di Mauro Seminara
Le ultime due barche con cui quasi centocinquanta persone sono arrivate miracolosamente incolumi fino a Lampedusa, partendo dalla Libia, sono l’esatto contrario del concetto di sicurezza. Anche solo tre o quattro persone sarebbero tecnicamente in grave pericolo se tentassero di spingersi oltre un paio di miglia dalla costa con natanti di quella natura. Ma pensare che su una “madia” da impasto sono state fatte salire 86 persone va oltre ogni ragione logica, tanto quanto irragionevole è il pensiero che nessuno le va incontro per soccorrerne le persone a bordo dopo aver visto su che trappola mortale stanno navigando. Una scatola di legno, compensato marino, con pannelli interi per il bordo e per lo scafo che non lasciano scampo in caso di falla. Nessun fasciame a compensare le pressioni del mare e del carico ma uno sbrigativo taglio di compensato che tenga il galleggiamento fino a quando le vite a perdere che i trafficanti hanno fatto imbarcare non si allontanano dalla costa tanto da non essere più visibili ai loro occhi.
L’altra barca con cui persone migranti sono partite dalla Libia è un piccolo scafo in vetroresina. Con un dettaglio che sembra comune alla barca in compensato ma di cui abbiamo certezza: due motori diversi tra loro a poppa. Sulla barca che la Guardia Costiera ha trainato in porto erano montati due fuoribordo di marca e potenza diversa. Un “Johnson” da 75 cavalli ed un “Yamaha” da 55 cavalli. La componente investigativa che opera nel centro di prima accoglienza di Lampedusa approfondirà la questione dei due motori, nel caso questi fossero il risultato di un intervento esterno che ha voluto agevolare il superamento dell’area SAR di competenza non italiana in modo da assicurarsi che i migranti arrivassero fino a Lampedusa. Valutazione da indagine necessaria solo nel caso in cui le ricognizioni aeree non avessero già documentato tutto l’eventuale intervento di supporto tecnico. L’unica certezza rimane quindi quella delle miglia che queste persone sono costrette a navigare in queste condizioni, con barche da impasto per il pane e scafi di vetroresina cotta e pronta a spaccarsi sotto il peso dell’inumano carico.
La Convenzione di Amburgo, detta anche “Convenzione SAR”, prevede l’obbligo di intervento in soccorso di barche in evidenza di pericolo; in qualunque posizione esse si trovino. L’obbligo di intervento alla notizia di barca a rischio è ineludibile e l’unica “concertazione” riguarda solo ed unicamente le tempestività di intervento. Poco conta la responsabilità SAR dei rispettivi Paesi; conta soltanto chi è più vicino. Chi può arrivare prima deve intervenire, sotto il proprio coordinamento oppure sotto quello dell’autorità marittima competente. Ma il gioco della competenza è ormai superato proprio in virtù del coordinamento generale che le ricognizioni aeree di Frontex offrono agli Stati più vicini. L’agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea infatti mette a parte l’Italia, Malta e la Libia, a prescindere dalla posizione in cui il natante si trova. Escludendo la Libia, che Frontex non dovrebbe, anche solo moralmente, tenere in considerazione essendo anche ufficialmente per l’Unione europea quello libico un porto non sicuro, rimangono Italia e Malta e chi è più vicino ha il dovere – morale e giuridico – di intervenire. Purtroppo, l’arretramento sui soccorsi a persone migranti ha ormai assunto il consolidato gioco della selezione naturale: solo chi arriva nelle immediate vicinanze ha qualche speranza di approdo in Unione europea. Gli altri muoiono.
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