di Mauro Seminara
In piena emergenza sanitaria, che porta la conseguenza di una grave emergenza economica, con attività commerciali chiuse e imprenditori falliti o prossimi al fallimento, gli italiani si ritrovano ostaggio di una crisi di Governo che va in scena a reti unificate ma senza averne compreso le motivazioni malgrado le ore di discussione che occupano giornali e telegiornali. Il solito gioco autoreferenziale in cui si usano gli strumenti di informazione, che dovrebbero servire agli italiani per comprendere i fatti, al solo scopo di testare il consenso delle singole forze politiche a suon di slogan pronunciati dai protagonisti. A scanso di equivoci, il Governo guidato da Giuseppe Conte non è stato sfiduciato da nessuna forza politica. La crisi di Governo riguarda il solo Consiglio dei ministri che, alla luce delle improvvise ed improvvide dimissioni dei ministri di Italia Viva – del Partito Democratico al tempo delle elezioni e fino alla formazione del Governo M5S-PD – che vede l’esecutivo Conte bis costretto a nominare nuovi ministri e, quindi, prima di farlo, passare alla verifica della maggioranza parlamentare. Una verifica di maggioranza quindi, non una sfiducia mossa formalmente da un partito che gli italiani hanno eletto nel 2018 quale rappresentanza politica in Parlamento.
In questo contesto, fatta eccezione per i responsabilissimi plotoni guidati da Giorgia Meloni e Matteo Salvini che vorrebbero oltre 40 milioni di italiani alle urne in piena pandemia, forse perché non sanno cosa altro urlare (ai loro seguaci che non potrebbero capire frasi troppo lunghe), c’è un giocatore d’azzardo che pare sappia solo contare voti in Parlamento e calcolare quale ricatto poter attuare con il risultante computo. Si chiama Matteo, ma Renzi. La sostanziale differenza con l’altro Matteo, il Salvini, è che almeno il toscano sa contare i voti e renderli produttivi. L’altro, il lombardo, non è capace neanche di questo. Non è un caso infatti che l’altro Matteo, il lombardo, sia il protagonista indiscusso dell’estate del Papeete, quando voleva far cadere il Governo ed è caduto soltanto lui, perdendo così la possibilità di influire nelle scelte di quel Governo di cui era vicepremier, per il bene degli italiani.
Per il bene degli italiani agiva anche il toscano che, nel grave conflitto in seno al Consiglio dei ministri cui non partecipa, contestava il piano di investimenti programmato dai vertici delle forze di maggioranza per il fiume di miliardi di conto europeo per il rilancio delle economie nazionali. Ogni volta che un politico, un leader di partito o un esponente di Governo ha chiuso una frase d’effetto con “…per il bene degli italiani”, cento italiani pensano al suicidio per le condizioni in cui sono ormai costretti a vivere. Se ogni volta che abbiamo sentito questa frase fosse stata pronunciata con sincerità, oggi l’Italia dovrebbe essere una via di mezzo tra la Svizzera ed il Giappone per civiltà ed efficienza. Ma l’Italia è e rimane l’Italia, anche o soprattutto perché gli italiani continuano a dare fiducia a persone come i due Matteo, la missina, il cavaliere del burlesque, o’ bibitaro, i PDmanontroppo e compagnia cantante. Tutti responsabili politici, potenziali statisti, che tutto ciò che fanno lo fanno solo ed unicamente “per il bene degli italiani”.
I risultati delle iniziative per il bene degli italiani si vedono prima di tutto tra scuola e sanità pubblica. La prima a pezzi, ridotta a strutture scolastiche prossime a fatiscenza da terzo mondo, affibbiate a enti locali senza fondi e con livelli di istruzione risultante al termine del percorso scolastico buono per il superamento dell’analfabetismo ma non dell’analfabetismo funzionale. Non si spiegherebbe altrimenti come Meloni e Salvini riescono a raccogliere voti. La seconda, la sanità pubblica, è quella che non ha saputo far fronte alla pandemia per deficienze strutturali dovute ad una lunghissima politica di privatizzazione che l’aveva massacrata, ed ha arruolato neolaureati specializzandoli sulla linea del fronte. Come dire: va a curare i malati di Covid, se rimani vivo avrai l’abilitazione ma non il lavoro e se muori per il virus SARS-CoV-2 non la considereremo neanche morte per causa di servizio ma semplice decesso per malattia. In questo scenario che investe direttamente il diritto allo studio – studio vero, non mero obbligo di frequenza – e quello alla salute, disattendendo i cardini costituzionali, la maggioranza che esprime il Governo del Paese vuole investire decine di miliardi di euro, di debito per le future generazioni, in digitalizzazione del Paese. Conversione sacrosanta, per la quale siamo in ritardo disarmante rispetto ad altri Paesi evoluti del mondo, ma che andava fatta progressivamente ed in modo strutturale. Oggi serve far ripartire subito tutto il tessuto sociale delle microimprese stroncate dalla pandemia. E tutto sommato era anche ragionevole la renziana obiezione sul piano di investimenti partorito da Palazzo Chigi senza passare parola alle forze parlamentari, ma la crisi di Governo in piena pandemia è cosa che eccede l’umano raziocinio.
Che la mossa scaltra è tornata al mittente come il boomerang del “se perdo il referendum sulla riforma della Costituzione mi dimetto” non lo ha capito subito il Matteo toscano. A farglielo capire sono stati i suoi cosiddetti “renziani”, già pronti a non esserlo più vista l’immane idiozia del piano di sovversione degli equilibri di potere nel Consiglio dei ministri. Per il bene degli italiani, per inciso, Matteo Renzi ha aperto una crisi, urlando “all in!” senza avere carte in mano, causando due possibili conseguenze; una peggiore dell’altra: una maggioranza di Governo di destra con Salvini e Meloni al Governo e magari il busto bronzeo del Duce a Palazzo Chigi, oppure un Governo tecnico senza una vera maggioranza parlamentare per elezioni “anticipate” a fine pandemia mentre i soliti agitatori di italiani non culturalmente formati urlano all’usurpatore che governa senza elezione popolare. Ma, è chiaro, tutti stanno lavorando responsabilmente per il bene degli italiani. Chissà cosa sarebbe accaduto, o non accaduto, se non fossero apparsi all’orizzonte duecento miliardi di euro da spendere…per il bene degli italiani, certo!
Attenzione: spoiler sulla puntata in diretta dal Senato della Repubblica della fiction sulla crisi di Governo, si invitano i lettori che non vogliono rovinata la sorpresa di saltare le prossime righe.
La maggioranza Conte la troverà anche in Senato, dove più ha peso la corrente renziana. Fatta eccezione per i colonnelli dei partiti guidati da certi “responsabili” leader, nessuno chiuderebbe anzitempo la legislatura ultima prima della riduzione di due terzi di Camera e Senato; nessuno si accollerebbe la crisi di un Paese senza Governo politico in piena pandemia; nessuno lascerebbe il Paese allo sbaraglio e nessuno che abbia un minimo di senno lo affiderebbe alla attuale destra italiana. Quindi è molto meglio un irreprensibile cambio di casacche da “Ciaone” a Renzi, per salvare il salvabile, piuttosto che il baratro su cui il pokerista – per il bene degli italiani – aveva spinto il Paese. L’unica incertezza sta adesso sul come i prestigiosi direttori di testate nazionali – oggi il Tg1 ospitava ed ascoltava con grande interesse tale Senaldi come fosse qualcuno da ascoltare – chiameranno il Governo Conte che ne verrà fuori. Ma per questo basta dare sfogo alla fantasia.