di Mauro Seminara
Le ultime due imbarcazioni arrivate a Lampedusa nelle 24 ore del 9 maggio 2021 avevano a bordo 352 e 87 persone. Con questi ultimi due approdi il dato del giorno si è attestato di una decina sopra quota 2.000. Duemila persone delle quali la stragrande maggioranza salpata dallo stesso porto libico: Zuwarah. Un territorio in mano a milizie e bande di trafficanti che spesso indossano entrambi i panni, quelli dei trafficanti e quelli delle forze di governo che dovrebbero contrastare il traffico di esseri umani o salvare loro la vita in mare.
Nelle ultime settimane, quasi a far venire il dubbio che il premier italiano Mario Draghi sia un portatore di sfortuna oppure la peggiore scelta che il presidente della Repubblica potesse fare, dopo le congratulazioni alla cosiddetta guardia costiera libica da parte del capo del Governo italiano, i libici hanno dimostrato come la classe dirigente italiana andrebbe interamente sostituita. Quella “guardia costiera” costata la vita a 130 persone perché gli uomini di mare non vanno in mare quando questo è mosso. Quella “guardia costiera” che spara verso la cabina di pilotaggio di un peschereccio con arma automatica di grosso calibro che non potrebbe avere a bordo secondo i vincoli dettati dall’Italia quando questa gliel’ha donata. La “guardia costiera” che non sta neanche ai patti di “contenere” le partenze, visto che da Zuwarah sono partiti tre barconi e svariate imbarcazioni per un totale di circa 1.500 persone.
Bisognerebbe quindi rimandare a vita privata quanti chiamano “guardia costiera” una milizia armata con motovedette grigie che sparano altezza uomo sui pescatori disarmati. Andrebbero invitati a lavori manovali o di mero facchinaggio quanti sostengono che i libici con cui sono stati stretti accordi siano “partner affidabili”. Andrebbero invitati al ritorno tra i banchi di scuola – oggi a posto singolo con utilissime rotelle – tutti quelli che sostengono la linea del ritiro di navi, come quelle della Guardia Costiera italiana, per prevenire naufragi in un più ordinato sistema di smistamento in porti italiani invece che arrivi autonomi in una collassata Lampedusa. Andrebbero revocati i titoli di studio di quanti sostengono che le navi da soccorso marittimo umanitario delle Ong costituiscano un fattore di attrazione. Tutte queste misure in autotutela dello Stato italiano mentre si cercano statisti per la guida ed elettori dotati di intelletto per la loro elezione.
Chiunque abbia conoscenza della materia, probabilmente anche coloro che come un disco rotto che parla a vanvera ripete continuamente “blocco navale” e non si documenta sulle regole d’ingaggio, sa bene che non si tratta di “pull factor” ma di “push factor”, per restare su forme anglofone. Cioè, non fattore di attrazione ma fattore di spinta, determinato dalle condizioni dei Paesi di origine e dai rapporti con i libici instaurati dall’Italia. Qui perfino un leghista qualunque ci potrebbe arrivare: se tu hai paura del migrante e paghi perché non arrivi, io ti invio migranti ogni volta che voglio qualcosa da te. E Maroni, con al Governo Berlusconi, poi altri tra cui Minniti, Salvini ed infine Lamorgese, pagano in un modo o nell’altro perché i migranti non arrivino. Talvolta anche con prezzi altissimi e non in denaro, come il non poter alzare la voce quando da una delle motovedette onorevolmente impiegate in Italia dalla Guardia di Finanza e donate miserevolmente ai libici (ultima consegna ministro Salvini nel 2018) si spara su pescatori italiani.
La condizione di base in Libia ed in Tunisia è quella di Paesi in cui non vengono garantiti i livelli minimi di assistenza, ed in particolare nel caso della Libia non vengono garantiti neanche i livelli minimi di diritti umani. In Tunisia invece, come ha scritto il presidente dell’Associazione Tunisini in Italia, dottor Adel Cheida, con una lettera aperta pubblicata oggi da La Repubblica, “Nei giorni scorsi, la Tunisia ha superato le 11.000 vittime (calcoli ufficiali), registrando un tasso di positività sopra il 25 per cento e una media di settemila test PCR alla settimana (mille al giorno)”. La stessa Tunisia così vicina, sia fisicamente che strategicamente, che quando era l’Italia ad affrontare la prima letale ondata di SARS-CoV-2 è stata aiutata dalla povera Repubblica nordafricana – ricorda il dottor Cheida – che “con i suoi mezzi limitati non ha esitato a mandare un team di medici e di infermieri a Brescia”.
Tra la crisi economico-sociale della Tunisia e la spinta dei Paesi del centro Africa in cui le superpotenze mondiali continuano fornire armi a milizie e bande di terroristi causando così, insieme a carestia e guerra, la spinta verso la Libia di persone costrette ad emigrare, il tappo posto dall’Unione europea – con firma italiana – in Tripolitania è un’arma che da quelle parti viene usata contro l’Italia. Lo ha dimostrato già in un recente passato lo stesso Erdogan che adesso alberga proprio a Tripoli quale miglior alleato del “Governo riconosciuto dalle Nazioni Unite”, quando giocando sul flusso migratorio siriano verso la Turchia ha ottenuto sei miliardi di euro perché li tenesse chiusi fuori confine europeo. E adesso si replica con la Libia – gioco non inedito, ideato da Gheddafi – mentre l’Italia prende male le commesse turche, il premier italiano perde il contegno diplomatico e da del “dittatore ad Erdogan”, i nostri bravi guardacoste addestrati ed equipaggiati ci sparano addosso, e se ci si lamenta si affronta anche l’ondata dei maxi barconi a navi Ong ferme nei porti. Le motovedette “libiche” hanno infatti reso il loro servizio di cattura e respingimento – con mare calmo – per seicento persone partite dalla loro costa. Tutti gli altri sono andati via navigando fino a Lampedusa, ma sempre e rigorosamente sotto gli occhi di Frontex che tracciava la posizione ed il numero di persone a bordo di ogni imbarcazione.