di Maurizio Maria Fossati
Intervista al dr. Evasio Pasini, Medico Cardiologo e Patologo Clinico, già professore a.c. Università degli Studi di Brescia, in prima linea sui pazienti Covid di Brescia, co-autore del libro “Il coraggio e la passione – Brescia e il Covid-19”, edito da Fondazione Spedali Civili di Brescia.
Solo in Italia, dall’inizio della pandemia, risultano ad oggi guariti da Covid-19 oltre 1.600.000 persone, che, dopo aver affrontato la malattia con sintomi più o meno gravi, si sono negativizzati. Un vero esercito che, a un anno dagli esordi del virus e dalla prima ondata, se da un lato ci rassicura sugli esiti di mortalità del virus (i deceduti sono lo 0,25-0,5% dei contagiati), dall’altro apre scenari nuovi e ancora tutti da definire su quella che a tutti gli effetti sembra essere una vera e propria “sindrome post-Covid” che colpisce dal 50 all’80% di coloro che sono usciti dall’infezione, indipendentemente dalla gravità dei sintomi che hanno presentato. Uno scenario su cui non sappiamo molto e che potrebbe diventare una nuova, importante voce di spesa pubblica e sanitaria, viste le conseguenze a lungo termine della malattia.
Stanchezza cronica, dolori muscolari, difficoltà respiratorie, problemi cardiaci: questi alcuni dei sintomi che permangono anche per molti mesi in chi ha contratto il Covid-19 e che possono risultare debilitanti, abbassando la qualità di vita e le performance lavorative dei soggetti coinvolti.
«Recentissimi studi hanno dimostrato che il più ricorrente dei sintomi, la stanchezza, è presente in circa l’80% dei pazienti studiati. Molti pazienti hanno persino difficoltà a salire un piano di scale o ad alzarsi dal letto. Seguono: la dispnea (o fame d’aria) che è presente nel 65% dei casi, ed i dolori diffusi (incluso al torace) riferiti nel 5% dei casi.», spiega il Dr. Evasio Pasini.
Ma perché si evidenzia questa nuova serie di sintomi persino dopo che il tampone molecolare risulta negativo?
«L’ipotesi più semplice, a cui si è subito pensato, è l’alterazione della disponibilità di ossigeno nel sangue, dovuta a una riduzione della diffusione polmonare, secondaria a un danno permanente o a lenta risoluzione dell’interstizio polmonare, conseguente alla polmonite virale acuta.
Tale ipotesi non convince però del tutto. Infatti, solo una minima parte dei pazienti con sindrome post-Covid ha avuto una grave insufficienza respiratoria acuta e sintomi come l’astenia, l’affaticamento, sono presenti anche nei pazienti che hanno avuto sintomi molto leggeri (solo la febbre, con o senza tosse) per alcuni giorni e/o semplici dolori articolari simili a quelli influenzali.
Pensiamo quindi a un meccanismo diverso alla base della sindrome post-Covid.
Come ogni altro virus, anche il SARS-Cov2 attacca le cellule del nostro corpo, che sono formate da molte molecole, tra le quali proteine, a loro volta costituite da catene di aminoacidi, e le spezza per utilizzare gli aminoacidi per poter replicarsi. Come prima cosa il virus, dunque, attacca e penetra all’interno della cellula. In seguito avviene la fase di svestimento. In tale fase il virus libera il suo patrimonio genetico (RNAm) e lo inserisce nella cellula, mandando dei “falsi messaggi” alla cellula stessa, per cui questa mette a disposizione tutte o parte delle sue risorse, per assemblare nuovi virus detti “virioni”. In questa fase si attivano anche le difese immunitarie, e questo crea una notevole infiammazione, causando quella “tempesta citochinica” di cui si è molto parlato. Sia l’attacco diretto del virus alle cellule sia la “tempesta citochinica” sono cause di importanti alterazioni metaboliche e strutturali delle cellule colpite, che perdono le loro capacità metaboliche e funzionali. È come se le cellule del nostro corpo funzionassero al 30-50% del normale, e occorre tempo perché la cellula, se non viene uccisa dal virus, ripristini il proprio patrimonio sia strutturale che energetico per ritornare a svolgere le normali attività funzionali e metaboliche.
Si deve sottolineare che il Covid-19 attacca quasi tutte le cellule del nostro corpo. I sintomi clinici sono prevalentemente polmonari perché il virus entra con il respiro e la prima struttura anatomica che incontra è il polmone. Esistono tuttavia una serie di sintomi extra-polmonari collegati all’infezione da Covid, che riguardano altri organi o sistemi quali l’intestino, il cuore, il cervello, i muscoli, il sistema cardiocircolatorio, il rene.
Molte delle proteine che il virus demolisce, per poterle “cannibalizzare”, sono enzimi contenenti un gruppo “eme” caratterizzato dall’avere al suo interno un atomo di ferro.
Gli enzimi eme svolgono funzioni fondamentali all’interno della cellula, come la produzione di energia nei mitocondri (citocromi) e l’effetto detossificante contro specifiche molecole (citrocromo P 450) o contro i radicali liberi dell’ossigeno (catalasi e perossidasi).
Durante i processi di demolizione degli enzimi eme, si liberano le molecole di ferro che possono ulteriormente amplificare il danno cellulare innescando una reazione detta “ferro-apoptosi”, che causa la morte cellulare.
Semplici esami del sangue, come la ferritina, l’albumina e l’emoglobina, indicano l’entità del danno cellulare e della distruzione delle proteine (tra queste gli enzimi eme) indotti dal virus.
Da quanto detto, si capisce facilmente che le proteine, enzimi e non, sono componenti essenziali di tutte le cellule e che il loro impoverimento, dovuto all’attacco del virus, rischia proprio di provocare la sindrome post-Covid: debolezza, dolori e alterazioni funzionali a livello muscolare, astenia…»
Come fare allora per attivare una corretta riabilitazione post-Covid per tamponare i danni della distruzione delle proteine e la sintomatologia?
«Innanzitutto sarà necessaria una diagnosi, perché la sintomatologia, seppur grave e/o indicativa, da sola non è sufficiente per stabilire se siamo di fronte a un paziente con sindrome post-Covid.
Serviranno i seguenti esami del sangue:
- Emocromo, sideremia, transferrina, ferritina per valutare l’infiammazione e il danno di distruzione delle proteine delle molecole, come l’emoglobina, e degli enzimi contenenti gruppo eme;
- Proteina C Reattiva per valutare il grado di infiammazione;
- Albuminemia per quantificare l’alterazione del metabolismo delle proteine;
- Dosaggio di vitamine importanti per il metabolismo delle proteine, quali la vitamina D, la vitamina B12, la vitamina B6 e l’ acido folico.
Una volta valutati i risultati degli esami, si potrà intervenire rinforzando le vie metaboliche cellulari grazie all’attività fisica e supportando la neo-formazione di quelle molecole, come le proteine, che sono state “scippate” dal virus. Un’integrazione con aminoacidi e vitamine, là dove si evidenzino carenze, è il primo passo di un’adeguata terapia medica.
Dati scientifici preliminari indicano che la supplementazione con vitamine e specifiche miscele di singoli aminoacidi, prevalentemente essenziali, formulate in base ai bisogni metabolici dell’essere umano, aiutano le cellule a ripristinare il loro patrimonio metabolico e la loro funzione.
Una riabilitazione motoria personalizzata e supporti nutrizionali adeguati, sempre sotto controllo di un medico specialista, aiutano il recupero in caso di sindrome post-Covid.
Ma quali sono gli aminoacidi che si prestano meglio a questo tipo di supporto nutrizionale?
«Anche le proteine più nobili, in natura, hanno il 40% di aminoacidi essenziali ed il 60% di non essenziali. I 9 aminoacidi detti “essenziali”- (leucina, isoleucina, valina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina, triptofano, istidina) devono essere assunti categoricamente con l’alimentazione o con gli integratori in quanto il nostro metabolismo non è in grado di sintetizzarli. Al contrario, altri aminoacidi, detti “non essenziali”, possono essere sintetizzati partendo dalle varie molecole già disponibili. Dobbiamo inoltre ricordare che l’azoto contenuto negli aminoacidi “non essenziali” comporta un carico renale, perché si accumula nei reni, costituendo sostanza di scarto che può intasare il sistema di smaltimento. Ecco perché, meglio di un’alimentazione iper-proteica, che può causare problemi a livello renale, è meglio assumere una miscela di singoli aminoacidi essenziali “human tailored”, cioè specifici per gli esseri umani e altamente biodisponibili. La peculiarità di un mix perfetto sta nel contenere gli aminoacidi nel rapporto, fra di loro, uguale a quello richiesto dall’organismo e nell’essere di altissima qualità e purezza, valutata e garantita per ogni singolo lotto. Non sono molti gli integratori che possono garantire questi standard qualitativi e quantitativi, e che hanno un’efficacia dimostrata anche in base a studi scientifici internazionali», conclude il Dr. Pasini.