di Mauro Seminara
Era fresca ieri la notizia confermata da IOM, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, agenzia delle Nazioni Unite, che tra le circa cento persone recuperate da una motovedetta libica (donata dall’Italia) e sbarcate nel porto non sicuro della Libia c’erano due cadaveri. Il gommone sul quale si trovavano era uno dei due partiti dalla costa libica e dei quali si aveva notizia, mediante la centrale di allarme civile Alarm Phone, al largo della Libia ad ovest di Tripoli. Un’altra imbarcazione, con circa 40 persone a bordo, ancora oggi, dopo due giorni, risulta scomparsa. Questa si trovava ad ovest di Tripoli, dove adesso pare stia tornando la nave Ong “Ocean Viking”. Con ancora nell’aria la diffusa indifferenza verso le due vittime di uno dei due gommoni è però arrivata la notizia di una diffusa e apparentemente consapevole grave omissione di soccorso costata la vita a circa 130 persone. Profughi, esseri umani con una storia, una vita, dei nomi, di cui non sappiamo nulla se non che le sale operative per il coordinamento del soccorso marittimo internazionale di Libia, Italia e Malta erano a conoscenza della loro precaria presenza in quel tratto di mare già dal giorno precedente al tragico ritrovamento.
Stando alle informazioni offerte da Alarm Phone, SOS Mediterranee e di alcuni giornalisti, l’operazione di ricerca e soccorso (SAR, search and rescue) è stata condotta in autonomia da tre navi civili, della marineria mercantile internazionale che hanno distratto le proprie consegne per un disperato intervento di salvataggio cui si è aggiunta la Ocean Viking. Dubbi, lacune di informazioni, omissioni avvolgono il drammatico evento di ieri. Secondo SOS Mediterranee, citando il comunicato stampa diffuso ieri sera, “In assenza di un coordinamento efficace da parte dello Stato, tre navi mercantili e la Ocean Viking hanno cooperato per organizzare la ricerca in condizioni di mare estremamente difficili”. Sono parole attribuite a Luisa Albera, coordinatrice SAR a bordo della Ocean Viking, che offrono una breve ricostruzione degli eventi. Il comunicato prosegue con: “Oggi, mentre cercavamo senza sosta – nella totale mancanza di supporto dalle autorità marittime competenti – tre cadaveri sono stati avvistati in acqua dalla nave mercantile My Rose”. Infine un dettaglio inquietante che chiude il periodo del comunicato stampa: “Un aereo di Frontex ha individuato poco dopo il relitto di un gommone”.
Il dettaglio del velivolo Frontex è inquietante perché questo era stato tracciato dal cronista di Radio Radicale, Sergio Scandura, in orbita sulla stessa area in cui si trovava il gommone poi naufragato, mentre una motovedetta della cosiddetta “guardia costiera libica” recuperava l’altro gommone, che sbarcherà poi in Libia con due cadaveri. Nessuno però aveva coordinato l’operazione SAR ed in assenza di autorità nazionali preposte al soccorso in mare si erano rimboccati le maniche i comandanti di navi mercantili coordinandosi da soli, si suppone improvvisando un ufficiale di coordinamento sul posto, magari tirato a sorte, ed uno schema di ricerca ideato a caso. La Libia assente, Malta assente ed anche l’Italia – che alla Libia offre motovedette, affiancamento, addestramento ed alle volte anche supplenza – non ha assunto il coordinamento. Una vicenda che dovrebbe produrre un nuovo articolo per il diritto internazionale secondo cui in assenza di autorità nazionali la società civile ha il diritto ed il dovere di intervenire senza alcuna possibilità di successiva contestazione da parte delle autorità assenti.
“Dal momento in cui siamo arrivati sul posto oggi non abbiamo trovato nessun sopravvissuto, ma abbiamo visto almeno dieci corpi nelle vicinanze del relitto”, recita la nota firmata da Luisa Albero. Dove si trovavano le motovedette, la sale operative che tutto vedono e tutto possono coordinare disponendo di navi Ong e mercantili in area, i velivoli di Frontex cosa stavano facendo, le navi militari italiane e quelle della missione Irini al cui comando c’è un ammiraglio italiano, sono tutte domande cui qualcuno dovrà dare risposte. Certo è che il diritto internazionale prevede che, impossibilitato chi responsabile ad intervenire, chiunque abbia notizia di una imbarcazione in pericolo debba coordinare il soccorso, fino al salvataggio e successivo sbarco in luogo sicuro oppure fino a quando l’autorità competente non sarà in grado di subentrare assumendone coordinamento e soccorso. Dove erano Italia e Malta, preso atto della inconsistenza di una “guardia costiera libica” invenzione di chi non può respingere e quindi delega i respingimenti è un quesito cui si spera che – anche in un’aula di Tribunale – prima o poi qualcuno dovrà rispondere. Nel frattempo non si ha alcuna notizia della barca con circa 40 persone a bordo. Le vittime potrebbero essere oltre 170 in meno di 24 ore nel buco nero che i “civili” Stati membri dell’Unione europea hanno creato al largo della Libia nel Mediterraneo centrale.
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