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Open Arms, 76 in mare. Adesso chi criminalizza chi?

La Open Arms davanti Palermo e le persone in mare dopo essersi tuffate dalla nave ONG spagnola la mattina del 17 settembre 2020

di Mauro Seminara

Sul rimorchiatore della Ong spagnola c’erano quasi 280 persone e per nessuna di esse è stato concesso un place of safety (un luogo sicuro di sbarco) perché nessuno degli Stati dell’Unione europea che si affacciano sul Mediterraneo centrale e con aree SAR (di responsabilità ricerca e soccorso) nelle immediate vicinanze di quella ignobilmente affidata ad uno Stato in guerra ha concesso loro un porto né ha assunto il coordinamento SAR con la propria Centrale di Coordinamento Soccorso Marittimo (MRCC). La Open Arms, piccola nave omonima della Organizzazione non governativa, ha avvicinato Malta, poi l’Italia con l’arcipelago delle Pelagie, infine si è dovuta spostare velocemente – per quanto possibile con un carico di circa 300 persone a bordo equipaggio incluso – a causa di una forte perturbazione che l’avrebbe investita proprio in quel buco nero del diritto internazionale europeo che si rende spesso visibile tra le Pelagie, Malta e la Sicilia. Una volta giunta al largo del porto agrigentino di Porto Empdocle, in acque territoriali, con ingresso entro le 12 miglia autorizzato per ripararsi dal meteo durante la burrasca, dalla Open Arms si sono gettati in mare 10 naufraghi che non intendevano sottostare ad un sequestro di Stato avendo la costa a relativamente breve distanza. Era evidente lo stato di difficoltà a bordo della nave Ong che ha assolto al suo inderogabile ruolo civile soccorrendo persone in pericolo nel Mediterraneo ma che non poteva poi garantire la sicurezza a bordo per lungo periodo.

Medevac a Porto Empedocle di due donne incinta il 15 settembre 2020

Mentre la Open Arms si trovava vicino Linosa, a nordest della vulcanica isola pelagica italiana, oltre le dodici miglia, la Guardia Costiera l’ha raggiunta da Lampedusa ed è stato fatto un sopralluogo dai medici che operano a bordo ed in convenzione con la Guardia Costiera italiana. La situazione sanitaria critica relazionata dai medici di Emergency che operano quali partner della Ong spagnola sulla Open Arms non è stata riconosciuta. La richiesta di evacuazione per motivi di salute di 9 persone, 7 gravemente ustionate e bisognose di cure ospedaliere immediate e 2 in stato di gravidanza con sintomi di nausea e debolezza, al 14 settembre, dopo sei giorni dal primo dei tre soccorsi operati dalla Open Arms – due dei quali in area SAR di responsabilità maltese – è stata negata sia dall’Italia che da Malta. Lunedì sera la Guardia Costiera ha raggiunto Open Arms vicino Linosa, senza però accordare alcuna evacuazione medica a Lampedusa. A largo di Porto Empedocle però, appena l’indomani, martedì 15 settembre, la Guardia Costiera ha operato l’evacuazione medica di due donne incinta per le quali il team medico di Emergency aveva chiesto appunto il “medevac”. Il trasbordo per evacuazione medica urgente delle due donne in gravidanza è stato effettuato mediante rhib della Open Arms che ha accompagnato le donne all’unità di Guardia Costiera per un secondo trasbordo in mare prima che quest’ultima unità le sbarcasse a terra.

Mentre la Open Arms si trovava ferma davanti il porto siciliano per il “medevac” si sono gettati in mare dieci naufraghi soccorsi giorni prima. Momenti di paura per il team rescue della Ong che li ha immediatamente soccorsi in autonomia. Nessun intervento da parte delle autorità marittime nazionali italiane, e malgrado l’aria già tesa a bordo, al punto che naufraghi si sono tuffati in mare correndo un gravissimo pericolo mentre si trovavano in acque territoriali italiane, nessun intervento e nessuna assunzione di coordinamento è stata fatta dalla Guardia Costiera italiana e dal suo MRCC. Alla Open Arms è stato invece comunicato, via radio, senza e-mail e senza formale assunzione di coordinamento SAR da parte di MRCC Roma, di recarsi – con quelle condizioni a bordo – fino al porto di Palermo. La Open Arms esegue e circumnaviga la costa occidentale della Sicilia fino al porto del capoluogo di Regione. Giunta a Palermo, ieri, nulla accade ed il rimorchiatore sovraffollato della Ong rimane in attesa ordini fino a questa mattina, quando a gettarsi in mare non sono più dieci audaci o disperati ma 76 persone che stavano a bordo già da nove giorni e per la quarta volta vedevano la costa a brevissima distanza senza poter sbarcare. Anche questa volta, ancor più della precedente, la scena è stata drammatica e la paura di veder annegare qualcuno malgrado i giubbotti salvagente con cui si sono tuffati in mare era concreta. Un rischio che ha voluto correre l’autorità italiana che aveva già visitato la situazione a bordo e che era già a conoscenza dell’esasperazione di un gruppo di naufraghi tra i quali dieci si erano già gettati in mare. Non era stata la Guardia Costiera a soccorrerli quali naufraghi in mare ed in acque territoriali, sbarcandoli a terra, ma la prontezza dei soccorritori di Open Arms che per la seconda volta ha salvato loro la vita.

Guardia di Finanza e Guardia Costiera vicino Open Arms in rada nel porto di Palermo il 17 settembre 2020 dopo che 76 persone si erano gettate in mare

Adesso la nave umanitaria spagnola che sbatte la prua contro la vergogna della civiltà europea, poche ore dopo il vuoto annuncio della Commissaria europea Ursula von der Layen sull’intenzione di superare il Regolamento di Dublino per risolvere la questione dei migranti in Unione europea, con motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza intorno dopo che in mare si sono tuffate 76 persone quando ancora nessun MRCC di Stato europeo aveva osato sfidare la propaganda dei sovranisti sempre più diffusi in Europa, e dei populisti sempre più addentro nella percezione dell’opinione pubblica ormai priva di capacità critica, assumendo il coordinamento del triplice evento SAR e mettendo quindi in immediata sicurezza naufraghi ed equipaggio. Nessuno Stato europeo ha, fino a questa mattina, chiuso l’operazione di soccorso marittimo che come qualunque Trattato internazionale consultabile prescrive, si chiude con lo sbarco dei naufraghi in porto. Soltanto dopo lo sbarco si può procedere all’identificazione, alle eventuali richieste di status di rifugiato dei naufraghi ed anche alle eventuali contestazioni giuridiche ai soccorritori. Se si profila l’ipotesi, anche in virtù del Testo Unico sull’immigrazione clandestina con eventuale contestazione di favoreggiamento (che anche l’Italia sa bene non potersi applicare a chi salva persone in acque internazionali da una barca sovraffollata e priva di qualsivoglia dotazione di sicurezza a bordo).

La Open Arms, inoltre, è la stessa nave già carica di 276 naufraghi salvati in acque SAR maltesi (due eventi) e libiche (un evento che stando alla filosofia italiana la Ong avrebbe dovuto affidare alla sedicente guardia costiera di uno Stato in guerra e nel quale le agenzie delle Nazioni Unite continuano a documentare maltrattamenti, violenze e stupri), e dopo ha scortato in sicurezza una quarta imbarcazione – cui ha consegnato giubbotti salvagente – fino al confine con le acque territoriali italiane di Lampedusa perché malgrado la comunicazione della loro presenza e del pericolo nessuna motovedetta ha lasciato il porto di Lampedusa né quello di La Valletta per un soccorso in acque internazionali. Il gommone è stato “soccorso” dalla Guardia Costiera italiana una volta raggiunta la SAR, quindi per coincidenza di confine anche le acque territoriali italiane, a sud di Lampedusa. Adesso, dopo anni di criminalizzazione delle ONG che operano soccorsi in acque internazionali, la domanda che ogni testa liberamente pensante dovrebbe porsi è: chi deve criminalizzare chi? Tra l’omissione di soccorso, reato penale sancito anche dalle leggi nazionali italiane, ed il soccorso “umanitario” operato da organizzazioni non governative non autorizzate ad intervenire dalla stessa autorità che omette il soccorso, forse la risposta c’è ed è anche fin troppo logica.

Mauro Seminara: Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.
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