di Domenico Gallo
Le svolte della storia di solito avvengono in modo imprevisto ed imprevedibile. Chi avrebbe potuto prevedere all’inizio di quest’anno il disastro globale provocato dalla pandemia del coronavirus? Chi avrebbe potuto prevedere che il virus, cioè un elemento della natura, avrebbe sconvolto la potenza economica e tecnologica del sistema Mondo, aggredendo il punto debole di questa macchina da guerra: il fattore umano? Chi avrebbe potuto prevedere che in soli due mesi la nazione economicamente e militarmente più forte della Terra avrebbe avuto un numero di morti superiore a quello provocato dalla guerra di Corea e dalla guerra del Vietnam e si sarebbe ritrovata con quasi quaranta milioni di disoccupati?
Gli sconvolgimenti economici, sociali e politici provocati dalla pandemia non ci consentono di pensare che quando il virus sarà scomparso tutto tornerà come prima. Il problema è come uscire da questo tsunami che sta sconvolgendo le nostre vite e ci pone dinanzi a delle sfide inusitate. In questo tempo sospeso non riusciamo ancora a capire come ne usciremo. Siamo di fronte ad un bivio, possiamo uscirne migliorati o peggiorati. Ci sono degli eventi che ci dimostrano che il cambiamento è in corso, ma gli esiti non sono per nulla scontati. Ci sono tre scenari che si possono aprire a sbocchi contrapposti, di libertà e solidarietà ovvero di violenza e dissoluzione: gli Stati Uniti, l’Unione Europea e l’Italia.
“I can’t breathe, non riesco a respirare”. Queste sono state le ultime parole di George Floyd, mentre un agente di polizia premeva con un ginocchio sul suo collo per oltre sette minuti. “Sto per morire!“. La brutalità a sfondo razzista è una costante nella storia degli Stati Uniti, dove, secondo statistiche giornalistiche, la polizia uccide più di mille persone all’anno (di cui due terzi sono afroamericani), in un clima di quasi totale impunità, garantita dalla non obbligatorietà dell’azione penale. Però a differenza di altri episodi, che avevano dato origine a proteste locali, questa volta è sorto un movimento diffuso di indignazione che ha coinvolto milioni di persone in tutti gli Stati, portando all’instaurazione di misure di guerra come il coprifuoco in oltre venti città.
Le dichiarazioni di Trump, che ha invitato la polizia a sparare e ha qualificato come terroristi i manifestanti antifascisti, indubbiamente hanno incoraggiato reazioni violente nei confronti dei dimostranti, ma questa volta si sono levate voci inusitate di protesta all’interno degli stessi corpi di polizia, sono i poliziotti che si uniscono ai cortei dei manifestanti, che solidarizzano con la protesta, che dicono basta alla solidarietà a priori con i propri colleghi picchiatori e assassini.
Ha scritto Sandro Portelli: “che poliziotti di Ferguson si inginocchino in omaggio a un afroamericano ammazzato da uno come loro significa che c’è un limite a tutto, che questo limite è stato oltrepassato, e che qualche coscienza comincia a cambiare.” La civiltà del ginocchio sul collo, egregiamente rappresentata dal Presidente Donald Trump, sta vacillando. Questo conflitto si può risolvere con una sonora sconfitta di Trump a novembre e l’avvento di un nuovo respiro, di una nuova impostazione, oppure il dramma può precipitare nell’inferno di un nuovo fascismo con i caratteri del suprematismo bianco.
Il secondo scenario è quello dell’Unione Europea, abbiamo visto che il progetto che la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen ha presentato il 27 maggio al Parlamento Europeo (denominato NextGenerationEU) realizza una svolta senza precedenti nella politica europea. E tuttavia si tratta pur sempre di un progetto che deve affrontare le forche caudine del Consiglio Europeo dove si vota all’unanimità. Molto si è discusso di questo progetto però è passata sotto silenzio l’intervista della Presidente della BCE, Cristine Lagarde, che ha chiarito che la BCE continuerà le sue azioni di sostegno all’economia dell’Europa, in evidente polemica con la Corte Tedesca, ed ha osservato: “credo che i termini del patto di stabilità e di crescita debbano essere rivisti e semplificati prima che si pensi di reintrodurlo, quando saremo usciti da questa crisi.”
Questo intervento ha acceso un faro sulla necessità di operare un profondo cambiamento delle regole europee sull’austerità che attualmente sono sospese, ma rischiano di strozzarci se, finita la fase dell’emergenza, venissero ripristinate. Una volta realizzatasi la necessità di accrescere notevolmente il debito pubblico, che in Italia si stima arriverà al 150% del PIL, non è possibile reintrodurre le note regole del Patto di stabilità, che prevedono il bilancio in pareggio e la riduzione del debito pubblico al 60% entro venti anni. In passato ci sono state iniziative per rivedere i trattati europei, senza esito. Ora anche la Presidente della Bce riconosce, sotto dettatura della crisi che i trattati vanno ripensati, occorre cogliere al volo l’occasione, ma l’esito non è scontato, siamo al bivio fra il rilancio o la dissoluzione della democrazia in Europa.
Infine lo scenario italiano. Da un lato c’è il messaggio del Presidente Mattarella che richiama alla solidarietà e ai valori repubblicani, dall’altro la provocazione delle destre repubblichine che hanno inscenato manifestazioni proprio il 2 giugno per togliere senso alla festa delle Repubblica, nata dalla Resistenza. Quelle piazze ci dimostrano che il disagio sociale provocato dalla crisi può sfociare verso l’avvento di una “democrazia illiberale”, in stile Orban. Gli sviluppi che ci saranno in Italia dipenderanno molto dall’esito degli altri scenari che abbiamo descritto. Una cosa è certa, se la pandemia è una catastrofe naturale, le catastrofi politiche sono nelle nostre mani, possiamo impedirle.
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