di Mauro Seminara
Un cliché che si applica in modo ricorrente quello del naufragio di Lampedusa consumatosi questa mattina sotto gli occhi dei guardacoste. Si era già verificato ad ottobre e poi a novembre del 2019, con due imbarcazioni giunte in autonomia fino alle acque territoriali italiane e poi capovolte mentre una motovedetta si avvicinava per un intervento che non sappiamo più se di soccorso o di “law enforcement”. Oggi, eccezionalmente, l’ufficio comunicazione della Guardia Costiera – lo stesso spesso chiamato ad un telefono che non risponde o interpellato con e-mail che non hanno mai ricevuto risposta – ha rotto il proprio silenzio stampa con un comunicato riguardante l’accaduto. “Alle prime ore del mattino di oggi, 30 giugno, è giunta una segnalazione con telefono GSM – spiega la nota della Guardia Costiera – da parte di un migrante presente a bordo di un barchino in difficoltà. Sul mezzo, a circa 7 miglia da Lampedusa in zona SAR Italiana, veniva segnalata la presenza di circa 60 persone.”
La barca poteva essere una delle tante che vengono avvistate dai velivoli di Frontex (e non solo). La Procura di Agrigento ha annunciato l’apertura di un fascicolo “per individuare gli scafisti dell’imbarcazione naufragata”. Non è al momento annunciato un approfondimento su eventuali precedenti segnalazioni della barca poi naufragata. La questione dell’obbligo di intervento, magari anche solo sotto il profilo morale, rimane però aperta ed anche il comunicato stampa della Guardia Costiera – che si sottolinea essere evento straordinario non avendo ad oggetto tartarughe e balene – spiega la condizione del natante quasi a giustificare il naufragio occorso circa cinque miglia dentro il confine delle acque territoriali italiane ad ovest di Lampedusa. “Subito prima dell’inizio delle fasi del soccorso, l’unità si è capovolta, verosimilmente a causa dello spostamento improvviso dei migranti, dovuto all’elevato numero di persone a bordo e alle ridotte dimensioni del mezzo, di appena 8 metri”, puntualizza la Guardia Costiera descrivendo una imbarcazione come altre che, se pur segnalate già in acque internazionali e documentate con dettagliatissime foto scattate dai sofisticati strumenti di bordo dei velivoli Frontex (l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne) non vengono soccorse e si attende che giungano in acque territoriali o almeno in acque la cui responsabilità SAR (ricerca e soccorso) è italiana, che nel caso di Lampedusa quasi si sovrappongono.
Tradito da una prassi ormai tristemente consolidata anche il presidente del Consiglio italiano che in un suo recente intervento pubblico riferito ai flussi migratori attraverso il Mediterraneo centrale aveva annunciato che nessuno sarebbe stato lasciato annegare nelle acque territoriali italiane. Se già i più accorti si erano chiesti perché si poteva annegare fuori le acque territoriali, adesso arriva anche la smentita per quelle 12 miglia nautiche entro le quali il premier Draghi avrebbe assicurato la vita dei migranti. A poco servono poi le ricerche per recuperare i cadaveri, le vittime di un naufragio dovuto forse alla disperazione di chi dopo aver navigato a lungo vede una motovedetta e teme il mancato intervento oppure semplicemente spinto dalla paura si affretta ad avvicinarsi ai soccorritori facendo capovolgere il barchino. Il risultato è stato di 7 vittime accertate, delle quali sono stati recuperati i corpi, 46 superstiti e circa una decina di dispersi per i quali partecipavano alle ricerche anche dei pescherecci lampedusani.