di Vittorio Alessandro
Quando lo Stato è cattivo, ma anche in cattivo stato, per fermare le navi Ong (quattro sono in banchina a Palermo e a Porto Empedocle, una quinta attende di essere punita) deve inventare qualcosa che, fuori dal buon senso e dalle convenzioni, renda il soccorso in mare una porcheria. Lo stratagemma – che si rinviene nei decreti “sicurezza” voluti dal governo Conte Uno e non intaccati dal governo Conte Due – è l’interruttore dell’apertura dell’evento SAR, atto formale (dovuto) con conseguenze decisive: tra queste, la responsabilità della riuscita del soccorso anche in sostituzione di altri Stati costieri eventualmente ignavi, l’individuazione di un comandante in area operazioni, l’obbligo di assegnare un porto sicuro e, infine, la ratifica dello stato di emergenza.
Le norme “sicurezza” firmate da Salvini prevedono che le unità di soccorso straniere, in assenza di apertura di evento SAR, oltre a non avere diritto a un porto, siano passibili di sanzioni (si parla ora di modificare quelle sanzioni, non certo di abolire il meccanismo).
Cosa fa, dunque, ora l’Italia? Quando non può farne a meno, manda le proprie motovedette (entro le trenta miglia) e assegna un porto alle navi Ong che abbiano salvato naufraghi, ma non apre più l’evento SAR, con ciò non soltanto esponendo a sanzioni i volontari, ma inchiodando le navi Ong al di fuori dalla SOLAS (norme internazionali di sicurezza) e dalla MARPOL (disciplina per la prevenzione degli inquinamenti).
Infatti, soltanto in caso di emergenza le navi possono, in deroga a tali norme, trasportare un alto numero di persone, come inevitabilmente accade nei soccorsi, che siano casuali oppure volutamente affrontati per ovviare alla carenza di interventi statali. La mancata apertura di evento SAR esclude l’emergenza e, in assenza di quella, i disperati sulle navi Ong sono promossi a passeggeri, certamente in numero superiore a quello che la nave può portare: ecco perché essa viene sequestrata.
Il trucco (sporco) prevede che ad aprire l’evento SAR, in modo teleguidato da Roma, sia, se mai, una finta Guardia Costiera che agisce in una falsa zona SAR: si tratta di quelle libiche, su cui un giorno i tribunali internazionali scriveranno sentenze.
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