di Vittorio Alessandro
Come tutte le regole della vita di bordo, le leggi del soccorso in mare sono ispirate alla effettività. Le norme internazionali usano espressioni quali: “servizio adeguato ed effettivo”, “organizzazioni praticabili e necessarie”, “quanto più velocemente possibile”, “indipendentemente dalle circostanze”.
La nave Alan Kurdi aveva cercato in mare, per tutta una notte, cinquanta persone di cui nessuno aveva accolto la richiesta di soccorso: la Guardia Costiera italiana, trasferendo la competenza a quella libica, e quest’ultima – incapace e compromessa – non intervenendo, e ora accusa l’Italia.
Quelle cinquanta persone purtroppo nessuno le cerca più: i naufraghi soccorsi dalla Alan Kurdi sono altri, a dimostrazione della falsità di chi afferma che dalla Libia non parta più nessuno e che il Mediterraneo sia sicuro.
La Alan Kurdi è ora senza porto: situazione che, per qualunque nave e qualunque marinaio, suona come una bestemmia.
La regola ora esclamata dall’Italia è che debba essere lo Stato di bandiera a indicare un porto sicuro: non così, però, qualche giorno fa, quando la italiana Mare Jonio fu intercettata e intimidita dalla Guardia di Finanza, e neanche con la nave Diciotti, lasciata per giorni senza scalo.
Le uniche regole del soccorso sono, in realtà, la rapidità e l’efficacia delle operazioni di salvataggio. La regola è che se una organizzazione SAR non interviene e non possiede porti sicuri, quella organizzazione semplicemente non esiste. La SAR libica non esiste, cara Guardia Costiera italiana, è una corrotta finzione diplomatica al servizio delle peggiori ipocrisie dell’Europa.
Ogni limite ha una pazienza, diceva Totò, ma è davvero saltato ogni limite.
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