di Mauro Seminara
Dopo appena due giorni dal rischio di strage a pochi metri dalla costa di Lampedusa, un altro naufragio si è consumato nel Mediterraneo centrale. Questa volta, come già troppe quest’anno, a breve distanza dalla costa della Libia. Lo Stato, dilaniato da una “guerra civile” cui in realtà partecipano anche troppe forze militari estere, ha un’area SAR (di esclusiva responsabilità per la ricerca ed il soccorso marittimo) enorme ed estesa anche fino oltre settanta miglia dalla costa e per l’intero Stato pur essendo questo diviso in diverse fazioni e territori a controllo esclusivo sia in mare che in terra. Lo dimostra il recente sequestro dei pescatori italiani catturati da forze riconducibili al generale Haftar, quindi al Governo di Tobruk, dopo che il ministro per gli Affari Esteri italiano si era recato in visita a Tripoli.
La “Libia”, volendola considerare un unica nazione, non è in grado di controllare e garantire la sicurezza nell’intera area SAR che l’IMO (Organizzazione Internazionale Marittima, agenzia delle Nazioni Unite) le ha riconosciuto con l’avallo italiano. Il risultato, in quella terra che non è in grado di combattere il traffico di migranti neanche con l’aiuto, i mezzi, il denaro e l’affiancamento italiano, continuano a verificarsi naufragi a breve distanza dalla costa. È la mattanza, continua, delle persone più vulnerabili. Quei migranti che dopo aver subito ogni sorta di vessazione, di mortificazione fisica e psicologica, vengono imbarcati – a volte anche sotto minaccia delle armi – su imbarcazioni estremamente precarie.
La notte appena trascorsa sono partite da Zawya (ad ovest di Tripoli) tre piccole e precarie imbarcazioni cariche di migranti che i trafficanti hanno affidato ad un mare estremamente pericoloso. Una delle tre, un gommone, spiega la portavoce dell’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) a Ginevra, Safa Msehli (foto in basso), si è capovolto e soltanto due sono i superstiti. Nel corso della notte questi due sopravvissuti sono stati sbarcati nel porto di Zawya insieme ad altre 43 persone che si trovavano sulle altre due imbarcazioni. Tra i dispersi, ormai quasi certamente morti, invece ci sono 22 persone delle quali al momento sappiamo davvero poco. Altre due dozzine, quasi, di vittime anonime che quindi non turberanno l’ormai poco sensibile animo degli europei alla cui porta intendevano bussare per chiedere aiuto.
“I migranti rimpatriati hanno riferito al personale dell’OIM che le barche erano partite da Zawya“, ci racconta la portavoce OIM a Ginevra che aggiunge: “Tutti i migranti delle tre barche rimpatriate ieri sono stati portati al centro di detenzione di Zawya“. Questo periodo dell’anno è forse uno dei più pericolosi per la rotta dei migranti verso l’Europa ed abbiamo chiesto a Safa Msehli se, nel continuo verificarsi di naufragi, a suo avviso c’è una responsabilità europea con il ritiro dei mezzi navali e quindi dei soccorsi in mare ormai non più operati se non esclusivamente dalle motovedette libiche (già della Guardia di Finanza). “Abbiamo costantemente affermato – afferma la portavoce OIM – che è necessaria una maggiore capacità di ricerca e soccorso a guida statale. Il Mediterraneo centrale rimane la traversata marittima più pericolosa del mondo. L’assenza di capacità degli Stati continua ad essere motivo di grande preoccupazione mentre continuiamo a perdere vite umane in mare“.
Tra le proposte più ricorrenti per la legittimazione italiana del rinnovo di accordi con la Libia e dei finanziamenti alle loro milizie definite “guardia costiera” c’è l’istituzione di un sistema di accoglienza trasparente e umano per i migranti in Libia. L’OIM opera in Libia ed è presente agli sbarchi dei migranti – cosa che non accade più in Italia a causa di un protocollo non rinnovato dal Viminale – ed anche in alcuni centri di detenzione “governativi” nei quali può accedere per verificare le condizioni e redigere report sullo stato riscontrato. Abbiamo quindi chiesto a Safa Msehli se è cambiato qualcosa in quel territorio e se ci sono stati miglioramenti nei centri di detenzione libici. La risposta però delude ogni ottimistica aspettativa: “Le condizioni nei centri di detenzione libici sono orribili. Questo sistema di detenzione deve essere smantellato e devono essere adottate alternative più umane che salvaguardino le vite“. Su questi aspetti del rapporto con le autorità libiche però l’Italia e l’intera Unione europea pare voglia continuare a voltare lo sguardo altrove. Lo confermano non soltanto gli accordi bilaterali dell’Italia ma anche e soprattutto la collaborazione tra l’Italia e l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne (Frontex) nel segnalare con estrema puntualità le coordinate delle barche cariche di migranti alle motovedette libiche perché vadano a recuperarle invece che a mercantili o navi Ong perché li salvino dal ritorno all’inferno. E proprio le Ong, che sono state violentemente criminalizzate dall’Italia con il tacito assenso dell’Unione europea, erano le ultime ed uniche speranze per i profughi che avrebbero avuto diritto a chiedere asilo in Europa invece di essere ricacciati nei lager libici finanziati dall’Europa.
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