di Mauro Seminara
Tutto ciò che attiene alla migrazione irregolare attraverso il Mediterraneo centrale assume sempre più i contorni di una zona grigia impermeabile al diritto. Dal soccorso marittimo fino alla cosiddetta prima accoglienza, tra leggi e prassi la distanza appare sempre maggiore. Anche il fronte del palco del tema, l’isola di Lampedusa sempre sotto i riflettori, si scosta rapidamente da quanto prevedono le norme vigenti in materia di libertà personale, ma anche di prerogative parlamentari. Si è consumato tra venerdì 18 e sabato 19 un episodio, presso il centro di prima accoglienza di Lampedusa, o se si preferisce, l’hotspot della stessa isola, in cui una serie molto lunga di criticità è emersa ed ha prodotto quale risultato una interrogazione parlamentare rivolta al ministro dell’interno ed un esposto alla Procura della Repubblica di Agrigento per accertamento di condotta da parte di un dirigente di Polizia.
Per meglio inquadrare il contesto è utile definire il teatro della scena con la visita ispettiva di un senatore della Repubblica cui viene inizialmente impedito di accedere al centro per migranti. Questo proscenio è Lampedusa, isola a vocazione turistica in cui a buona parte della popolazione poco piace vedere persone migranti fuori dalla struttura dedicata ed edificata in una valle, quella di contrada Imbriacola, lontana dagli occhi della loro vacca sacra. La struttura, che si definisca “hotspot” con apposito statuto o “Centro di primo soccorso e accoglienza”, teoricamente di natura amministrativa e non penitenziaria, dovrebbe avere un quadro normativo chiaro e rodato che ogni dirigente di Polizia o funzionario prefettizio dovrebbe conoscere a memoria. Eppure, giunto al cancello del centro per migranti di Lampedusa lo scorso venerdì sera, il senatore Gregorio De Falco si è scontrato con elementi quali casualità, approssimazione, interferenze, omissioni. Tutti fattori incompatibili con la libertà individuale e quindi la vita delle persone, soprattutto se per amministrazione governativa.
Il diniego
Al senatore De Falco viene negato l’accesso alla struttura, e da questa opposizione del dirigente di Polizia responsabile ha inizio una serie di eventi e rilievi che appaiono di estrema gravità. La prima è che la motivazione opposta al cancello della struttura che “ospita” le persone migranti sbarcate sull’isola, per negare la visita ispettiva del parlamentare, è quella che ci riferisce nel corso di una intervista telefonica lo stesso senatore Gregorio De Falco: “Non può entrare perché come ha saputo dalla nota che ha ricevuto dalla Prefettura di Agrigento ci sono problemi di ordine pubblico e sanitari”. La nota, spiega De Falco, era la risposta ad una comunicazione che il senatore, per rispetto tra istituzioni, ha ritenuto comunque di voler fare alla Prefettura di Agrigento prima di partire per visitare la predetta struttura. De Falco, a questo punto, riferisce le sue perplessità circa le due condizioni di emergenza annunciate. La prima di ordine pubblico che, per negare l’accesso ad un rappresentante del Senato della Repubblica italiana, deve essere davvero fuori controllo da parte delle forze dell’ordine. La seconda, come ci spiega il senatore, se in atto una grave emergenza sanitaria come un focolaio di Covid-19 in struttura, questa circostanza dovrebbe essere stata immediatamente comunicata alla massima autorità sanitaria dell’isola che è il sindaco Salvatore Martello che, secondo De Falco, non risultava esserne a conoscenza.
L’interferenza del dirigente di Polizia
Avrebbero dovuto accompagnare il parlamentare nella visita in struttura, che a fronte dei sempre circa 250 posti ospitava venerdì sera 952 persone, l’avvocato Alessandra Ballerini – nota per il suo attivismo a tutela dei diritti umani e dei migranti oltre che per la difesa della famiglia Regeni – ed il parroco di Lampedusa don Carmelo La Magra. Sia venerdì sera che poi sabato pomeriggio, l’intervento di un dirigente di Polizia, il vicequestore Cesare Castelli, convince il senatore a scrivere una nota al Prefetto di Agrigento in cui viene messo in copia per conoscenza, con il valore di esposto per l’approfondimento e la ricerca di eventuali rilievi di responsabilità penale, la Procura della Repubblica di Agrigento. Al dirigente di Polizia viene contestato di aver “impedito l’accesso, rifiutandosi altresì di fornirmi un suo indirizzo e-mail” e per questo, con posta certificata trasmessa al Prefetto di Agrigento ed alla Procura della Repubblica della stessa provincia, il senatore De Falco comunica che “Per quanto sopra, invio la presente segnalazione anche alla Procura della Repubblica competente affinché valuti le responsabilità penali nella indebita interferenza sull’espletamento del mandato parlamentare”.
Divergenze di opinione
Il dirigente, risolta la questione del diritto esercitato dal parlamentare di accedere in qualunque momento all’interno della struttura, ma solo il giorno successivo e dopo il trasferimento di circa 400 delle 952 persone presenti, ha poi intimato con tono perentorio rivolto all’avvocato Ballerini di allontanarsi subito dal centro per migranti in cui accedeva al seguito del senatore. Momenti tesi in cui il vicequestore Castelli citava l’articolo 650 del codice penale all’avvocato ed il senatore De Falco comunicava con il prefetto Bruno Frattasi, capo di gabinetto del ministro degli Interni Luciana Lamorgese, anche per dirimere il caso che vedeva la Prefettura di Agrigento con nullaosta alla visita, il dirigente contrario prima alla visita e poi solo alla presenza di Alessandra Ballerini cui prometteva denuncia per inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, e di base una serie di imbarazzanti controsensi gestionali.
Rinchiusi in un centro aperto
L’interrogazione parlamentare a firma De Falco, Fattori, Nunges e De Bonis, pretende chiarezza sulle incongruenze rilevate in pochissime ore a Lampedusa. La prima, enorme, è che a domanda del senatore della Repubblica interrogante nessuna risposta pervenuta ha spiegato senza dubbio di smentita se dal centro di prima accoglienza le persone migranti in attesa di trasferimento possono uscire oppure vi sono recluse. Come recita l’interrogazione firmata dai quattro senatori, si è potuta notare una “totale discrasia di opinioni circa il regime cui sono sottoposte le persone che vi sono concentrate, in particolare se possano lasciare o meno liberamente l’hotspot; infatti, secondo i militari dell’esercito incaricati della sorveglianza agli ingressi, le persone presenti nell’hotspot non hanno libertà di movimento e devono permanere nella struttura; al contrario, alcuni elementi della polizia hanno sostenuto che gli “ospiti” possono allontanarsi tranquillamente dall’hotspot, mentre altri, sostenevano il contrario. Non essendo disponibile un regolamento non è stato possibile verificare alcunché al riguardo”.
La reclusione in zona militare
Mentre il dirigente minacciava di denuncia l’avvocato Ballerini se non avesse subito lasciato la struttura, perché – racconta il De Falco – “asseriva di aver saputo da ‘un prefettizio’ che Ballerini non poteva stare li”, il senatore che parlava al telefono con il prefetto Frattasi apprendeva che secondo il capo di gabinetto del ministro Lamorgese il centro per migranti di Lampedusa “non è luogo di riduzione della libertà personale – riferisce De Falco – ma che il senatore non poteva accedere”. Essere o non essere, da shakespeariana formula. Perché la recinzione esistente e quella che sembra dover sorgere esternamente alla preesistente o che ne prenderà il posto, la presenza esterna di un militare ogni venti metri circa di perimetro, il numero di agenti delle forze dell’ordine all’interno della struttura, sembrano affermare il contrario circa la libertà degli “ospiti” di potersi allontanare temporaneamente. E se vi è regime di reclusione all’interno, come da consegne ricevute hanno risposto al senatore i militari di guardia, qualcosa certo a Lampedusa non va. Militari che, inoltre, alla vista di giornalisti sull’altura retrostante, intenti nel riprendere da lontano la struttura in fase di ristrutturazione, hanno intimato l’immediata interruzione delle riprese perché sarebbe vietato essendo quella del centro di prima accoglienza per migranti “una zona militare”. Anche se sul cancello all’ingresso la ormai ossidata targa in ottone recita “Ministero dell’Interno” e certo non “Ministero della Difesa”.
Militari di guardia ogni dodici metri circa sul perimetro esterno dell’hotspot
Niente asilo per i migranti, neanche la richiesta
Quindi, fin qui par di capire che non si può uscire dal centro anche se questo dovrebbe essere per la prima accoglienza dei propri “ospiti”, che non si può riprendere dall’esterno anche se da distanze tali da non poter vedere alcun potenziale richiedente asilo in volto, e che forse il problema non si esaurisce con ciò che si vede ma si estende a ciò che si limita o letteralmente preclude. Il senatore De Falco ci spiega infatti che “da agosto a dicembre 2020 sono state presentate circa 200 mila domande, di queste ne sono state trattate solo 25 mila circa”, e che all’interno del centro di Lampedusa – hotspot o CPSA – “non viene fatto compilare a chi entra nella struttura un modello formale, il modello C3, che consente di formalizzare la eventuale richiesta di asilo, mentre viene fatto utilizzare il c.d. foglio notizie che si compila attraverso l’apposizione di qualche crocetta in un modello scarno ed ambiguo e redatto solamente in lingua italiana”. Alla domanda su come quindi viene gestito il processo e se quindi il “modello C3” viene proposto in un secondo momento in altre strutture, il senatore ha risposto caustico sottolineando che “non c’è un registro transiti migranti a Lampedusa, solo le schede con il cosiddetto ‘foglio notizie’”.
Emergenza sanitaria e traghetti, e le navi quarantena?
C’è chi non sa se a Lampedusa c’è un centro di detenzione, un “hotspot” (progetto europeo per la ricollocazione in altri Stati membri dei richiedenti asilo) oppure un centro per la prima accoglienza, pur essendo funzionario preposto alla gestione del suddetto centro. Poi c’è chi sa come vengono gestite le navi quarantena e le navi traghetto, ed in questo caso la disarmante risposta è: casualità. Appreso della presunta emergenza sanitaria all’interno del centro, abbiamo chiesto al senatore cosa ne pensava di questa paventata “epidemia” a fronte di un impiego talvolta incomprensibile delle costosissime navi quarantena e poi dei trasferimenti, anche nei giorni in questione, mediante le navi traghetto di linea sulle quali viaggiano residenti e turisti: “L’imbarco su nave quarantena o nave di linea mi hanno detto essere dettato da criterio casuale. Ho osservato gli imbarchi sulla nave quarantena Atlas e ho visto imbarcare anche minori”. Questo aspetto è evidenziato anche nell’interrogazione parlamentare, la dove i quattro senatori chiedono di sapere “quale sia il criterio di scelta che presiede alla decisione di inviare le persone giunte nell’hotspot in una nave quarantena o in altro centro di trattenimento o accoglienza, non essendo possibile pensare che veramente tali decisioni che incidono sulla libertà personale si basino sulla mera casualità o peggio discrezionalità in violazione degli artt. 13 e 97 della nostra Costituzione”.
Scomparsi
L’accesso ai centri per migranti, siano essi centri per il rimpatrio o semplici centri di prima accoglienza, è stato negli anni progressivamente osteggiato per la stampa che voleva testimoniare le condizioni delle persone che vi vengono rinchiuse. Dopo aver allontanato i giornalisti dalle motovedette di Guardia di Finanza e Guardia Costiera – che sempre più raramente vi si imbarcano e quasi mai per operazioni di soccorso in mare ai migranti – ed anche le navi delle ONG dal mare, e dopo aver negato l’accesso ai centri per migranti negando il diritto di cronaca, adesso si nega anche il diritto di ispezione di esponenti del potere legislativo motivando le stesse ragioni di ordine pubblico o sanitario talvolta proposte ai cronisti. Tra la Libia e l’Italia, e ora anche all’interno dei centri per migranti sul territorio italiano, si costituisce così una zona grigia a margine di un buco nero. La zona grigia è quella in cui ogni diritto, costituzionalmente sancito e da leggi nazionali e di rango superiore tutelato, può essere negato senza che chi ne è vittima possa appellarsi in qualunque modo. Il buco nero è invece quello in cui si consumano respingimenti, omissioni di soccorso e talvolta anche omissioni di notizie relative a naufragi causati da mancati interventi di soccorso. Le persone migranti vanno così progressivamente scomparendo finché di loro non si avrà più notizia. Nascosti come in un mondo che si vergogna di loro o di se stesso. Con buona pace dei sovranisti e di altri tifosi delle “difese dei confini”, simili sacche di autoritarismo altro non sono che un principio di cancrena pronto ad estendersi anche in danno di altre categorie di persone; non necessariamente in spregio dei diritti di chi non ha il passaporto.
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