di Domenico Gallo
Il discorso con il quale Draghi ha chiesto la fiducia delle Camere al suo Governo è stato necessariamente sobrio, non dettagliato, mirato a sminare le contraddizioni politiche della sua maggioranza piuttosto che a indicare delle scelte concrete. Per capire la direzione di marcia che Draghi intende dare al Governo che presiede, bisogna guardare a ciò che è stato detto, ma anche a ciò che è stato taciuto. Il punto di partenza è stato il richiamo allo spirito repubblicano, cioè alla necessità di avviare la ricostruzione per uscire dal disastro provocato dalla pandemia attraverso la collaborazione delle principali forze politiche, anche se ideologicamente distanti, com’è avvenne in Italia nell’immediato dopoguerra. Ovviamente è questo il pactum foederis senza il quale non sarebbe stata nemmeno concepibile la nascita di questo Governo dopo che Italia viva, cacciando Conte, ha distrutto la possibilità di un Governo sostenuto da un blocco politico di centrosinistra. Il problema è quale strategia si vuole impostare per superare i gravissimi disagi sociali e avviare la ricostruzione.
Un punto positivo del discorso è la sensibilità dimostrata al tema della povertà e delle disuguaglianze. Draghi ha citato il rapporto della Caritas che denuncia un allarmante incremento della povertà nell’ultimo anno, cita il calo dell’occupazione ed osserva che, in assenza di interventi pubblici,il coefficiente di disuguaglianza nella distribuzione del reddito “sarebbe aumentato nel primo semestre del 2020 di quattro punti percentuali rispetto al 34 per cento del 2019” Rileva quindi che:“L’aumento della diseguaglianza è stato tuttavia attenuato dalle reti di protezione presenti nel nostro sistema di sicurezza sociale, in particolare dai provvedimenti che dall’inizio della pandemia li hanno rafforzati.”
Sebbene non citati con il loro nome, i provvedimenti di contrasto alla povertà (come il reddito di cittadinanza) e le misure di sostegno al reddito adottati dal precedente governo vengono riconosciuti e rilegittimati, malgrado l’insofferenza della destra e di Confindustria.
Per quanto riguarda il cuore della missione di questo Governo, la strategia di ricostruzione, Draghi mostra di capire che, quando la pandemia sarà passata non sarà possibile che tutto ritorni come prima e che occorre un profondo cambiamento del nostro modello produttivo. “Quando usciremo dalla pandemia – si chiede Draghi – che mondo troveremo? Alcuni pensano che la tragedia nella quale abbiamo vissuto per più di dodici mesi sia stata simile a una lunga interruzione di corrente: prima o poi la luce ritorna e tutto ricomincia come prima. La scienza ma semplicemente il buon senso suggeriscono che potrebbe non essere così. Il riscaldamento del Pianeta ha effetti diretti sulle nostre vite e sulla nostra salute: dall’inquinamento alla fragilità idrogeologica, all’innalzamento del livello dei mari che potrebbe rendere ampie zone di alcune città litoranee non più abitabili. (..) Uscire dalla pandemia non sarà come riaccendere la luce (..)Vogliamo lasciare un buon Pianeta, non solo una buona moneta.”
In questo contesto di trasformazione produttiva, che necessariamente penalizzerà alcuni settori produttivi, è importante che Draghi abbia indicato che “il Governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori”, tuttavia sulla transizione ecologicanon è stato indicato alcun progetto portante, né indicate misure concrete. Se la direzione astrattamente è quella giusta (e del resto corrisponde agli obiettivi indicati dall’Unione Europea), la capacità di percorrerla è tutta da dimostrare, in ogni caso spicca l’assenzadi progetti forti, come, per esempio, quello dell’idrogeno verde su cui Francia e Germania stanno puntando.
Nel discorso di Draghi sono pochi i riferimenti al Sud, non si parla di coesione sociale o territoriale, è assente l’obiettivo strategico di rilanciare il Mezzogiorno come secondo motore dell’economia italiana. Tuttavia và segnalato il silenzio mantenuto sul progetto divisivo dell’autonomia differenziata: malgrado la nomina della Gelmini, questo progetto potrebbe essere stato accantonato, anche perché incompatibile col Recovery plan.
Anche nel passaggio sul tema politicamente delicato dell’immigrazione, il discorso di Draghi è più significativo per quello che non dice che per quello che dice: “Altra sfida sarà il negoziato sul nuovo patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell’equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva. Cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati.” C’è un richiamo scontato al Patto per le migrazioni e l’asilo proposto dalla Commissione Europea, ma non c’è nessun rilievo critico sulle linee di frattura fra le politiche europee ed i principi di civiltà che sono alla base della stessa costruzione europea. Eloquente è il silenzio sulle vergogne dei respingimenti in Libia e della rotta balcanica.
La parte peggiore del discorso di Draghi è quella sulle questioni internazionali dove si riconosce che il Governo sarà convintamente europeista e atlantista. In questo modo Draghi rimette l’Italia nel solco del pensiero unico (sono lontani i tempi di Moro), senza nemmeno farsi sfiorare dal dubbio che non si possono servire due padroni: non si può lavorare per rafforzare l’Europa e nello stesso tempo riconoscere la supremazia degli USA sull’Europa attraverso la NATO.
In definitiva, fra luci ed ombre, è difficile comprendere quale sarà il percorso effettivo che seguirà il nuovo Governo, molto dipenderà dai rapporti di forza in seno alla sua maggioranza. La nascita di un intergruppo parlamentare fra PD, 5 Stelle e Leu (che dispone della maggioranza assoluta alla Camera), può essere utile per orientare l’azione di governo in una direzione piuttosto che in un’altra.
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