di Fulvio Vassallo Paleologo
E’ sempre più evidente come dopo l’eruzione dello scandalo Palamara sia ripartito un attacco, politico e mediatico, verso questi settori della magistratura che hanno cercato di indagare sui gravissimi abusi commessi dai governi nella “guerra” contro le Organizzazioni non governative. Le famigerate “ONG”, che si ritenevano costituire un fattore di attrazione (pull factor) nei confronti delle partenze dalla Libia, unica via di fuga verso un’Europa che aveva chiuso tutte le vie di ingresso legale, cancellando la portata effettiva del diritto alla protezione internazionale.
Si è dimenticato che sono state proprio le minacce ricevute da alcuni procuratori dopo attacchi pubblici degli apparati di informazione dei partiti di destra che hanno poi suscitato reazioni di solidarietà da ambienti diversi della magistratura, quelle reazioni che oggi vengono scambiate per accordi miranti ad ottenere la condanna di chi aveva violato le norme del diritto internazionale in materia di soccorsi in mare e sbarco dei naufraghi nel porto sicuro più vicino.
Sono caduti nell’oblio anche gli esiti di archiviazione delle numerose iniziative lanciate da alcune procure italiane, come quella di Catania, che avevano aperto procedimenti penali contro gli operatori umanitari asseritamente “colpevoli” di avere soccorso naufraghi in mare, come se queste azioni imposte dal diritto internazionale fossero state frutto di una vera e propria collusione con le organizzazioni dei trafficanti, un legame mai accertato, ma che è stato trasformato in condanna definitiva da una informazione deviata e deviante.
Non si ricorda soprattutto come, proprio nel primo dei processi intentati contro le ONG nell’estate del 2017, il processo Iuventa per il quale a Trapani si attende ancora oggi la conclusione delle indagini preliminari, erano state fornite al capo della Lega informazioni riservate sulle indagini condotte da contractors di una agenzia privata di sicurezza prima che questi documenti assumessero rilevanza processuale. Nel mese di marzo del 2017, infatti, le carte delle prime indagini sulla IUVENTA, condotta da un agente dello SCO e da ex poliziotti infiltrati a bordo di alcune navi umanitarie, in particolare quelli reclutati come componenti della security della nave Vos Hestia di Save The Children, venivano “passate” a Matteo Salvini, che ne faceva uso propagandistico, ben prima di essere utilizzate dalla Procura di Trapani.
Sulla Iuventa e su altre navi umanitarie si indagava già dal mese di ottobre del 2016, proprio da quando partivano da alcuni esponenti di Frontex e da associazioni della ultradestra europea, come GEFIRA, pesanti accuse nei confronti delle ONG, ritenute fiancheggiatrici dei trafficanti, per le loro attività di ricerca e soccorso (SAR) in acque internazionali, che avevano consentito di salvare la vita a decine di migliaia di persone, sotto il coordinamento della Centrale operativa della Guardia costiera italiana.
Gli organismi europei giocavano allora una partita di attacco contro le ONG, al malinteso fine di ridurre il numero degli sbarchi in Europa, già in calo per fattori ben diversi. Oggi attendiamo ancora un pronunciamento della magistratura sulla fondatezza -nel merito- di quel quadro di accuse. La sentenza della Corte di cassazione sulla convalida del sequestro della Iuventa ha lasciato aperti tutti i dubbi possibili in ordine al reale svolgimento della vicenda ed alla corretta applicazione delle norme di diritto internazionale. Eppure non sembra che nessuno si sia preoccupato per il prolungamento dei tempi del procedimento.
Come è stato pubblicamente riconosciuto da uno degli agenti della sicurezza privata imbarcati sotto copertura a bordo di una delle navi delle ONG, la Vos Hestia di Save The Children, le informazioni riservate che davano spunto alle indagini, frutto di una evidente contraffazione, erano finite sul tavolo di Salvini ben prima che la Procura di Trapani disponesse il sequestro della nave Iuventa nel porto di Lampedusa il 2 agosto del 2017. E Salvini , allora all’opposizione, aveva fatto uso propagandistico di quelle informazioni riservate, senza però ricompensare adeguatamente chi gliele aveva fornite.
Nel tempo poi, dai processi contro le ONG si era passati ai processi contro chi aveva violato il diritto internazionale del mare e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, negando un porto di sbarco sicuro ai naufraghi soccorsi in acque internazionali, e la Corte di cassazione, con la sua recente decisione del 20 febbraio scorso, sul caso Sea Watch-Rackete aveva affermato che l’operazione di soccorso si conclude solo con lo sbarco a terra dei naufraghi. Un principio di diritto che, se fosse coerentemente applicato, dovrebbe portare alla condanna di Salvini nei casi Gregoretti ed Open Arms. Sempre che la magistratura non modifichi, “a furor di popolo”, i propri orientamenti, finora basati sul principio di gerarchia delle fonti e sul richiamo alla Carta Costituzionale ( articoli 10 e 117).
L’operazione mediatica e politica che oggi si è imbastita, con una presenza continua di Salvini sui grandi media, in rapida successione, domenica sera a Non è l’arena su La Sette, poi soltanto il giorno dopo a Quarta Repubblica, su rete Quattro, quindi in occasione delle manifestazioni di protesta del 2 giugno, nelle quali si scaglia anche contro la recente regolarizzazione, mira a delegittimare l’intera magistratura, in una evidente crisi di rappresentatività dopo gli scandali scoppiati all’interno del CSM. Una operazione che è stata lanciata dai giornalisti più vicini all’ex ministro, in vista del processo Gregoretti a Catania, che intanto è stato rinviato a novembre per l’emergenza COVID-19, e soprattutto per ottenere un voto di archiviazione da parte del Senato sul caso Open Arms. Che, dopo la richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal Tribunale dei ministri di Palermo, vede ancora sottoposto ad indagine l’ex ministro dell’interno per avere trattenuto indebitamente a bordo della nave i naufraghi, usati come arma di ricatto verso l’Unione Europea e verso Malta, per ottenerne il ritrasferimento in altri paesi prima ancora che fossero sbarcati a terra.
La manipolazione dei fatti che si riproduce oggi passa attraverso una strumentalizzazione dei dati sugli sbarchi e sulla loro composizione. Si parla di sbarchi “fantasma anche nei rari comunicati della Guardia costiera italiana” ma di “fantasma” ci sono soltanto i mezzi di soccorso statali che dovrebbero intervenire dopo la segnalazione dei barconi in difficoltà in acque internazionali, senza attendere il loro arrivo nelle acque territoriali italiane. Si tace da tutte le parti, inclusi i partiti di governo, sullo scandalo delle politiche di respingimento in mare e di omissione di soccorso, praticate nei confronti di persone che fuggono da un paese diviso, come la Libia, che è lacerato da una guerra civile che non appare certo destinata a risolversi per effetto dell’embargo imposto dall’Unione Europea con la missione navale IRINI a guida italiana. Non si può pensare di scaricare solo su Malta, che esegue respingimenti collettivi in Libia, tutte le responsabilità di una vasta area di soccorso che fino al 2017 era presidiata soprattutto dalle autorità italiane. E rimane la finzione di una zona SAR “libica”, quando è evidente a tutto il mondo che il governo di Tripoli non ne controlla che una minima parte. Senza il coordinamento con gli assetti europei, italiani e maltesi soprattutto, e senza il tracciamento garantito dai velivoli di Frontex, i libici non potrebbero effettuare quelle intercettazioni in acque internazionali che sono state operate ancora negli scorsi giorni.
Mentre si fanno passare come emergenza eventi che rientrano nella dinamica stagionale degli sbarchi, come gli arrivi dalla Tunisia, in un momento nel quale sono chiusi tutti i canali legali d’ingresso, si nasconde quanto sta succedendo in Libia e si continua a trattare con il governo di Tripoli come se l’unico obiettivo da perseguire fosse il contenimento delle partenze da quel paese, anche se è a tutti noto quali siano le torture e gli abusi che il governo ufficiale, riconosciuto dalla comunità internazionale, non riesce ad impedire. Da ultimo una strage di immigrati bengalesi che è rimasta senza punizione da parte delle autorità di Tripoli.
Si continua a nascondere soprattutto quanto avviene a sud di Lampedusa, in quella zona di ricerca e salvataggio tra le 24 e le 48 miglia a sud dell’isola, che risulta una zona SAR sovrapposta tra Italia e Malta, paese che per ragioni economiche rivendica una vastissima zona di sua competenza, quando poi si ritrova nella impossibilità di intervenire nel rispetto delle Convenzioni internazionali. Si ha anzi conferma che le prassi di respingimento collettivo sono ormai contemplate nei più recenti accordi tra la Valletta e Tripoli, con la complicità di FRONTEX e delle autorità italiane che, nei casi in cui Malta non interviene, non fanno neppure arrivare nell’area interessata dalle operazioni di ricerca e salvataggio, in acque internazionali, i mezzi della Guardia costiera ( Dattilo e Diciotti, oltre alle motovedette veloci classe 300) e della Marina militare ( Operazone mare Sicuro) che invece intervenivano in passato.
Sul modesto aumento delle partenze dalla Tunisia, un paese devastato dalla crisi economica ed infiltrato da organizzazioni criminali che hanno ripreso a trasferirvi migranti dalla Libia, si sta costruendo una nuova “emergenza” che non esiste, se solo si guardano i numeri assoluti e non le percentuali eclatanti dell’incremento su base mensile. Dati quest’ultimi, che sono ancora una volta lo strumento per distorcere fatti e nascondere responsabilità. Responsabilità che risalgono molto lontano, agli accordi stipulati con la Libia nel 2007 e nel 2008, e con la Tunisia nel 1998, poi aggiornati da Maroni nel 2011, dalla Cancellieri ( governo Monti) nel 2012, ed infine dai governi Renzi e Gentiloni nel 2017 e nel 2018. I decreti sicurezza varati su spinta della Lega di Salvini nel 2018 e nel 2019 si basano per intero su quegli accordi internazionali e ne costituiscono la coerente conseguenza applicativa. Come è confermato dai “ringraziamenti” che Salvini rivolgeva ai guardiacoste libici ogni volta che riuscivano a bloccare in alto mare un barcone carico di profughi, perché di questi si trattava, e si tratta ancora oggi, e non di “clandestini”.
L’abolizione della protezione umanitaria ha chiuso ogni prospettiva di legalizzazione ai tanti migranti economici che a causa della guerra civile in Libia sono diventati migranti forzati, come i bengalesi, e il decreto sicurezza bis, che lo scorso anno ha “chiuso” i porti italiani per quanti venivano soccorsi dalle ONG, ha trasformato in “clandestini” da respingere quelle persone che, in base al diritto internazionale, dovevano essere qualificate e trattate come “naufraghi” ai quali applicare, una volta sbarcati, l’art. 10 ter del testo Unico sull’immigrazione n.286/98. Il recente decreto interministeriale del 7 aprile scorso, che ha dichiarato “non sicuri” i porti italiani, ma non nell’interesse dei naufraghi da soccorrere, ha chiuso il cerchio delle politiche di abbandono in mare. Dopo Salvini, era stata Giorgia Meloni, oggi premiata dai sondaggi, che si era battuta per mesi per la chiusura dei porti italiani. Non si vede per quanto tempo ancora questo provvedimento, recentemente confermato da una magistratura amministrativa, che certo non incorrerà nelle critiche di Salvini, sarà mantenuto in vigore, se è vero che la fase uno dell’emergenza COVID-19 è stata superata e che l’Italia “riapre” a giugno le sue frontiere, anche ai cittadini di paesi terzi non appartenenti all’Unione Europea. Ma quando si tratta di migranti, ancor peggio naufraghi trattati come “clandestini”, se occorre aggirare norme interne e Convenzioni internazionali, lo stato di emergenza è permanente. E come sempre sono i governi di centro-sinistra a spianare la strada all’avanzata delle destre che su questo terreno fanno del sovranismo inteso come violazione di tutte le Convenzioni internazionali sui diritti umani, la loro bandiera. Con le conseguenze che negli Stati Uniti stiamo vedendo oggi, e che in futuro potrebbero verificarsi anche in Europa. E’ bene che tutti lo ricordino: The system is broken.
Le immagini che i media hanno inviato da Lampedusa documentano la sconfitta del teorema del pull factor (fattore di attrazione) costituito prima dalle Ong e poi dalle navi della Marina, che per questo sono state allontanate dalla zona dei soccorsi. Anche il linguaggio dominante viene smentito da eventi che tutti potrebbero osservare. Parlare di “clandestini’ riguardo i naufraghi sequestrati sulla Diciotti nel 2018, come continuano a fare Salvini, la Meloni, ed i giornalisti che si offrono a loro, costituisce un totale rovesciamento dei fatti e delle norme che li regolano. Si trattava di naufraghi che si trovavano a bordo di una nave italiana, dunque in territorio italiano. La quasi totalità della comunicazione mainstream sui soccorsi in mare nel Mediterraneo centrale si basa sul rovesciamento del rapporto tra vero e falso, in qualche caso con la complicità dell’attuale governo come nel caso dello sbarco lampo a Porto Empedocle dei naufraghi soccorsi da un cargo in acque internazionali.
Ma la mole più imponente di menzogne arriva dai partiti di destra e dall’imponente apparato mediatico che li supporta, anche nei social. Quando questo succede, con un consenso popolare che poi incide sui risultati elettorali, siamo già fuori dallo stato democratico. Per questa ragione è importante che la magistratura rimanga un organo indipendente rispetto agli indirizzi di governo e che i cittadini riproducano dal basso un circuito di informazione che permetta di smascherare le menzogne che alcuni giornalisti vicini ai politici, di governo e di opposizione, continuano a rilanciare, sulla pelle di chi soffre ancora in Libia, in Tunisia e negli altri paesi di transito, o di quanti rischiano anche la vita per cercare la salvezza.
Se si volesse davvero riaffermare la indipendenza della magistratura sarebbe necessario chiudere in tempi credibili le indagini ancora aperte contro le ONG e gli operatori umanitari, e continuare ad indagare sui ritardi e sulle omissioni nei soccorsi in mare, senza farsi condizionare dagli orientamenti politici o dell’opinione pubblica. I risultati nella lotta contro i trafficanti si raggiungono solo se si portano in salvo le persone che ne sono vittime e non certo ricacciandole indietro nelle stesse mani dei torturatori dai quali sono fuggite. In ogni caso, occorre contrastare le ricostruzioni interessate, come quelle proposte da Salvini e dai giornalisti che lo supportano, ed arrivare in tempi rapidi alle sentenze definitive ed al completo accertamento dei fatti, in tutti i processi penali, sia che riguardino i soccorsi in mare che i responsabili di reati a danno dei naufraghi, in modo da sconfiggere pregiudizi e strumentalizzazioni che rischiano ancora oggi di travolgere la credibilità della magistratura.