di Vittorio Alessandro
Conservo gelosamente il racconto filmato della liberazione di due capodogli impigliatisi in alcune reti derivanti al largo di Crotone. Una lunga avventura subacquea che rese i militari della Guardia Costiera testimoni di una realtà sommersa stupefacente. L’animale liberato per primo non andò via, ma aspettò tutta una notte che anche il compagno fosse libero ed entrambi, per tutto il tempo dell’operazione, rimasero quasi immobili, per non colpire chi li soccorreva.
Finalmente, quando l’ultimo lembo di rete fu reciso dal subacqueo con un gesto di gioia, il possente animale riprese a muoversi piano, quasi per ringraziare, accompagnato per qualche metro dall’operatore che lo accarezzava.
Tutto ciò mi è tornato in mente leggendo la cronaca di un capodoglio spiaggiato a Cala Romantica, in Sardegna, con ventidue chili di plastica nello stomaco. Ma anche le parole di Jonathan Franzen trovate ieri su Repubblica: la catastrofe ambientale è diventata da probabile a inevitabile.
Se almeno la morte di una delle creature più grandi e più belle al mondo suonasse come un monito, forse potremmo diventare più attenti a ciò che amiamo.
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