di Mauro Seminara
Nelle strazianti immagini riprese dalle mini videocamere sui caschetti dei soccorritori della Guardia Costiera si vedono le due motovedette SAR “CP309” e “CP312” con superstiti a bordo o in fase di recupero. Si sentono però anche le urla di terrore di chi è in mare e si vede, malgrado il buio della notte, la barca di legno con i colori tunisini rovesciata e una luce in cielo proveniente dall’elicottero di Frontex. Queste sono sommariamente le immagini che la Guardia Costiera ha diffuso dopo le ore 13 odierne a testimonianza del loro disperato tentativo di trarre in salvo il maggior numero di persone. Ma l’esperienza dei rescue swimmer della Guardia Costiera non può porre rimedio ad un naufragio ormai avvenuto, al buio del buco nero che per i migranti si estende dalle coste nordafricane a quelle italiane. La barca si era comunque rovesciata a circa sette miglia ovest di Lampedusa, prima che il sole sorgesse, ed in mare sono finiti tutti. Inclusi donne e bambini cui il mare non ha dato scampo.
Al sorgere del sole, nel corso delle ricerche condotte da Guardia Costiera, Guardia di Finanza, Carabinieri, Frontex e pescherecci, galleggiavano soltanto i salvagente lanciati dai soccorritori. Tra donne e bambini, di nove esseri umani non si è avuta più taccia. Altri sette invece, recuperati ma troppo tardi per salvare loro la vita, sono stati posti in bare di legno che adesso si trovano nel vecchio magazzino, da anni ormai usato come camera mortuaria che a tratti somiglia più ad un forno crematorio, del cimitero di Lampedusa in attesa della consueta ricerca di posti disponibili nei cimiteri dei piccoli comuni siciliani. Perché neanche la storia, se pur macabra, lascia una traccia unica e non diffusa di questo fenomeno epocale.