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Cala il sipario sul 3 ottobre

Un momento della cerimonia laica notturna a Lampedusa con i primi soccorritori civili ed alcuni superstiti del naufragio del 2013

di Mauro Seminara

Da quella drammatica data del 3 ottobre 2013 sono morte migliaia di persone tentando la stessa traversata. Già appena otto giorni dopo, l’11 ottobre dello stesso anno, ne morirono altri 268 per un rimpallo di responsabilità tra Italia e Malta mentre alla nave “Libra” della Marina Militare italiana veniva ordinato di allontanarsi dal barcone in pericolo che poco dopo si inabissò portando con se anche altri 60 bambini. Per anni le politiche europee furono un’alternanza di ipocrisia sui soccorsi e poi di meno ipocrita durezza contro i migranti e chi li voleva soccorrere. Infine si giunse alla criminalizzazione dei soccorritori civili e perfino ad imbrigliare i soccorritori di Stato, relegati entro le 12 miglia da Lampedusa qualunque cosa accada in acque internazionali. Migliaia di vittime, circa 200 delle quali in una sola settimana, quella che precedeva la giornata nazionale della memoria in cui perfino chi sta in maggioranza e quindi al Governo italiano che impedisce i soccorsi in mare ha speso mielosi tweet e post vari sul diritto alla vita e sul dolore per quelle morti.

La cerimonia notturna a riflettori spenti tra soccorritori e superstiti

Nel frattempo però, col trascorrere degli anni, tutte le politiche di repressione – o come dice l’attuale premier italiano, di “contenimento” – delle partenze sono state adottate senza mai prendere in considerazione le vie legali per le migrazioni controllate di tutti oltre che in particolare dei profughi. Anzi, è stata coniata la definizione “migrante economico” per stabilire che la fame e la ricerca di una vita dignitosa, di un lavoro, di libertà di pensiero ed espressione – tutti diritti sanciti dalla Costituzione italiana per lo straniero da accogliere – venissero cancellati dall’elenco di ragioni valide per cui migrare. Mai un “civile” Stato europeo ha proposto uffici consolari o ambasciate in Paesi partner in cui poter far chiedere il visto a quelle persone che poi finiscono nelle mani dei trafficanti libici quale conseguenza del più immorale tra le forme di proibizionismo: il divieto di libertà di movimento imposto all’essere umano.

Tutte le migliaia di vite annegate nell’indifferenza dei grassi popoli europei e nella becera propaganda di molti governanti degli Stati membri sono causa implicita del diniego di visto per vie legali. Un gioco meschino che alimenta quella inqualificabile propaganda che ripete e fa ripetere ad ignoranti seguaci la fatidica domanda: “Perché non vengono in aereo con i documenti?”. Perché nessuno gli concede il visto per poter acquistare un biglietto aereo ed anzi gli si preclude anche alla possibilità di farne richiesta. E questo potrebbe – si usa il condizionale perché lo sforzo sarebbe notevole – anche un terrapiattista qualunque disposto a chiedersi perché nel Paese “amico” in guerra l’Italia ha una nave Militare nel porto della capitale con cui coordinare quei cosiddetti “respingimenti su procura” invece che un ufficio in cui far prendere in esame le richieste di visto o di protezione internazionale.

Il “Comitato 3 ottobre” continua a tenere accesa un fioca luce sul giorno della strage, coinvolgendo anche studenti – nella speranza che le nuove generazioni siano più bieche di quelle che oggi bramano affondamenti di barconi e naufragi – e media nazionali in quei momenti di commemorazione cui partecipano anche alcuni dei sopravvissuti alla strage di Lampedusa, sulla stessa isola. Ma nel silenzio mediatico, in quello stesso scomodo orario in cui la drammatica notte del 2013 si consumò la strage, un gruppo di soccorritori eliminati dalle cronache già l’indomani del naufragio e alcune tra le persone che da essi furono strappate alla morte quella notte si sono incontrati per il secondo anno consecutivo la dove le vittime hanno un nome. Una cerimonia laica, silenziosa al punto da poter sentire ogni singolo singhiozzare di dolore. Avvolti da un silenzio in cui perfino le lacrime sembrano produrre un boato toccando terra, vengono accese delle candele per ogni vita spezzata la notte del 3 ottobre 2013. Una installazione in metallo che si avvita verso il mare portando con se tutta le vittime del naufragio ne reca scolpite su tutti i nomi. I nomi di 366 su 368 vittime – le ultime due non sono mai state identificate – che è così possibile leggere. Una lettura, resa a tratti difficile per quei nomi a noi poco familiari, che proprio per il tempo che ci impone di adoperare rende quelle nuovamente delle persone con una vita ed una storia personale finite quella notte invece che solo un ragioneristico calcolo numerico di “migranti morti”.

Oggi è il 4 ottobre 2020, e già si ricomincia a parlare di “invasione” e di “difesa dei confini”. Magari anche di mafia che non ci difende più come un tempo, come un esponente di uno tra i più grandi partiti xenofobi italiani ha dichiarato da un altrettanto noto palco ieri, 3 ottobre 2020, otto anni dopo la strage di Lampedusa.

Mauro Seminara: Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.
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