di Mauro Seminara
Ieri pomeriggio la organizzazione non governativa Mediterranea Saving Humans ha deciso di aggiungere un altro tassello al caso del cadavere avvistato nel Mediterraneo centrale il pomeriggio del 19 giugno. Con un nuovo post sul proprio account social ufficiale, Mediterranea dice inoltre di chiedere aggiornamenti, da parte delle autorità marittime cui aveva segnalato la presenza del corpo, sull’eventuale recupero. Il corpo, si legge in una e-mail che dalla plancia di comando sarebbe stata inviata ad una sequenza di indirizzi di posta elettronica e che la Ong ha pubblicato a corredo del post ieri, secondo il medico di bordo, dottoressa Vanessa Guidi, poteva trovarsi in mare da circa una settimana. Questa la valutazione fatta dal medico che però, ovviamente, non ha avuto modo di effettuare una ispezione cadaverica e si è limitata ad una stima di massima che è stata letteralmente trasmessa alle autorità marittime di Italia e Malta.
Alle coordinate indicate alle autorità marittime circa la presenza del corpo segue una breve descrizione che si legge nell’e-mail pubblicata ieri dalla Ong della nave Mare Jonio: “Young black male apparently in water since at least one week“ (“Giovane maschio nero apparentemente in acqua da almeno una settimana”). La stessa e-mail, trasmessa alle 16:39 del 19 giugno 2020, spiegherebbe anche la premura che la Mare Jonio aveva nel raggiungere una imbarcazione i pericolo che era stata avvistata e segnalata dal velivolo da ricognizione civile Moonbird. “Con la morte nel cuore – recita il post pubblicato ieri da Mediterranea – abbiamo dovuto lasciare indietro quel corpo e abbiamo proseguito nella disperata lotta contro il tempo in cui eravamo impegnati, finché il nostro equipaggio non è riuscito per fortuna a raggiungere e trarre in salvo i 67“, naufraghi che sono stati soccorsi e che sono poi sbarcati nel porto di Pozzallo.
Tra le spiegazioni fornite dalla Ong sul mancato recupero della probabile vittima di un naufragio di migranti c’è che la “Mare Jonio non era in alcun modo attrezzata per il suo recupero“, “che sarebbe risultato rischioso” anche per il personale di bordo e che “lo stato di decomposizione era molto avanzato” e la nave umanitaria non ha a bordo una cella frigorifera per conservare cadaveri. Di fatto neanche le motovedette della Guardia Costiera hanno a bordo una cella frigorifera e lo sanno bene i guardacoste che nei mesi di ottobre e novembre dello scorso anno si sono trovati a dover recuperare decine di cadaveri rimasti in mare anche oltre una settimana. Di contro, è comprensibile che la segnalazione di coordinate esatte in cui si trovava una imbarcazione in difficoltà abbia indotto la Mare Jonio ed il suo team di soccorritori a dare assoluta precedenza alla tutela della vita a discapito del recupero di una persona che non ce l’aveva fatta.
Il corpo quindi si trovava, secondo la valutazione del medico di bordo della Mare Jonio, in mare da circa una settimana alla data del 19 giugno. Risalendo la cronologia dei naufragi, di cui si ha conoscenza, consumati nel Mediterraneo centrale, si ricordano nel mese di giugno quello occorso al largo della Tunisia in cui hanno perso la vita circa 60 persone e quello a 6 miglia dalla Libia noto per la bambina di pochi mesi restituita dal mare sulla costa di Sorman. Malgrado anche nel naufragio tunisino ci fossero molte persone di etnia subsahariana, se il corpo avvistato dalla Mare Jonio appartenesse a quella tragedia sarebbe stato probabilmente irriconoscibile e vittima di macabra mutilazione dovuta allo sfaldamento dei tessuti che rende testa ed a volte braccia troppo pesanti per rimanere sul tronco. Il naufragio al largo di Sfax infatti si è consumato alla fine della prima settimana di giugno, e quel corpo, dopo due settimane, probabilmente non sarebbe rimasto neanche a galla.
All’alba del 13 giugno alcuni pescatori hanno condotto a terra, in Libia, i superstiti di un naufragio che si era consumato poche ore prima a poche miglia da Zawiya. Sono risultate essere 12 le vittime in questo caso, due delle quali appena dei bimbi. Una restituita dal mare tre giorni dopo sulla costa di Sorman, poi seppellita dalla stessa Mezzaluna Rossa che l’aveva trovata con gli onori libici avvolta nella seta bianca. Con questo episodio potrebbe combaciare il periodo stimato dalla dottoressa Vanessa Guidi. Il corpo del giovane uomo di colore potrebbe quindi essere quello di una delle vittime del naufragio occorso a 6 miglia da Zawiya, oppure la vittima di un naufragio fantasma se non addirittura un uomo caduto in mare da una barca poi giunta a destinazione. In assenza di una identificazione sarà impossibile ricostruirne la storia, e probabilmente l’identificazione non potrà mai avvenire se nessuno ha mai recuperato il corpo. Doveroso però tenere conto anche di altri ritrovamenti, avvenuti lo stesso giorno dell’avvistamento del corpo da parte della Mare Jonio ed il giorno successivo. Due corpi sono stati ritrovati sulla costa di Sabrata, in Libia, il 19 giugno. Altri tre corpi invece sono stati ritrovati il 20 giugno e pare facessero parte del naufragio avvenuto poche ore prima al largo della Libia, in acque territoriali come nel caso del 13 giugno.
La vicenda apre però ad altri quesiti sul caso. Tra questi, in primis, il fatto che pur in modo insolitamente tardivo – dopo quattro giorni – l’episodio è stato denunciato da Luca Casarini il 22 giugno con un post Facebook corredato di videomessaggio dello stesso capomissione di Mediterranea sulla Mare Jonio. Dalla e-mail che Mediterranea ha pubblicato ieri a corredo del post in cui viene circostanziato il motivo del mancato recupero del cadavere si evincono in copia, quindi oltre gli indirizzi degli RCC di Italia e Malta, altri indirizzi di posta elettronica. Tra questi si legge, parzialmente coperto, quello di Sea Watch, quello di Alarm Phone e quello dell’UNHCR. Sia l’altra Ong, la tedesca la cui nave è ora in quarantena a Porto Empedocle, sia Alarm Phone, centrale d’allarme telefonico civile per il soccorso marittimo, che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati erano quindi a conoscenza dell’avvistamento in mare del cadavere di un uomo a sud di Lampedusa. Nessuno dei soggetti di cui sopra, partendo ovviamente dai primari destinatari dell’e-mail che sono le autorità marittime nazionali di Italia e Malta, hanno reso pubblica notizia del caso.
Al silenzio istituzionale dell’autorità marittima che, salvo prova contraria, non si sarebbe adoperata per il recupero del corpo, si aggiunge quello di altre Ong e – soprattutto – dell’UNHCR. Nessuno dei soggetti informati del ritrovamento ha quindi reso di pubblico dominio l’avvistamento di una delle migliaia di vittime che negli anni hanno affollato il fondale e la superficie del Mar Mediterraneo. Un silenzio, poi rotto dalla stessa Mediterranea Saving Humans, che fa temere il peggio sul numero di naufragi che si possono consumare in totale silenzio – da “segreto di Stato” – a sud delle nostre coste senza che se ne abbia traccia alcuna. Caso su caso, noto ormai il silenzio tombale degli avvistamenti dell’agenzia europea Frontex che non ritiene di dover rendere pubblico ciò che fa e ciò che vede con i propri velivoli nel Mediterraneo, anche solo per motivare il proprio faraonico bilancio, si evince dalla stessa e-mail pubblicata da Mediterranea che il velivolo civile da ricognizione Moonbird – anch’esso di una Ong – aveva avvistato una imbarcazione in difficoltà trasmettendo esatte coordinate anche alla Mare Jonio che infatti navigava verso il punto indicato quando ha avvistato il corpo in mare. Anche questo potrebbe far temere una gestione “riservata” delle informazioni con avvistamenti ed episodi documentati di cui non si viene poi a conoscenza. Questo è un modo efficace per assicurare che il Mediterraneo rimanga il buco nero che da tempo denunciamo. Nel Mediterraneo, intanto, saranno a breve più i cadaveri di esseri umani che i pesci.
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