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In Libia (Paese sicuro) si spara sul ministro degli Interni

Il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio ed il ministro degli Interni libico Fathi Bashaga durante un incontro istituzionale (foto d'archivio)

di Mauro Seminara

La Libia è un Paese sicuro ed un partner affidabile, vuole la fiabetta in cui i lupi non sono cattivi e gli agnelli gli si possono affidare serenamente. E fin tanto che tutti saranno d’accordo, tanto da approvare in Parlamento italiano il rinnovo degli accordi sanciti dal Memorandum d’intesa Italia-Libia – e in virtù di tale documento continuare a finanziare milizie libiche e missioni militari italiane in Libia – che prevede l’affidamento alla cosiddetta guardia costiera della cosiddetta Libia, il nostro vicino nordafricano sarà talmente sicuro che gli si potranno indicare le posizioni delle barche con a bordo profughi perché se le riportino indietro. D’altro canto, cosa volete che abbia di brutto un Paese in cui il ministro degli Interni si sposta con un convoglio di una decina di auto di scorta e viene ugualmente attaccato con raffiche di ogni sorta? La Libia è un Paese sicuro.

Alla notizia dell’attentato di ieri al ministro degli Interni libico Fathi Bashaga, scampato al blitz ma non senza vittime intorno a se, la Farnesina si è premurata di emettere una nota stampa. L’attacco del comunicato stampa del Ministero degli Esteri guidato dal riconfermato Luigi Di Maio non lascia dubbi sul sorpreso sdegno nazionale italiano: “L’Italia condanna con fermezza l’attacco nei confronti del Ministro dell’Interno del Governo di Accordo Nazionale libico Fathi Bashagha“. Colpo di scena a parte, sul non applaudire gli artefici dell’attentato, e passando per la definizione di “episodio inaccettabile“, il comunicato stampa della Farnesina prosegue e chiude con il seguente periodo: “L’Italia rimane al fianco della Libia in questa fase cruciale del suo percorso verso la sicurezza, la stabilità e la prosperità, nell’interesse del popolo libico e riafferma il suo pieno sostegno all’azione della Missione UNSMIL ed all’operato dell’Inviato Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Jàn Kubis“.

La fase cruciale, ancor prima della data per le presunte elezioni fissata al 24 dicembre 2021, all’attentato a Bashaga ed alle altre dinamiche interne in un Paese che ha forse più fazioni che province, era stata evidenziata dal servizio di Avvenire che aveva reso di pubblico dominio il messaggio che le Forze Armate italiane diffondevano in acque internazionali nelle quali non è prevista alcuna ufficiale area di sfruttamento esclusivo libico. Un messaggio, destinato ai pescherecci italiani che pescano in acque che corrispondono ad area di responsabilità SAR (ricerca e soccorso) libica ma non territoriali, che esplicita il pericolo per i pescatori e, di convesso, la non protezione delle Forze Armate italiane. Anche la missione “Mare sicuro” della Marina Militare sembra aver rinunciato alla sicurezza ed essersi allontanata dal mare, ridotta a sole due navi in servizio e magari anche condivise con altre missioni italiane in quei mari. Una insicurezza in parte convalidata da alcuni pescatori di Mazara del Vallo, con cui parlammo qualche giorno dopo la scarcerazione in quel di Bengasi, che raccontarono di aver chiamato via radio la Marina Militare e che questa rispose che stava inviando un elicottero (dal ponte della nave, nda) sul posto. Ma dei quattro pescherecci attaccati, due riuscirono a fuggire e due vennero fermati, presi a bordo i rispettivi comandanti, obbligati a seguire fino a Bengasi, e dell’elicottero i pescatori italiani non ne videro l’ombra. Risultato: tre mesi in detenzione arbitraria – senza processo – in Libia con continui spostamenti da un carcere all’altro.

Il presidente uscente del GNA – il Governo di Accordo Nazionale libico riconosciuto legittimo dalle Nazioni Unite ma non dalla Libia – ricoverato in Italia nei giorni scorsi, probabilmente perché la Libia è un Paese così sicuro che il suo presidente deve andare all’estero per le cure mediche, ha pensato di creare una nuova forza militare. Qualora ne mancassero in Libia. “Fayez Serraj – scriveva il 19 gennaio il Libya Herald – ha creato una nuova forza di sicurezza con sede a Tripoli chiamata Stability Support Apparatus“. Secondo l’Herald libico, questa nuova entità “si capisce che è sotto il suo diretto controllo (di Serraj, nda) invece che del Ministero dell’Interno o del Ministero della Difesa”, e, aggiunge la testata libica, “con un bilancio indipendente”. Se il ministro Bashaga si sposta con un intero plotone di scorta, adesso il capo del Governo di Accordo Nazionale ha la sua milizia personale e la Difesa ha a sua volta i suoi reparti (o milizie mercenarie in divisa). Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa internazionale Reuters, “l’apparato di sostegno alla stabilizzazione, una forza armata istituita quest’anno dal primo ministro uscente Fayez al-Sarraj, ha dichiarato in un comunicato pubblicato online che le guardie di Bashagha hanno aperto il fuoco su uno dei suoi veicoli mentre passava il suo convoglio“.

Bashaga ha dichiarato che durante il passaggio del suo convoglio un mezzo si inserito su strada ed ha aperto il fuoco verso le sue auto, che nello scontro a fuoco è morto un uomo della protezione del ministro degli Interni oggetto dell’attentato ed uno degli attentatori. Ovviamente, l’inviato delle Nazioni Unite – fresco di nomina – Jan Kubis ha condannato l’incidente e ha chiesto un’indagine affermando (con un tweet) che “tali spregiudicate azioni rappresentano minacce alla stabilità e alla sicurezza e mirano a far deragliare il processo politico“. Anche l’Ambasciata statunitense ha condannato l’attentato al ministro Bashaga e, riporta l’Herald, l’ambasciatore ha parlato telefonicamente con il ministro degli Interni libico. Il ministro della Difesa della Libia, Salah Namroush, invece ha annunciato di aver destinato una forza militare per “imporre” la sicurezza a Tripoli dopo l’attentato al ministro degli Interni. Una milizia per ogni ministro, ed è solo la parte “civile” della Libia, quella con sede nella capitale e riconosciuta come Governo perfino dalle Nazioni Unite. La Libia, a questo punto, non c’é più alcun dubbio che è davvero un Paese sicuro.

Mauro Seminara: Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.
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