di Fulvio Vassallo Paleologo
Il ministro dell’Interno Lamorgese, dopo la sconfitta di Draghi in Europa, rilancia la tesi degli Stati di bandiera delle navi soccorritrici per la condivisione degli obblighi di sbarco derivanti dal diritto internazionale. “Eccellente” risultato di una “trattativa” abortita sul nascere, mentre le navi delle Ong restano bloccate in porto dai fermi amministrativi ed il governo si appresta a proporre in Parlamento il rifinanziamento della sedicente Guardia costiera libica. Questa “trattativa” serve solo ad alimentare la propaganda delle destre e già nei prossimi giorni la valanga di sbarchi “autonomi” su Lampedusa renderà evidente la marginalità della presenza delle Ong sulla rotta libico-tunisina.
Sarebbe tempo che ognuno si assumesse le responsabilità che gli competono, anche come organizzazione espressione della società civile solidale, e denunci chi rilancia la tesi dello “Stato di bandiera” per legittimare le politiche di abbandono in mare e di criminalizzazione dei soccorsi umanitari. Nessun incontro al Viminale può legittimare politiche e prassi amministrative in violazione dell’art. 117 della Costituzione e delle Convenzioni internazionali. Nessuna legittimazione è possibile per il ritiro dei mezzi di soccorso italiani e maltesi dalle acque internazionali. Che poi costituisce la cifra politica e morale del governo Draghi secondo cui gli interventi di soccorso gestiti dalle autorità italiane si limiteranno alle nostre acque territoriali, quindi 12 miglia dalla costa.
Se i morti e dispersi in mare sono triplicati rispetto allo scorso anno, sembra non interessare un ministro dell’Interno ed un Governo che hanno come unico obiettivo ridurre gli “sbarchi” in Italia. Anche se si tratta di una doverosa conclusione delle attività di ricerca e soccorso, come ribadisce la sentenza del 16 febbraio 2020 della Cassazione. E non di meri “eventi migratori”, come vorrebbero far credere le autorità italiane.
Si va verso un nuovo codice di condotta delle Ong, imposto dal Viminale, che potrebbe segnare la fine dei soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale con il pieno riconoscimento della legittimità dei respingimenti collettivi delegati ai libici e con ulteriori dinieghi o ritardi nella indicazione di un “porto sicuro di sbarco” Non in nostro nome.
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