Secondo il Centro Astalli, da inizio anno sono partite dalla costa nord dell’Africa oltre 1.280 persone con la speranza di raggiungere l’Europa. Oltre 154 di queste persone hanno trovato la morte nel tentativo di lasciarsi alle spalle il nord Africa, in particolare la Libia. Lo scrive in Centro Astalli in una nota pubblicata ieri, nella quale fa ineludibile riferimento all’ultimo naufragio di cui si ha notizia. Il 19 marzo, stesso giorno in cui veniva messa alla gogna governativa la nave Mare Jonio mentre le si voleva impedire l’accesso al porto di Lampedusa, a largo della Libia è stato denunciato dall’OIM un altro naufragio di migranti. I superstiti risultano essere soltanto quindi, mentre è imprecisato il numero dei dispersi; quasi certamente morti. L’ammiraglio Ayob Amr Ghasem, portavoce della Marina libica, ha dichiarato all’Ansa che a bordo della barca in legno naufragata c’erano 47 persone. Prendendo per buono il dato fornito dal libico, sarebbero quindi 32 i dispersi. Altre 32 vittime che si aggiungono al dato che in senso assoluto sembra aver drasticamente ridotto il numero dei migranti morti in mare, ma che, se lo si vede in prospettiva percentuale, è in realtà un aumento esponenziale delle vittime della traversata.
L’aumento delle vittime, in percentuale, è dovuto anche all’assenza di un dispositivo di soccorso spontaneo costituito anche dalla marineria mercantile e dai pescherecci che già in passato hanno tratto in salvo un numero enorme di migranti in difficoltà o già in mare. Una rete di soccorso civile che ha sempre risposto alla legge del mare e alla sala operativa della Guardia Costiera – per lo più sempre italiana – che si è avvalsa della loro disponibilità e della loro posizione prossima al punto della tragedia. La direttiva del Ministero dell’Interno pone adesso una definitiva pietra tombale sulla collaborazione delle navi e dei pescherecci civili in transito nel Mediterraneo centrale. Il Centro Astalli precisa inoltre, con la nota di ieri, che “l’unico dato certo è che quelle dei morti in mare sono cifre parziali e per difetto”. Questo perché la comunicazione si è interrotta, ciò che accade nel Mediterraneo sembra ormai un affare coperto da segreto di Stato, la Guardia Costiera non comunica più gli eventi di cui è a conoscenza e la stampa ha difficoltà nel reperire notizie attendibili.
Per il presidente del Centro Astalli, Camillo Ripamonti, “si è passati da indifferenza e assuefazione alla morte dei migranti al cinismo e allo svilimento non solo del diritto internazionale, della Costituzione e della nostra civiltà ma del valore stesso della vita umana”. Ed il numero dei morti, ufficialmente dispersi nel Mediterraneo e praticamente destinati alla profanazione nelle reti dei pescatori, diventa un numero relativo e soggetto al dettaglio sottinteso dello Stato che li recupera. Proprio ieri infatti, nel corso dell’intervento del senatore Salvini che interveniva al Senato della Repubblica, chiamato quest’ultimo a valutare se concedergli l’immunità sul caso Diciotti, il ministro dell’Interno vantava i numeri del proprio operato asserendo che al 19 marzo è stata recuperata in mare una sola vittima. Forse intendeva “recuperata dall’Italia”, oppure “recuperata e vista da autorità italiane”. Certo non è una sola la vittima della tratta nel corso del 2019. Si ricorda ancora, infatti, il naufragio del 18 gennaio con la documentata omissione di soccorso da parte delle autorità libiche e la testimonianza della Ong Sea Watch. In quel caso, primo mese dell’anno, erano stati tratti in salvo tre naufraghi – sempre da una Ong, la Sea Watch 3 – e risultarono invece 117 le vittime. E 117 è un numero ben lontano da “uno”. Abbiamo invece superato il rapporto del 12% tra migranti partiti dalla costa nordafricana e migranti morti o dispersi.
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