di Mauro Seminara
Ha fatto molto discutere il cosiddetto “piano Lamorgese”, condiviso con il suo omologo francese, per fermare il flusso migratorio irregolare dalla Tunisia verso l’Italia. Da una parte c’è chi ha subito messo il cappello sulla strategia di impiegare aerei e navi italiane e francesi, “brigate miste italiane e francesi per il controllo dei confini”, definendolo come il “blocco navale” da tempo propagandato ed adesso proposto senza riconoscimento di royalty a Fratelli d’Italia. Dall’altra chi ha riconosciuto che non servirebbe a nulla se questo non fosse effettivamente un blocco navale e che se così fosse sarebbe quantomeno non autorizzabile. Di fatto, se al Viminale qualcuno si fosse documentato su quanto accade al largo delle coste tunisine saprebbe che la Guardia Costiera della Tunisia non è assente ma inerme e che il dispiegamento di forze aeronavali italo-francesi a nulla servirebbe se non con consegne di vero blocco navale che mai potrebbero finire su documenti ufficiali. Le barche degli harraga tunisini spesso vengono seguite, o inseguite, da motovedette tunisine che gli intimano l’alt. Ma più di questo non possono fare, perché chi sta sulla barca migrante non si ferma e l’autorità marittima non ha alcun titolo per fermarli. A meno che la Guardia Costiera tunisina non si comporti come la sedicente guardia costiera libica, facendo abuso delle armi – spesso non al solo scopo intimidatorio – o rischiando di far affondare le barche con manovre pericolose o speronamenti.
La questione tunisina arriva comunque sull’onda emotiva dell’attentato terrorista di Nizza, con il caso del 21enne tunisino sbarcato a Lampedusa, isolato su nave quarantena fino allo sbarco a Bari, poi transitato in quel di Palermo ed infine riapparso nella città francese in cui ha ucciso tre persone. Un piano, quello condiviso con la Francia, che sarebbe un accordo bilaterale tra due Paesi dell’Unione europea su un’operazione che andrebbe ad insistere sull’attività già svolta dall’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne (Frontex) con le sole ricognizioni aeree perché la missione navale era stata ritirata a causa del cosiddetto “pull factor”. Cioè il fattore di attrazione che si riteneva fosse costituito anche dalle navi di Frontex inevitabilmente chiamate al soccorso marittimo a fronte di intercettazione di natanti sovraffollati di persone prive di ogni requisito minimo di sicurezza per la navigazione, quindi da soccorrere.
Nel caso un programma così paventato, con aerei che intercettano le barche dei migranti – cosa che già avviene con Frontex – e navi italiane e francesi che impediscono loro il procedere della navigazione fino all’arrivo dell’autorità marittima tunisina che le “recupera” riconducendole sulla costa di partenza, si verrebbe a costituire un pericoloso precedente con un vero e proprio blocco navale arbitrario replicabile poi anche sul fronte libico, dove il “contenimento” della fuga di profughi si limita ancora all’avvistamento ed alla segnalazione dell’imbarcazione alla sedicente guardia costiera libica che provvede al recupero forzato. Questo progetto annunciato dal Viminale dopo l’incontro tra il ministro italiano Luciana Lamorgese ed il collega francese Gerald Darmanin, come dicevamo sulla spinta emotiva del pericolo terrorismo proveniente dalla Tunisia, apre il dibattito politico in un momento in cui la stagione utile ai viaggi in mare sta per finire con il sopraggiungere dell’inverno ed il flusso migratorio primario è tornato ad essere quello di provenienza libica.
Nei giorni scorsi vi abbiamo dato notizia dell’ondata di barche migranti che ha raggiunto Lampedusa e del fatto che la maggioranza delle persone che hanno aumentato sensibilmente i dati censiti dal Viminale presso il centro di prima accoglienza dell’isola sia partita dalla Libia. Le barche tunisine, pur risalendo al pomeriggio odierno l’ultimo arrivo a Lampedusa con 28 harraga tunisini entrati in porto sotto scorta della Guardia di Finanza che li ha intercettati in acque territoriali, non salpano con condizioni meteo avverse o anche solo precarie. Quella partite dalla Libia dimostrano invece che nel sodalizio italo-libico qualcosa deve essersi inceppato e l’evidenza sta nell’arrivo di barche, in numero sempre più elevato e sempre più cariche. Come il peschereccio tunisino partito dalla costa ovest della Libia, Zuwara, su cui hanno navigato attraverso il Mediterraneo centrale 156 persone (vedi foto in basso) fino al porto di Lampedusa e i gommoni stracarichi come quello che ha saltato la maggiore delle Pelagie per approdare sulla minore Linosa che dista ulteriori 30 miglia in direzione nord. Il quesito, a questo punto, è se l’intenzione è quella di prevenire nuovi attacchi terroristici alla Francia oppure soltanto nuovi sbarchi di migranti sulle coste europee.
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