“La gente sta morendo a causa di questa procedura assurda”. Si sintetizza così la conferenza stampa che la Ong SOS Humanity ha tenuto stamane a bordo della nave Humanity 1 non porto di Crotone dopo il pronunciamento del Tribunale crotonese sul fermo amministrativo imposto il 4 marzo in ottemperanza al cosiddetto decreto Piantedosi. Il Tribunale ha sospeso gli effetti del decreto liberando la nave dal fermo amministrativo imposto per non aver collaborato con la sedicente guardia costiera libica. Questo è il secondo caso, dopo l’analogo pronunciamento da parte del Tribunale di Brindisi per la nave Ocean Viking di SOS Mediterranee.
“Nelle ultime due settimane, tre navi da soccorso civile, la nostra in primis ma anche la Sea Watch 5 e la Sea Eye 4, sono state sottoposte ad un fermo amministrativo illegittimo per un impressionante totale di cento giorni; tutte queste navi sono state sottoposte a fermo amministrativo sulla base di accuse false. Quando le navi da soccorso sono bloccate in porto, nessuno presta soccorso, e questo significa che le persone sono lasciate morire in alto mare. Purtroppo, almeno cento persone sono morte nel Mediterraneo solo nell’ultima settimana”. Questa è una parte, molto significativa, dell’intervento di questa mattina in conferenza stampa di Laura Gorriahn, presidente dell’associazione SOS Humanity. In pratica, il pull factor non è mai stato dimostrato, ma l’aumento dei decessi in assenza di navi da soccorso è stato confermato anche negli ultimi sette giorni.
Nell’ultima settimana si è verificato l’incredibile caso della barca soccorsa dalla Ocean Viking, con l’imbarcazione da giorni alla deriva e il decesso di circa sessanta persone. Poi, ieri, a Lampedusa sono arrivate altre 49 persone e con loro altre due vittime. Due ragazzi. L’assenza di soccorsi in mare causa uno stillicidio cui la sponda nord del Mediterraneo assiste inerme ormai da troppo tempo. Uno stillicidio causato dalle politiche europee, dai “promotori di politiche di respingimento”, come definite dal comandante della Humanity 1 questa mattina. Queste politiche sono visibili e constatabili anche nelle modalità di intervento di quella che in Europa ci si ostina a definire “guardia costiera libica”.
Una definizione errata, per via della secessione della Libia non ancora sanata, dell’incapacità di coordinare soccorsi in mare ed infine anche per la modalità di intervento delle motovedette, che sembrano più interessate a minacciare le navi Ong esplodendo anche colpi d’arma da fuoco piuttosto che soccorrere naufraghi. Questa modalità si evince anche dall’intervento del 2 marzo, documentato da bordo Humanity 1 e dal cielo grazie al velivolo Ong da ricognizione Seabird 2. La motovedetta libica “Murzuq”, una classe Corrubia già della Guardia di Finanza donata alla Libia Tripolitania, è arrivata sul punto in cui erano in corso interventi di salvataggio causando onde pericolose, ha esploso un colpo d’arma da fuoco in alto per intimidire i soccorritori, li ha minacciati ed ha interrotto l’operazione causando panico con naufraghi caduti in mare ed altri che vi si sono tuffati per non ricadere nelle mani dei libici.
Intervento documentato anche con le registrazioni delle comunicazioni radio tra la Humanity 1 e i libici, cui la lingua universale delle comunicazioni radio non riesce ad entrare in testa. “No boat, no boat” ripetevano dalla motovedetta Murzuq in uno stentato monosillabico inglese per ordinare alla Humanity 1 di non soccorrere nessuno. Tutti aspetti che già sul momento hanno indotto il Tribunale di Crotone a sospendere il fermo amministrativo imposto alla Humanity 1 come a Brindisi quello della Ocean Viking. Il 17 aprile ci sarà la prima udienza in aula per discutere la legittimità del fermo sospeso ieri, dopo 14 giorni. Così come nel Tribunale di Brindisi ha avuto inizio cinque giorni addietro il confronto tra i legali della Ong SOS Mediterranee e l’avvocatura dello Stato che ha il compito di salvare il decreto Piantedosi da una tragica prima bocciatura di legittimità giuridica.
Alla fine, “bisogna arrivare a dichiarare illegittimo il decreto Piantedosi”, ha appunto detto questa mattina Leo, il comandante della Humanity 1 alla sua ultima missione. Perché “non c’é nessuna regola o legge internazionale che viene violata”, ha spiegato Leo ai giornalisti presenti. Un lavoro duro per l’avvocatura dello Stato, quello a difesa dei fermi amministrativi sospesi dai giudici alla Ocean Viking ed alla Humanity 1. Duro perché in ballo non ci sono due fermi amministrativi ma il decreto Piantedosi per intero. Questa doppia batosta al decreto che porta il nome dell’attuale ministro degli Interni arriva in un momento in cui tutto l’impianto del governo Meloni contro navi Ong e soccorsi civili in mare si sta sgretolando mostrando tutta l’inadeguatezza del legislatore e del governo. Sono legittime le pronunce dei due giudici che non hanno convalidato il fermo secondo la “procedura accelerata in frontiera” per la quale adesso Piantedosi pare voler fare marcia indietro.
Dopo una lapidazione mediatica della giudice Iolanda Apostolico, la batteria di fuoco si è taciuta al secondo pronunciamento avverso su analogo episodio e le assicurazioni di ricorso sono state messe in cantina. Caduta nel buco nero della propaganda anche la caccia alle streghe iniziata nel 2017 con il sequestro della nave Iuventa della Ong tedesca Jugend Rettet. A Trapani, dopo sette anni, sono crollati per inattendibilità i testimoni dell’accusa ed in mancanza di dolo anche la Procura ha deciso di ritirare le accuse. Il giudice si pronuncerà a fine aprile, ma sembra ragionevole oltre ogni dubbio il non luogo a procedere. Dopo anni, decreti Salvini, decreti Piantedosi, accuse di collaborazione tra Ong e trafficanti, fermi amministrativi e procedure d’urgenza passando per l’arresto di Carola Rackete e le richieste di rinvio a giudizio anche ad altri comandanti di navi Ong finite in proscioglimenti ed archiviazioni, l’unico soggetto prossimo alla fine di un processo penale che riguarda le navi Ong ed i soccorsi in mare, ad oggi, è l’ex ministro degli Interni Matteo Salvini, sul cui capo pende una sentenza in primo grado di giudizio di quindici anni di reclusione.
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