due evacuazioni mediche e nessun parlamentare del cosiddetto “centrosinistra” italiano si è recato a Lampedusa per protestare manifestando la propria infinita umanità. Effetto collaterale, questo, del fatto che al governo adesso c’è proprio quel sedicente “centrosinistra italiano”.
Mentre il Governo italiano le prova tutte per fallire in modi sempre diversi ed originali sul fronte delle migrazioni irregolari, nel Mediterraneo centrale si sono aperte due nuove rotte. Due, diverse e distanti tra loro, che aggirano gli ostacoli posti sulla vecchia rotta, compresa la cosiddetta guardia costiera libica armata e pilotata dall’Italia con il sostegno delle ricognizioni aeree di Frontex. Una di queste rotte è ormai palese e vede barche e scafisti tunisini che trafficano migranti subsahariani, in particolare donne della Costa D’Avorio, verso Lampedusa e verso la costa sud della Sicilia. Le partenze dalla costa tunisina si sono moltiplicate giorno dopo giorno, assestandosi su standard di carico e rotte sicure mentre l’Unione europea continua a guardare il distretto libico di Sabrata con i suoi porti storici per i trafficanti: Zawia e Zuwara. La rotta tunisina beneficia di due fattori di passiva complicità. La Tunisia non ha una area SAR assegnata e non è un cosiddetto porto sicuro. Non ha quindi l’obbligo di standard idonei per l’IMO (Organizzazione Internazionale Marittima) come dovrebbe avere – ma non ha – la Libia. L’altra facilitazione è puramente politica. L’Italia della “terza Repubblica” non è capace di rapporti internazionali e di diplomazia e lo ha dimostrato in troppe situazioni. Ed il nuovo presidente tunisino, il costituzionalista Kais Saied, non è un Ben Alì qualunque. Questi fattori pongono la Tunisia in una condizione di minor sudditanza – anche per merito delle pressioni della Francia che insidiano il partner italiano con continue avance – nei confronti dello storico partner commerciale europeo che adesso, come sempre cedendo al ricatto sullo spauracchio delle migrazioni, dovrà chinare il capo e trattare perché a Tunisi decidano di dare un giro di vite sul traffico di migranti che salpano da Sfax e dintorni.
L’altra rotta è libica, ma non è quella dei soliti porti ad ovest di Tripoli. La nuova base del traffico sembra essere la città di Zliten, ad ovest della capitale, tra Khoms e Misurata. Un distretto in cui è ben lontano il controllo del GNA (Governo di Accordo Nazionale) presieduto da Fayez Al Serraj ed anche le milizie già conosciute dall’Italia come interlocutori “acquistabili” come quelle che fanno capo ad Ammu (lo Zio) Dabbashi. Da Zliten però non si affronta una traversata breve fino a Lampedusa ma una più lunga – 370 miglia nautiche – per una “rotta 0.0” che conduce teoricamente a Malta. L’isola-Stato è consapevole della nuova rotta e si è già attrezzata per interventi non ufficiali con cui evitare l’arrivo di migranti in quantità non sostenibili per i Kmq di superficie dell’isola e per la popolazione maltese. La flotta fantasma di pescherecci, quella del premier Robert Abela, è quindi sempre pronta ad intervenire per fermare ed eventualmente respingere i naufraghi in Libia senza scrupolo alcuno sulle violazioni che questi “push back” costituiscono. Ma è anche chiaro che Malta, con i suoi pescherecci mossi sulla base delle posizioni indicate dalle ricognizioni aeree dell’AFM (le Forze Armate di Malta) e di Frontex (l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne), non potrà schivare tutti i colpi e con buona probabilità cercherà – quando le barche saranno troppo vicine alle sue acque territoriali – di dirottarle verso la Sicilia come già in precedenza. In mezzo a questo scenario c’é la missione “Irini”, che dovrebbe teoricamente controllare che venga rispettato l’embargo sulle armi in Libia – mentre dalla Libia ogni giorno vengono documentati anche armamenti pesanti sul territorio e provenienti da altri Stati – ma non deve assolutamente intervenire in soccorso di eventuali migranti in pericolo. Pena la sospensione della missione stessa. D’altro canto, se pur stupefacente la disposizione-veto sulla missione, è esattamente quello che l’Italia sta attuando appena fuori dalle proprie acque territoriali con la prestigiosa Guardia Costiera che un tempo tutto il mondo ci invidiò.