di Mauro Seminara
La Libia, per comodità politica è considerata un unico Stato con qualche scaramuccia al suo interno. Questa è indubbiamente la prima grave menzogna, così rilanciata e reti unificate, che pare dover nascondere o ridimensionare le gravissime violazioni dei diritti umani cui partecipa attivamente l’Italia. La Libia è un insieme di fazioni considerate parti di un unico Stato per mero opportunismo. I 18 pescatori di Mazara del Vallo erano stati catturati e tenuti prigionieri dalla Cirenaica. Non dalla regione nordest della Libia ma dall’autoproclamato Stato con proprio governo – a Tobruk – e proprio leader: il generale Khalifa Haftar. La Cirenaica, la cui capitale è Bengasi anche se a Tobruk è stato “ambientato” il presunto potere politico, domina la costa est della Libia da Misurata fino al confine con l’Egitto. Quando in Italia si parla di “guardia costiera libica” si omette quindi che questa sedicente forza marittima civile è armata – eccezione per una vera Guardia Costiera che si rispetti – ed è soltanto della Tripolitania, la regione nordovest in cui si trova la capitale riconosciuta dalle Nazioni Unite ma non da gran parte della Libia.
Bengasi è il luogo in cui sono stati segregati i pescatori di Mazara del Vallo sequestrati mentre si trovavano in acque internazionali a bordo dei pescherecci “Antartide” e “Medinea”. Altra menzogna riguarda il trattamento che è stato riservato loro dai carcerieri. Forse per i libici non picchiarli significa trattare bene dei prigionieri, ma per buona parte del mondo non è così. Psicologicamente, e non solo, pare che i 18 uomini – non tutti di nazionalità italiana – abbiano subito torture. Trascorrere giornate intere al buio ed ascoltare le urla di altri prigionieri torturati o percossi – come si apprende dalle prime dichiarazioni rese da alcune delle vittime a varie testate giornalistiche – non è sicuramente il trattamento che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio lasciava intendere. La storia del sequestro dei pescatori, rilasciati dopo 108 giorni e solo con un prezzo altissimo pagato dall’Italia di cui si conosce soltanto una parte, cioè che a Bengasi si sono recati capo del Governo e ministro degli Esteri italiani dopo 108 giorni di trattative dell’AISE, i servizi segreti italiani per gli affari esteri. Già solo la presenza del premier Conte con il ministro Di Maio al cospetto di un governo non ufficiale per la scarcerazione di persone indebitamente trattenute è un prezzo altissimo che si ripercuoterà inevitabilmente sui rapporti politici internazionali e sul peso sempre più ridimensionato dell’Italia nel Mediterraneo.
La prigionia dei pescatori rileva inoltre la totale infondatezza della gigantesca bugia con cui si vuol vendere alle coscienze europee ciò che l’Italia, con la benedizione europea, continua a fare in Libia finanziando ed assistendo i famosi respingimenti per procura affidati ufficialmente ai libici. I due pescherecci italiani hanno lasciato Bengasi sotto scorta della Marina Militare italiana. L’ammiraglio De Giorgi, già capo di Stato maggiore della Marina Militare, in servizio al tempo dell’operazione Mare Nostrum, in un recente intervento pubblico ha parlato del dovere di schierare le navi militari a difesa dei pescatori, rilevando al contempo e già da settimane – anche nel corso di un noto programma televisivo – che la missione “Mare sicuro” è ridotta ad un depotenziamento tale da rendere quello a nord della Libia un mare insicuro. Di fatto, quando il primo di settembre sono stati fermati e condotti a terra i due pescherecci italiani con i 18 membri di equipaggio, nessuna nave della Marina Militare era in area e nessun intervento ha impedito il sequestro con successivi 108 interminabili giorni di segregazione.
La propaganda di chi poco conosce la lingua italiana però continua a tacciare di “buonismo” chiunque si schieri a difesa del diritto internazionale in riferimento ai migranti respinti in Libia dalle motovedette donate dall’Italia, riparate dall’Italia, assistite dall’Italia ed infine indirizzate sugli obiettivi – probabili richiedenti asilo, profughi – dai velivoli della cosiddetta “agenzia europea” Frontex. Un Paese è luogo sicuro oppure non lo è. Non può essere luogo sicuro di sbarco quando si tratta di respingere esseri umani senza passaporto o permesso di soggiorno italiano per poi non esserlo quando c’é da tirar fuori dei prigionieri con passaporto o permesso di soggiorno italiani. Ci si deve quindi chiedere se non fosse stato per gli 8 pescatori italiani come sarebbero stati abbandonati i 6 tunisini, 2 senegalesi e 2 indonesiani che lavorano a bordo dei pescherecci Antartide e Medinea. In fondo, non sono italiani. Quindi li si poteva anche abbandonare a torture sine die.