di Sandra Morano
Ginecologa ricercatrice Università degli Studi di Genova
Finalmente, complice la tregua estiva, è possibile per le donne portare lo sguardo oltre il quotidiano per una “fisiologica” pausa, operazione stimolata dal fatto che il virus ci ha portato improvvisamente a portata di mano un “cambiamento di prospettiva”. Non abbiamo avuto il tempo di accorgercene giorno per giorno, non era tanto facile, impegnatenel lavoro a fare corpo unico, a curare, organizzare, resistere. Tutto il mondo ha potuto vedere la sanità italiana all’opera, portata alle stelle dal sottosuolo dove da anni sembrava relegata.
Amara soddisfazione, pagata con gli interessi, e con il legittimo sospetto che(nonostante si ripetesse fino alla noia che nulla sarà più come prima) tutto continuerà come se nulla fosse cambiato: con la nota incapacità di dare valore al lavoro di cura,e la salute del paese lasciata all’etica dei singoli professionisti, Si sono succedute seconde e terze fasi, Stati generali, prima e presumibilmente dopo gli accordi in Europa sul Recovery Fund. Si è parlato, e si parla ancora, di “ricostruzione”, con task force in cui già è stata notata la scarsa presenza femminile. Ma in effetti dove sono le donne?
Donne che curano ai tempi del Coronavirus
Incomprensibilmentepuò sembrare che, a dispetto delle preoccupazioni sulla scarsità di presenze femminili ai tavoli decisionali che in queste settimane si sono avvicendate sulle più quotate testate giornalistiche (anche con grandi firma maschili come supporter), la gran massa di lavoratrici del SSN non sembra molto interessata al protagonismo del day after.
Le donne, i due terzi della totalità della forza lavoro, c’erano, e hanno fatto la differenza prima, in questo lungo tempo sospeso che nessuno potrà dimenticare facilmente, con l’epidemia che avanzava, gli annunci e le informazioni in ordine sparso, le direttive contraddittorie, le carenze, la retorica, il lavoro considerato un dono di santi celesti e non una competenza che ha un prezzo. Silenziose, efficaci, dai lavori più umili della cura e della pulizia fino a quelli superspecialistici e alla direzione, instancabili,senza presìdi, come tutti, hanno vissuto e governato questa lunga traversata. Abbiamo visto e sentito testimonianze toccanti, letto storie di “normale lavoro” che rimarranno a lungo a memoria delle nostre emozioni. Lavoro che, inutile ricordarlo, non si limitava alla fine dell’orario in ospedale, o negli spazi territoriali, o nelle ambulanze. Forse è questa la cifra che giustifica (?) una certa estraneità della massa critica delle lavoratrici della Sanità, perché sappiamo che non è la mancanza di presenzialismo a preoccuparci, soprattutto se di copertina, senza idee, né generali né declinate sulla differenza.
Nel lavoro femminile, in particolare in quello di cura, la stella polare è l’esperienza, e le settimane passate non hanno potuto far altro che arricchirla. Come le donne hanno affrontato questa pandemia in Italia?
I motori di ricerca oramai abbondano di articoli, esperienze cliniche, reports, studi prospettici sugli out come di una contingenza unica che nessuno ha finora visto in occidente, a casa nostra, dal secolo scorso. E in cui la maggioranza che l’ha vissuta è composta da donne. Donne che curano ai tempi del Coronavirus. Una prova epocale, che tutto il mondo ha lettonei volti deformati dai DPI dopo un turno infinito. E di cui sarebbe illuminante conoscere quanto accadeva nelle retrovie, ad assistere, reinventare reparti e nuovi letti, dirigere in emergenza, organizzare turni, interpretare direttive, e tanto altro.
Lavoro di Cura e Cura del lavoro
Dicevamo che la pandemia ha “riscoperto” il lavoro delle donne. Ma ha dovuto allo stesso modo, attraverso i provvedimenti introdotti d’urgenza e i divieti relativi alla prevenzione del contagio,mettere involontariamente in discussione quasi un secolo di codici organizzativi finora inamovibili, schemi di lavoro apparentemente immutabili. Gli stessi che storicamente hanno condizionato in particolare proprio le vite delle donne che lavorano.
Quasi beffardamente tutte le battaglie che per anni sono state inutilmente affrontate e mai vinteda movimenti e sindacati sembrano improvvisamente superate per decreto. Così come la “riscoperta “ dell’importanza del SSN, che da sola fonte di spesa sembra finalmente santificato, addirittura trasformato in fonte di investimento, insieme al riconoscimento del valore della professione medica e infermieristica.
Così come le rivendicazioni, perlopiù femminili, su flessibilità, conciliazione, sostegno alla famiglia, usualmente ignorate, di cui finalmente si parla, e addirittura si delibera (v. approvazione alla Camera dei Deputati del Family Act). Il lavoro potrebbe diventare anche flessibile, il lavoro da remoto addirittura mandatorio (smartworking).
E’ vero altresì che l’emergenza sanitaria ha spazzato via, come è già successo in Cina, un modello malato del lavoro, anche di cura; e ci consegna, quando l’epidemia passerà, finalmente la grande opportunità di essere protagoniste ed artefici di quella trasformazione epocale che il virus ha catalizzato. Inutile negare che questa è per le donne (non solo in sanità) l’Occasione. Sperimentare nuovi modelli di vita e di lavoro. Proporre stili di condivisione e di prossimità. Per mettere in pratica rivendicazioni finora solo sognate, ma anche innovazioni.
Per la prima volta nella storia del lavoro del nostro tempo, ci potrebbe essere una “curvatura”, nel lavoro di cura e non solo, tra i luoghi e i bisogni dell’esistenza e quelli della professione. Che mette in primo piano quella vita fatta di relazione, di tempi della persona, della famiglia, finora disumanamente fuori dalle istituzioni e dai suoi luoghi.O più semplicemente l’epidemia sembra aver stimolato l’ “agire politico” delle donne che curano.Sta a tutte noi far sì che da questo parta un’onda lunga di innovazioni profonde (neanche ipotizzabili senza un’emergenza come quella attuale) in modo da ispirare ed avviare un ripensamento generale del modo di vivere e di fare salute.