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    Categories: Editoriali

Prima guerra del Golfo: una svolta nella storia

di Domenico Gallo

In una notte senza luna si sono levati in volo gli elicotteri ed hanno accecato i radar della difesa antiaerea con missili intelligenti, subito dopo si sono levati in volo i bombardieri e si è scatenato l’inferno. E’ iniziato così il primo massacro bellico organizzato dopo la caduta del muro di Berlino.

Se ci voltiamo indietro e ripensiamo alla seconda metà del novecento è all’inizio della guerra del Golfo (16 gennaio 1991) che bisogna far risalire la svolta nella storia che ci ha portato alle asperità e ai drammi del tempo presente. Per comprenderne il significato profondo di svolta nelle relazioni internazionali bisogna recuperare il clima che si era determinato con la fine della guerra fredda.

Il crollo del muro di Berlino fu lo sbocco di un processo di distensione dovuto allo straordinario processo di rinnovamento delle relazioni internazionali introdotto dalla perestroika, quando l’Unione Sovietica guidata da Gorbaciov depose le armi del confronto militare facendo franare la reciprocità violenta dell’equilibrio del terrore e restituendo la libertà di autodeterminazione ai popoli che teneva assoggettati al suo controllo. Il crollo del muro fu vissuto in tutto il mondo come l’epifenomeno che annunciava la fine di un’era, quella della guerra fredda che aveva ingessato l’ordine pubblico mondiale. In quell’epoca furono stipulati accordi sul disarmo impensabili fino a qualche anno prima, furono delegittimate le alleanze militari contrapposte, fino al punto che si arrivò allo scioglimento del Patto di Varsavia. Si svuotavano gli arsenali, si riducevano in tutto il mondo le spese militari ed i popoli confidavano di ricevere i dividendi della pace ristabilita.

In questa breve stagione l’ONU, finalmente scongelata, cominciò a svolgere efficacemente il ruolo per il quale era stata istituita e riuscì a risolvere alcune delle più incancrenite situazioni di conflitto, come quelle della Namibia, della Cambogia, del Salvador ed il suo Segretario Generale, Boutros Ghali, a concepire una ambiziosa Agenda per la Pace. In altre parole si respirava un clima di euforia che vedeva l’umanità finalmente sottratta al ricatto della violenza bellica ed incamminata lungo quel binario, prefigurato dalla Carta dell’ONU, che portava alla pace attraverso il diritto.

Questo scenario è stato brutalmente strappato dagli architetti dell’ordine mondiale che hanno imposto una svolta nella storia. Nei circoli occidentali la fine della guerra fredda è stata interpretata come una vittoria ed il ritiro dell’Unione sovietica dalla competizione militare come frutto di una sconfitta determinata dalla forza delle armi dell’Occidente. La lezione che gli architetti dell’ordine mondiale trassero dagli eventi del 1989 fu che dal mondo bipolare si potesse passare all’avvento di un mondo monopolare in cui una unica superpotenza avrebbe garantito la pace e l’ordine pubblico internazionale.

L’occasione per imporre un cambiamento di rotta nelle relazioni internazionali fu offerta dal gioco d’azzardo di una potenza regionale in crisi, l’Iraq di Saddam Hussein che il 2 agosto del 1990 con un blitz occupò il Kuwait e si impadronì dei suoi pozzi di petrolio. Quello stesso giorno il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la risoluzione 660, condannò l’invasione del Kuwait, esigendo il ritiro immediato ed incondizionato dell’esercito iracheno. Il 6 agosto il Consiglio di Sicurezza con la risoluzione 661 impose un durissimo embargo all’Iraq e con la risoluzione 665 del 25 agosto, autorizzò l’uso di forze navali nel Golfo persico per monitorare il rispetto dell’embargo. Per gli Stati Uniti, fu l’occasione storica per preconizzare l’avvento di quello che George Bush definì “un nuovo ordine internazionale” che avrebbe contrassegnato il secolo americano.

Gli Stati Uniti radunarono nel Golfo una sorta di “invincibile armata” e ostacolarono ogni mediazione che potesse portare al ritiro pacifico dell’esercito iracheno dal Kuwait. Tuttavia nel 1990 l’opinione pubblica mondiale ancora non riusciva a concepire il ricorso alla violenza bellica come uno strumento ordinario della politica. Per questo occorreva rivestirla di un manto di legalità. Il Consiglio di Sicurezza sciaguratamente si prestò a fornire questo mantello. Con la risoluzione 678 del 29 novembre ambiguamente autorizzò la coalizione americana a scatenare la guerra.

Insomma gli Stati Uniti utilizzarono l’ONU come un negozio di abbigliamento giuridico e la loro iniziativa militare come una sanguinosa campagna di marketing della guerra. Una volta rotto il tabù, non ci fu più bisogno di indossare le penne dell’ONU. Con l’aggressione della NATO alla ex Jugoslavia nel 1999 il novecento si è chiuso com’era iniziato, con il ricorso alla guerra libero da ogni infingimento legale.

Domenico Gallo: Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 è in servizio presso la Corte di Cassazione, attualmente ricopre le funzioni di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019)
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