di Mauro Seminara
La nave Ong tedesca Alan Kurdi aveva chiesto il place of safety (luogo sicuro di sbarco) per chiudere la missione di soccorso naufraghi a Italia e Malta quali porti sicuri europei più vicini. L’isola-Stato non ha neanche preso in considerazione tale richiesta. La risposta, dall’Italia, è stata invece una e-mail della Guardia Costiera dal tono salviniano con la quale si rispondeva alla nave Ong di rivolgersi allo Stato di bandiera. Una procedura che, al netto della pura propaganda, altro non fa che far assumere allo Stato di bandiera l’onere di chiedere formalmente un place of safety al posto del comandante dell’unità navale che ne ha bisogno. Una ovvietà, inoltre, perché lo Stato di bandiera è sempre interessato in caso di particolari esigenze di una unità navale che richiede un porto sicuro, ma la risposta suonava un po’ come “battete bandiera tedesca, allora portateveli in Germania”.
Al rifiuto di assunzione del coordinamento SAR da parte dell’Italia, dopo una evacuazione medica urgente comunque operata dalla Guardia Costiera italiana nel corso della quale sono state trasbordate e trasferite a Lampedusa otto persone tra le quali anche tre bambini, la nave della Ong tedesca Sea Eye ha impostato la rotta per il porto di Marsiglia. Una decisione che avrebbe soltanto rinviato lo sbarco in Italia di un paio di giorni e correndo concreti rischi. Le previsioni meteo davano infatti già il giorno dell’inizio navigazione verso la Francia una grave perturbazione in arrivo proprio da nordovest. La Alan Kurdi, se avesse tentato di raggiungere Marsiglia, l’avrebbe investita in pieno. Infatti, giunta a nordovest della Sicilia, la piccola nave Ong ha corretto il tiro andando a cercare riparo ad est della Sardegna.
L’Italia, a questo punto, è costretta a fare dietrofront. Prima concedendo alla Ong l’ingresso in acque territoriali per un sicuro riparo nel porto di Arbatax, sulla costa est della Sardegna centrale, poi concedendo il porto di sbarco alla Alan Kurdi nel porto di Olbia, sessanta miglia nautiche più a nord. Il ministro degli Interni Luciana Lamorgese, giovedì, nel corso di una audizione al Comitato parlamentare Schenghen, aveva ribadito che “i porti italiani sono chiusi” e spiegato che l’autorizzazione allo sbarco dei naufraghi a bordo della Alan Kurdi veniva concessa solo per la tempesta in arrivo e comunque con la garanzia di redistribuzione delle persone migranti in altri Stati membri ad eccezione di venticinque che rimarranno in Italia. Un giro di trottola che alla fine ha solo confermato come e perché i trattati internazionali in materia di soccorso marittimo hanno previsto che il luogo sicuro di sbarco deve essere il più vicino secondo le indicazioni del comandante di bordo che ne fa richiesta. Probabilmente poi la Francia non avrebbe concesso il place of safety – che dal punto di soccorso naufraghi era il quarto più vicino – per fare un favore all’Italia ed è anche probabile che la redistribuzione annunciata dal ministro degli Interni italiano sia opera di intervento tedesco.
L’operazione di sbarco della Alan Kurdi a Olbia è stata complessa e lunghissima. La piccola nave Ong si è presentata all’imboccatura del porto della Sardegna alle otto del mattino, scortata da una unità SAR d’altura della Guardia Costiera – la “CP-320” – già da Arbatax. Intorno alle undici del mattino l’ormeggio in porto e nel pomeriggio i tamponi ai 125 naufraghi che la nave aveva a bordo dopo l’evacuazione medica di Lampedusa, oltre 350 miglia nautiche prima. Già alla fase di ormeggio andava in scena la solita farsa leghista, per l’occasione rappresentata anche in Sardegna, con il deputato Eugenio Zoffili di quel Comitato parlamentare Schenghen al quale il giorno prima la ministra Lamorgese aveva spiegato le evidenti ed incontestabili ragioni del riparo e del successivo sbarco offerto alla nave tedesca. Le prime persone che hanno messo piede a terra si sono viste intorno alle sei del pomeriggio, probabilmente smarrite tra agenti di Polizia, della Guardia di Finanza, e poi Croce Rossa, medici dell’Azienda Sanitaria Provinciale, politici in cerca di visibilità e propaganda, prefetto e tanto altro.
La Alan Kurdi aveva tentato il trasbordo dei naufraghi in prima battuta. Un’idea che era chiaramente fin troppo comoda per la Ong e fin troppo poco utile per le autorità italiane. Ma l’ingresso in un porto italiano avrebbe rappresentato per l’Organizzazione non governativa un evidente addio alla Alan Kurdi, già sottoposta a fermo amministrativo in Italia a maggio di quest’anno, a Palermo, e poi tornata in mare per una nuova missione unica di salvataggio a settembre con il soccorso di 133 persone in pericolo nel Mediterraneo centrale. La Ong ha pronta una nuova e più grande nave che ha chiamato come il defunto fratello maggiore del piccolo Alan, “Ghalib Kurdi”. Ma come si è già visto per Sea Watch, che alla prima missione della nuova e più grande “Sea Watch 4” ha avuto comunque imposto un periodo di quarantena al termine del quale è stata ispezionata la nave e sottoposta a fermo amministrativo come le altre, la “Ghalib Kurdi” potrebbe diventare l’ennesima nave Ong “usa e getta” che al primo intervento di soccorso a sud delle coste italiane si ritroverà costretta al fermo amministrativo in porto.