di Mauro Seminara
Dopo il secondo soccorso operato nel Mediterraneo centrale, il ponte della nave Open Arms è sovraffollato da 265 persone che affrontano insieme ai loro salvatori un mare che non promette nulla di buono. La notte la temperatura scende a poco più di dieci gradi, con la percentuale di umidità immaginabile in mare aperto, ma ad aggravare la situazione sono proprio gli spruzzi e la nebulizzazione delle onde del mare. Il ponte del rimorchiatore da soccorso marittimo Open Arms non è né alto né ampio come quello di una nave Diciotti o Dattilo della Guardia Costiera – giusto per fare un esempio – e per proteggere le persone dall’acqua che bagna i loro indumenti con la temperatura invernali a gelarli l’unico tentativo è di far stringere tutti e 265 naufraghi al centro dell’opera morta, lontano da bordo nave.
Tra le persone salvate a ridosso di capodanno dalla Ong catalana che opera in partnership con Emergency ci sono anche naufraghi particolarmente vulnerabili. Ad esempio, sul ponte della Open Arms ci sono sei bambini – piccoli – ed una donna al nono mese di gravidanza. La loro vita è stata messa in salvo dal team rescue non governativo, ma adesso viene esposta al calvario di una insensata attesa di un porto sicuro in cui ricevere adeguate cure e la possibilità di chiedere asilo. In particolare, i 169 naufraghi soccorsi l’ultimo dell’anno sono prevalentemente eritrei ed è loro insindacabile diritto chiedere protezione internazionale in uno Stato che ha aderito alla Convenzione di Ginevra. Ma anche tra i migranti di nazionalità d’origine diverse è possibile che ci siano persone perseguite ed alle quali va concessa protezione.
La questione del place of safety (luogo sicuro di sbarco), il cosiddetto “porto sicuro”, è affare che l’Unione europea non intende in alcun modo risolvere. L’Europa della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che vanta anche una propria Corte internazionale (CEDU), non intende intervenire sul continuo braccio di ferro tra Italia e Malta per l’immediata assegnazione di un place of safety e lascia che l’isola-Stato responsabile dell’area SAR (ricerca e soccorso) nella quale avvengono i soccorsi si rifiuti di assegnare un porto sicuro e che l’Italia giochi a braccio di ferro per giorni prima di farlo ovviando al rifiuto di assumersi la propria responsabilità da parte di La Valletta. Nessuna novità neanche oggi, con 265 naufraghi in pieno inverno sul ponte scoperto di un rimorchiatore e la sala operativa di Malta che nega il porto con una burrasca in arrivo.
La Open Arms ha a bordo 169 persone da quattro giorni ed altre 96 da due giorni. Il mare ha oltre un metro e mezzo d’onda la dove si trova la nave, e da ovest arriva una tempesta già costituita a nord delle Pelagie, dove le onde superano già i due metri. L’unico riparo è la dove la piccola nave umanitaria si sta dirigendo: ad est della Sicilia. La speranza è infatti di andare al riparo al largo di Siracusa, sulla costa sudest della Sicilia, ma nel frattempo nessuna risposta è giunta a bordo della Open Arms circa la possibilità che l’Italia le conceda il porto per lo sbarco dei naufraghi. Il rimorchiatore si trova ad ovest di Malta e arriverà al largo di Augusta o Siracusa domani, ma per farlo dovrà attraversare la burrasca che si sta già insinuando nel Canale di Sicilia anche tra Malta e la Sicilia. Una navigazione brusca all’orizzonte, con persone all’aperto e temperature rigide. Tipica situazione da “diritti umani” di una Unione europea civile e pronta a soccorrere chi ha bisogno, come è ormai da anni massimo rappresentante l’Italia, sempre in bilico tra il respingimento e l’omissione di soccorso.
Aggiornamento:
Nel tardo pomeriggio del 3 gennaio 2020 è stato assegnato il place of safety dall’Italia alla Open Arms che si recherà a Porto Empedocle per un trasbordo dei naufraghi sulla nave quarantena Rhapsody. L’arrivo in rada è previsto per domattina, lunedì 4 gennai 2020.
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