di Fulvio Vassallo Paleologo
Malgrado la esternalizzazione dei controlli di frontiera con coinvolgimento di paesi terzi che non rispettano i diritti fondamentali delle persone, la mobilità umana non si arresta. Nonostante la chiusura di alcune frontiere terrestri, gli arrivi di migranti in Europa continuano, anche se i numeri complessivi rimangono molto più bassi di quelli segnati negli anni delle grandi crisi, come nel 2011 dopo cosiddette primavere arabe ed il 2014 dopo l’esplosione del conflitto in Siria. Dopo un anno di crisi pandemica si prospetta adesso una inversione di tendenza ed una forte ripresa delle partenze dai paesi nordafricani. L’incremento delle partenze dalla Libia e dalla Tunisia, all’inizio del 2021 ne costituisce la prima conferma. E purtroppo continuano a sommarsi le vite spezzate sulle rotte del Mediterraneo.
Sempre più spesso i diritti riconosciuti dalle convenzioni internazionali sono stati diritti negati, e sono mancati strumenti di tutela giurisdizionale o stra-giudiziaria. Per restituire effettività ai diritti umani occorre restituire rilevanza ai doveri di solidarietà, che devono essere imposti tanto ai singoli quanto alle autorità statali per il pieno riconoscimento dei diritti della persona. Soltanto con la individuazione di corrispondenti doveri si potranno sanzionare i casi di violazione dei diritti fondamentali della persona e quindi applicare misure di natura penale, amministrativa, civilistica, volte a impedire che le stesse violazioni possano continuare a verificarsi nel tempo. Il fine preteso di difesa dei confini non può prevalere sulla vita, sulla salute e sulla dignità delle persone.
Il principio di solidarietà, affermato dall’articolo 2 della Costituzione italiana, da leggersi in stretto riferimento con il principio di uguaglianza formale e sostanziale, sancito dall’articolo 3 della stessa Costituzione, sembra oggi superato da un sistema economico basato sulla appropriazione dei beni a scapito dei soggetti più deboli e da un dilagante egoismo sociale che con la recente pandemia si è ulteriormente diffuso. La solidarietà, come cardine dell’organizzazione sociale, già in crisi a livello europeo, perché gli Stati non sono neppure riusciti a concordare politiche migratorie comuni, come si è verificato nel caso del fallimento della riforma del Regolamento Dublino III, sembra oggi arretrare anche di fronte alle molteplici sfide poste dalla pandemia. Questo degrado sociale si verifica anche a livello nazionale laddove le potestà concorrenti del Governo centrale e delle Regioni non hanno permesso affrontare con la necessaria sinergia le politiche sociali per favorire l’inclusione e da ultimo la crisi pandemica.
Negli ultimi anni si è arrivati persino a strumentalizzare principio di solidarietà criminalizzando le attività di soccorso in mare e l’organizzazione dei servizi di accoglienza a terra. Malgrado i processi intentati contro gli operatori umanitari non abbiano portato a condanne, mentre nel frattempo procedevano a rilento i processi contro gli speculatori dell’accoglienza e contro gli esponenti politici che avevano sbarrato l’ingresso nei porti italiani con provvedimenti di dubbia legittimità, sembra diventato senso comune un giudizio generalmente negativo nei confronti di tutte le pratiche di solidarietà in mare e di buona accoglienza a terra. L’attacco al principio di solidarietà applicato in materia di immigrazione e asilo sì è ormai esteso ed assume i contorni di un attacco complessivo contro tutti i portatori di differenze, contro tutti i soggetti più deboli, con un aggravamento dei casi di discriminazione se non di vero e proprio odio tra le diverse componenti del corpo sociale.
Per queste ragioni si tratta adesso di tornare a ripensare le diverse forme di mobilità umana, ai confini italiani soprattutto delle frontiere del Mediterraneo per individuare la ricorrenza di precisi doveri di solidarietà e quindi rappresentare una realtà che è ancora molto fluida, se non apertamente conflittuale, per lo scarto tra le prassi applicate, le decisioni politiche ed i principi di tutela sanciti nelle Convenzioni internazionali e nelle leggi interne.
La diffusione della pandemia da Covid-19 impone anche di valutare i diversi rapporti che si costituiscono nel tempo tra Unione Europea, singoli Stati membri, Stati terzi e l’Italia. Al di fuori di un ambito meramente descrittivo occorre segnalare casi sempre più frequenti di violazione dei diritti fondamentali, all’interno del territorio nazionale e tracciare linee progettuali per contrastare queste violazioni con la maggiore efficacia, anche al di fuori delle sedi giurisdizionali, fino a quando non si riesca a fare emergere il completo svolgersi dei fatti, le autorità coinvolte, ed individuare le relative responsabilità personali ed istituzionali.
In questa direzione, i nuovi mezzi di comunicazione che si stanno affermando con forza sempre maggiore potranno contribuire ad intaccare una percezione collettiva che sembra insensibile alla vita o alla morte delle persone, quale che sia, l’età, la loro provenienza o nazionalità, e che rischia di produrre una grave frammentazione del corpo sociale ed un livello sempre più elevato di conflittualità.
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