di Mauro Seminara
Nelle stesse ore in cui una imbarcazione che chiedeva aiuto veniva lasciata in mare dai cargo che la tenevano d’occhio senza intervenire, un’altra barca carica di profughi partiti dalla Libia naufragava causando la morte di un numero imprecisato di persone. Undici i cadaveri recuperati, rende noto IOM, mentre dodici sono i superstiti di questa nuova tragedia consumata appena dieci giorni dopo il disastro costato la vita a circa 130 persone cui gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo centrale hanno assistito senza muovere un dito. Tutto si è verificato oggi, 2 maggio 2021, al largo della Libia. Quel Paese diviso fisicamente da fazioni avverse, infiltrato sul piano governativo ufficiale da un Paese straniero guidato da un dittatore, con un’area SAR sconfinata ma privo di mezzi per il soccorso marittimo e di una sala operativa che li coordini. Davanti le sue coste quotidianamente respingimenti, maltrattamenti e naufragi. Come oggi.
Alarm Phone ha lanciato l’allarme per una imbarcazione alla deriva con a bordo 95 persone. Sono in evidente pericolo perché una nuova perturbazione li sta raggiungendo e non potendo governare l’imbarcazione è facile che finiscano tutti in mare. Si trovano in area SAR di responsabilità libica, quasi al confine con quella maltese. In area ci sono navi mercantili. Una in particolare è cosi vicina da poter essere vista dai naufraghi, ma non interviene. Le ore passano ed a bordo dell’imbarcazione alla deriva il panico aumenta e qualcuno, come rende noto Alarm Phone che rimane in contatto telefonico con loro, pensa di gettarsi in mare e raggiungere a nuoto il più vicino dei mercantili. Si tratta della Vos Aphrodite, un cargo di servizio logistico alle piattaforme petrolifere che si trovano non lontano dai naufraghi.
Il cargo della compagnia Vroon non è l’unico mercantile ad aver lasciato le proprie consegne per andare incontro alle coordinate indicate alle autorità libica, italiana e maltese da Alarm Phone. Nessuno però si avvicina a sufficienza da poter intervenire, come se la sala operativa che ha assunto il coordinamento dell’evento SAR non avesse concesso l’autorizzazione per intervenire. Alarm Phone a questo punto denuncia il probabile respingimento verso la Libia ad opera di chi non ha autorizzato l’intervento di navi che battono bandiera non libica per attendere l’arrivo di una motovedetta della cosiddetta guardia costiera, con il rischio di dover assistere nel frattempo ad un altro naufragio. Calato nuovamente il buio, dopo 24 ore già trascorse dalle prime richieste di aiuto con il motore della barca in avaria, la situazione rimane invariata: i cargo restano in zona a breve distanza ma inermi e sul posto viene inviata una motovedetta che però deve affrontare la perturbazione in arrivo e l’eventuale soccorso con avverse condizioni meteo. E si sa ormai che i libici possono trascorrere mesi in addestramento italiano ma il mare proprio non lo reggono.
Alle 21:59 il cronista di Radio Radicale Sergio Scandura lancia la notizia, da fonti governative riservate, che “la vedetta libica ha raggiunto l’imbarcazione dei 95 naufraghi”. Scandura precisa anche che “Alle 21:45 il rimorchiatore Vos Aphrodite e la nave Olympiysky Prospect sono però ancora in area, sulla scena del caso SAR allertato da Alarm Phone”. Lo stesso cronista aveva tracciato nel corso della giornata le orbite di un velivolo Frontex che monitorava la condizione del natante alla deriva infine non soccorso da chi poteva ed abbandonato alla sorte fino all’arrivo della motovedetta libica per un ennesimo respingimento per procura.
Intanto, alle 17:59 dello stesso giorno, la portavoce dell’agenzia delle Nazioni Unite per le migrazioni con sede a Ginevra annuncia con un tweet l’ennesimo disastro: 11 corpi recuperati, 12 superstiti, a nord di Zawiya. I dodici superstiti, annuncia Safa Msehli, sono stati recuperati da una motovedetta libica. Nessun dato circa il numero di dispersi dopo ore dallo sbarco in Libia dei sopravvissuti subito sottratti a possibili contatti con organizzazioni umanitarie. Sono in ogni caso 23 le persone recuperate, tra superstiti e cadaveri, e potrebbero essere anche un altro centinaio i dispersi. Si muore in quel tratto di mare, oppure si viene respinti negli stessi luoghi di detenzione e maltrattamenti da cui si tenta di fuggire, in una mattanza infinita, senza che i governi europei battano in ciglio o facciano qualcosa di diverso dal finanziare i libici perché respingano su procura e omettano soccorsi e l’agenzia europea perché segnali loro la posizione delle barche da andare a recuperare. Tutto grazie alla complicità dell’Organizzazione Internazionale Marittima delle Nazioni Unite che continua a riconoscere alla Libia un’area SAR, per giunta così estesa.
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