di Mauro Seminara
Due errori vengono commessi con una certa frequenza quando si parla di migranti che partono dalla Libia, e nessuno dei due per cosa o per pura ignoranza. In entrambi i casi c’é di mezzo il linguaggio politico e l’avallo della stampa mainstream. Uno di questi errori riguarda la falsa illusione del cosiddetto “blocco delle partenze”. Spesso, troppo spesso, le partenze non vengono bloccate ma vengono catturati dalla sedicente guardia costiera “libica” (la Libia non è uno Stato unico ma un Paese in guerra diviso in diverse fazioni) e se non se ne ha notizia, siano barche intercettate dalle motovedette donate dall’Italia alla Libia o barche naufragate, il mancato arrivo dei migranti sulle nostre coste viene “venduto” per efficacia del blocco delle partenze. L’altra falsa notizia, ancor più ignobile, riguarda la definizione stessa di “blocco delle partenze”. Questa espressione, che raramente comporta un chiarimento offerto alla popolazione, si traduce – con le giuste parole – in impossibilità di lasciare i luoghi di detenzione in cui i migranti subiscono violenze, stupri, torture, e nei quali vengono esposti alla fame ed a gravi carenze igienico sanitarie.
Scabbia diffusa sul corpo di un migrante soccorso da Open Arms
Di queste partenze che non si sono mai fermate è stata testimone in questi giorni Open Arms con il suo omonimo rimorchiatore. Già l’8 settembre aveva soccorso una imbarcazione in legno con 83 persone a bordo che erano riuscite a navigare fino ad una distanza di temporanea sicurezza dalle motovedette libiche. La temporaneità è dovuta alle continue ricognizioni di Frontex che con i suoi velivoli avvista le barche con i migranti e ne comunica la posizione, tra gli altri, anche al presunto JRCC, la centrale di coordinamento libico per i soccorsi marittimi che dai documenti finiti agli atti di un procedimento riguardante proprio la Open Arms sarebbe affiancata o parzialmente sostituita dalla Marina italiana che staziona nel porto di Tripoli. In altri casi è stato invece documentato il recupero dell’imbarcazione con migranti a bordo nelle acque internazionali di responsabilità SAR (ricerca e soccorso) di Malta. In questo caso, in area SAR maltese ma operato dai libici, il recupero si profila come un respingimento per procura. La Open Arms si trova in questo momento nel Mediterraneo centrale come unica nave ONG in missione. La Sea Watch 4, ultima nave varata della ormai smembrata flotta non governativa, è ferma a Palermo in quarantena.
Dopo il soccorso dell’8 settembre, la Open Arms ha intercettato un altro natante in pericolo. Si tratta di un gommone a bordo del quale i trafficanti avevano costretto all’imbarco 77 persone, tra le quali anche 11 donne e 2 bambini. Presi a bordo dalla ONG, in virtù delle norme internazionali previste da vari Trattati oltre che per l’obbligo morale di non lasciare un gommone monotubolare così carico, con donne e bambini a bordo in mezzo al mare, la Open Arms ha ripreso la navigazione restando in attesa di un place of safety (luogo sicuro di sbarco dopo un soccorso marittimo) chiesto alle autorità europee che dispongono di un vicino porto sicuro. Nessuna risposta positiva per il rimorchiatore che nel frattempo, con 160 persone a bordo si è imbattuto in un altro gommone. Quest’ultimo, ancor più dei precedenti rappresenta il valore della vita umana per chi traffica con i migranti in nord Africa. A bordo la ONG ha trovato e soccorso 116 persone tra le quali anche due donne. A questo punto per il rimorchiatore la situazione si è fatta davvero difficile, perché a bordo ci sono adesso 276 persone e la Open Arms non è una nave da crociera.
“L’imbarcazione ci è stata segnalata dalla nave mercantile Morning Crown che, per ore, è rimasta accanto alla barca senza prestare assistenza ai naufraghi, seguendo le istruzioni impartitegli dalle autorità maltesi”, spiega la ONG che ha poi soccorso le 116 persone che si trovavano in mare da tre giorni e che, secondo il team medico di Emergency che opera a bordo in partnership con Open Arms, “si trovavano affamati, in condizioni di disidratazione grave, stato confusionale e debilitazione severa”. Lo scenario drammatico non è l’ultimo cui Open Arms deve assistere dopo il divieto di soccorso impartito dalle autorità maltesi, in area SAR maltese, al mercantile Morning Crown. Poco più tardi, su indicazione di Alarm Phone, il rimorchiatore spagnolo ha intercettato un quarto natante. Si tratta di un altro gommone che da tre giorni navigava nella speranza di raggiungere l’Europa. A bordo c’erano 67 migranti, anch’essi in condizioni ormai problematiche. La Open Arms però ha già 276 persone a bordo e non lontano dal gommone c’è Lampedusa. La ONG decide di assistere i migranti in attesa del richiesto e sollecitato soccorso. Vengono forniti acqua e cibo ai naufraghi cui il team rescue (il gruppo di soccorritori specializzati) fornisce anche i giubbotti di salvataggio. La motovedetta italiana, della Guardia Costiera è vicina, ma i migranti si trovano ancora in acque internazionali, in area SAR maltese anche se a circa venti miglia da Lampedusa – ancora meno dalla motovedetta – e circa 180 da Malta, ma l’intervento non viene effettuato. Al sollecito di Open Arms la motovedetta SAR d’altura classe 300 spegne anche il trasponder AIS (Automated Identification System).
La Open Arms segue il gommone fino al confine con le acque territoriali italiane (12 miglia nautiche) di Lampedusa, dove finalmente, una volta entrato ufficialmente in SAR zone italiana oltre che in acque nazionali, la motovedetta SAR viene autorizzata al soccorso ed al trasbordo dei naufraghi. Lo sbarco è avvenuto questa mattina a Lampedusa come documentato anche dai “life jacket” (giubbotti di salvataggio) dismessi dai naufraghi in banchina sui quali era ben visibile la scritta “Open Arms”. Della presenza del natante avevano notizia tutti, autorità nazionali ed agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne europee. Così come avevano notizia del sovraccarico della precaria imbarcazione (un gommone monotubolare, quindi molto pericoloso) e delle precarie condizioni delle persone a bordo, che si trovavano in mare da tre giorni come essi stessi avevano testimoniato alla ONG. Nel caso di naufragio con vittime si poteva anche profilare l’ipotesi di omissione di soccorso e quindi il reato “colposo” di chi, appresa “notizia di barca in pericolo” non ha intrapreso tutte le attività necessarie per avviare il soccorso, con o senza il coordinamento dell’autorità nazionale su cui ricade la competenza SAR. La barca è stata soccorsa dalla motovedetta italiana intorno alle quattro della notte appena trascorsa. Svariate ore dopo la segnalazione e l’intervento della Open Arms che almeno aveva offerto loro giubbotti di salvataggio e assistenza scortandoli fino alle fatidiche acque territoriali in cui la Guardia Costiera italiana può fare la Guardia Costiera e basta.