di Mauro Seminara
Erano persone migranti di varie nazionalità che si erano imbarcate in Tunisia alla volta della “civile Europa”. A bordo del barchino lungo circa otto metri c’erano 62 o 63 persone. Hanno navigato da Sidi Mansour, un piccolo tratto di costa incollato dalla città portuale tunisina di Sfax, fino a poche miglia da Lampedusa. Poi, con una dinamica sulla quale sarà la Procura della Repubblica di Agrigento a dover far luce, la barca si è improvvisamente capovolta e le persone sono finite in mare. Sul posto due motovedette della Guardia Costiera ed un velivolo dello stesso corpo, ma anche Guardia di Finanza, Carabinieri e due pescherecci lampedusani: il “Palermo Nostra” ed il “Desiderio”. Al molo Favarolo però, alle sette del mattino, sono arrivati solo 46 superstiti, alcuni dei quali rianimati a bordo dal personale medico del Cisom, ed insieme ai sopravvissuti già cinque cadaveri cui se ne sono aggiunti altri due poco più tardi. In tutto sette vittime accertate, ma al bilancio della nuova strage, che ricalca in tutto gli eventi drammatici già registrati a Lampedusa nell’ottobre e poi novembre del 2019, ci sono anche otto o nove dispersi i cui corpi non sono stati trovati dopo circa sei ore di infruttuose ricerche.
Tra i superstiti ci sono 29 uomini e 17 donne. Tra i dispersi, una decina, ci sono invece molte donne ed un bimbo. Un altro innocente che paga il prezzo di politiche scellerate per le quali i genitori sono costretti a lasciare casa e dalla parte opposta qualcuno forse davvero crede che mancando il soccorso in acque internazionali i migranti si scoraggiano e smettono di partire. Donne e bambini vittime di un meccanismo ignobile, illusi dalla speranza, accecati dalla paura ed infine abbandonati perché tra la costa italiana e quella nordafricana c’è un buco nero del diritto e dell’informazione. Un buco nero nel quale si muore e spesso senza neanche lasciare traccia di se. Da quel poco che siamo riusciti a ricostruire sappiamo infatti solo che le persone che si trovavano sulla barca naufragata a circa 7 miglia nautiche ad ovest di Lampedusa, ben cinque miglia dentro le acque territoriali, provenivano da paesi disastrati economicamente e socialmente come il Burkina Faso, la Guinea Bissau, il Mali, la Costa d’Avorio ed il Camerun. Erano partiti dalla Tunisia, seguendo la nuova rotta che tenta di aggirare la cosiddetta “guardia costiera libica” che cattura e riconduce in lager della Libia profughi e legittimi richiedenti asilo abbandonati dalle Nazioni Unite.
Una delle giovani donne superstiti è stata sbarcata dalla motovedetta soccorritrice in gravi condizioni e per lei l’ambulanza è corsa a sirene spiegate verso il poliambulatorio dell’isola. Le sue condizioni di salute sembrano essere davvero drammatiche. Lampedusa però, dopo decenni di “emergenza”, milioni di euro di centri di accoglienza e ristrutturazioni degli stessi, navi quarantena dal costo di noleggio faraonico, e malgrado la presenza estiva di decine di migliaia di turisti, non ha un pronto soccorso e anche questa ragazza, la cui vita è appesa ad un filo, verrà curata in un PTE (punto territoriale di emergenza) che condivide i locali con una guardia medica e non ha una rianimazione. Sono i risultati di decenni di politiche italiane improntate allo stato d’emergenza, alla richiesta di fondi straordinari da spendere senza gare d’appalto, a promesse di risoluzioni impossibili. Come impossibili sono le politiche di chiusura secondo cui nessuno deve più intervenire in acque internazionali anche quando si tratta di barche gremite ed insicure come quella naufragata stamane. La politica della deterrenza che, dopo aver costretto in porto con fermi amministrativi tutte le navi Ong, adesso ha costretto anche la (un tempo fu) prestigiosa Guardia Costiera italiana ad avere addosso un guinzaglio lungo più o meno 12 miglia nautiche.
La dinamica del naufragio è stata così spiegata dagli ex “angeli del mare” che ormai sembra non possano neanche più comunicare o relazionare a fine anno il loro lavoro di intervento o soccorso ai migranti:
Alle prime ore del mattino di oggi, 30 giugno, è giunta una segnalazione con telefono GSM da parte di un migrante presente a bordo di un barchino in difficoltà. Sul mezzo, a circa 7 miglia da Lampedusa in zona SAR Italiana, veniva segnalata la presenza di circa 60 persone.
Subito prima dell’inizio delle fasi del soccorso, l’unità si è capovolta, verosimilmente a causa dello spostamento improvviso dei migranti, dovuto all’elevato numero di persone a bordo e alle ridotte dimensioni del mezzo, di appena 8 metri. Sul posto sono intervenute due motovedette della Guardia Costiera di Lampedusa: la CP 309 e la CP 312 con team sanitario del CISOM che ha proceduto a rianimare 5 persone ed a stabilizzare una donna in gravidanza.
Al momento sono stati tratti in salvo 46 migranti e recuperate 7 persone prive di vita. Sotto il coordinamento della Guardia Costiera di Palermo sono in corso le ricerche di eventuali dispersi con l’impiego di motovedette della Guardia Costiera, della Guardia di Finanza e di Frontex. Partecipano alle ricerche un Atr42 della Guardia Costiera decollato dalla base aerea di Catania e un elicottero Frontex.
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