di Mauro Seminara
La notizia è ancora frammentaria a causa del silenzio istituzionale della Libia sul caso. Dettaglio che ben spiega chi dovrebbe essere il partner dell’Unione europea, sponsorizzato dall’Italia, per salvare vite umane in un a propria area SAR (area di competenza e responsabilità ricerca e soccorso). Il riserbo è ancora più meschino se, come sembra, il naufragio che si è consumato questa notte è avvenuto in acque territoriali libiche. La tragedia si sarebbe consumata a brevissima distanza dalla costa della Libia (le acque territoriali si estendono per 12 miglia) e non nella sconfinata area SAR che l’International Maritime Organization (IMO, agenzia delle Nazioni Unite) ha avuto il coraggio di riconoscere prima e di non revocare dopo, quando la Libia è divenuto ufficialmente teatro di guerra ed ha quindi smesso di poter spacciare per sicuri i propri porti. La barca, dalle prime ricostruzioni, era mal ridotta e poco sicura già alla partenza. A bordo nessuno aveva giubbotti di salvataggio. A sei miglia nautiche da Zawya c’è stato il naufragio. Potrebbe essere stato determinante il meteo, con la perturbazione che ha avuto il suo epicentro proprio in quelle acque. I sopravvissuti devono la vita ad alcuni pescatori che li hanno soccorsi. Si è così consumato un altro naufragio davanti le coste del Paese in guerra nel quale tutti in Europa si preoccupano del coordinamento di una sedicente guardia costiera e nessuno di canali legali per le partenze dei migranti.
La notizia del naufragio è emersa grazie ad un parente di una delle persone a bordo che ha chiamato Alarm Phone denunciando l’accaduto. La barca, stando all’interlocutore della centrale di allarme telefonico civile per il soccorso marittimo, era un legno bianco salpato da un tratto della costa vicino Zawya alle due di notte. La barca si sarebbe rovesciata, per cause ancora indefinite, a pochissime miglia dalla costa e delle 32 persone che si trovavano a bordo 12 sono adesso disperse. Tra i dispersi, probabilmente deceduti, c’erano anche 2 bambini. La Libia ha negato qualunque informazione in merito ad Alarm Phone, ma anche alla Organizzazione non governativa Sea Watch. Quest’ultima, in caso di necessarie ricerche in mare, se autorizzata dalle autorità libiche a fare ingresso in acque territoriali, avrebbe potuto partecipare alle ricerche dei dispersi. Ma si sa che per certe autorità sono meglio una decina di morti che una Ong in zona che aiuta a salvarli. Alarm Phone ha reso pubblico il possibile naufragio alle 15:30, ma ci sono volute un paio di ore prima che l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM, agenzia delle Nazioni Unite) confermasse quanto accaduto con i primi dettagli: 20 sopravvissuti, 12 dispersi tra cui 2 bambini. I sopravvissuti, tra l’altro, dalle prime informazioni risulta che siano stati condotti in un centro di detenzione nei pressi di Zawya.